«Con la soglia di sbarramento, il parlamento di Strasburgo si aprirà solo a una parte di italianiSignificativamente sono esclusi coloro che vorrebbero cambiare l’Europa, e non condividono né le grandi coalizioni sinistra- destra né le disordinate risposte di 5 Stelle ai mali dell’Unione».
LaRepubblica, 8 gennaio 2014
ANCORA non sappiamo come reagiranno i cittadini europei e italiani, il 22-25 maggio quando si voterà per il nuovo Parlamento dell’Unione — se diserteranno le urne, se si interesseranno ai propri rappresentanti in Europa — ma sin da ora sappiamo una cosa: per la prima volta, nella crisi che ci assilla, parlano e decidono i popoli, e non più solo le troike, la Banca centrale, ancor peggio il Fondo monetario. Sarà la prima occasione, per loro, di respingere oppure approvare quel che è stato fatto sinora, di mandare in Parlamento deputati in cui credere. A governare la crisi ci sono anche i cittadini.
Dicono i disillusi che non conta nulla, il Parlamento di Strasburgo. Che non vale la pena mettere la scheda nell’urna, visto che ogni nodo è sgrovigliato altrove: da mercati senza obblighi, dai banchieri centrali, da un rapporto di forza tra Stati che reintroduce nel continente il vecchio equilibrio di potenze, con le sue disparità e i suoi conflitti. Vale la pena invece, perché altri strumenti democratici non esistono nell’Unione, e perché i poteri dei suoi deputati sono tutt’altro che irrilevanti. Delle leggi attuate negli Stati, l’80 per cento è co-deciso dal parlamento che abbiamo in comune. È sempre lui a censurare o appoggiare la Commissione, la sua capacità o incapacità di governare in nome di tutti. È del tutto illogica la condizione in cui ci troviamo: proprio oggi che il parlamento ha più ascendente, le politiche europee si fanno contro i popoli o scavalcandoli. È quel che accade di solito nelle guerre. Votare è l’occasione per dire che la crisi non va omologata a una guerra o a una peste. Tanto più essenziale è sapere come voteremo: con quale legge elettorale, dunque con quali speranze di essere ascoltati e di contare, senza discriminazioni.
La questione della rappresentatività democratica fu cruciale nell’Europa liberata dal nazifascismo, dopo due guerre mondiali. Lo ridivenne dopo l’89, quando a Est caddero le dittature comuniste. La crisi vissuta come stato di eccezione e di guerra crea uno scenario analogo. Uscirne con i pareggi di bilancio è come rendere più funzionali gli eserciti, quando si tratta di ritrasformare i soldati in cittadini.
Ogni ripristino della democrazia esige l’elezione di parlamenti costituenti, che riscrivano le Carte e limitino poteri divenuti esorbitanti. Ogni democrazia rifondata prescrive istituzioni che rappresentino tutti, quindi leggi elettorali sostanzialmente proporzionali. L’Italia decise questo, dopo il fascismo. Il proporzionale fu giudicato il più democratico, il più adatto a eleggere nel ’46 l’Assemblea costituente: nella ricostruzione, dovevano pesare tutte le forze estromesse dal Ventennio. Non così in Europa e soprattutto non in Italia (i 28 paesi hanno leggi elettorali diverse: un’assurdità).
Il pericolo, da noi specialmente acuto, è che nel parlamento comunitario siedano solo i partiti più agguerriti. Una soglia di sbarramento asfissiante, del 4%, rischia di vanificare il grande esercizio di democrazia che saranno le elezioni di maggio: escludendo partiti piccoli o movimenti nati durante la crisi, smobilitando moltissimi elettori. La barriera che smista e seleziona è un marchingegno inventato per favorire potentati o cricche di eminenti. Per estendere a Strasburgo le Unioni Sacre che nei singoli Stati gestiscono lo squasso. È proprio quel che vogliono gli oligarchi nazionali, e se si eccettua qualche voce di Green Italia, pochi protestano. La parola d’ordine è: tagliare le ali a rappresentanze alternative, continuare a ignorarle. Fingere democrazia, e intanto deturparla. La propensione oligarchica ha una storia lunga in Italia.
Nel ventennio berlusconiano si è accentuata, ed è la stoffa delle grandi o piccole intese. Non a caso la barriera del 4% è frutto di un surrettizio accordo al vertice, stipulato nel 2009 tra Veltroni, allora leader del Pd, e Berlusconi. Il governo Prodi era stato appena affossato e la decisione fu presa quasi di nascosto, senza consultazione alcuna con altri partiti. Nacque quel che fu chiamato europorcellum: una legge truffa simile a quella tentata nel 1953. Lo scopo: armare i forti, disarmare i piccoli (Vendola, Rifondazione, radicali, Verdi, Storace). La giustificazione: garantire l’efficienza e la governabilità a scapito della democrazia. Fassino disse, all’epoca: va evitato lo sbarco di «un’armata Brancaleone a Strasburgo». La menzogna della Stabilità — il quotidiano Wall street journal l’ha definita il 24 novembre «stabilità dei cimiteri» — cominciava a espandersi geograficamente.
La campagna elettorale europea era alle porte, e in poche settimane il vecchio proporzionale fu abolito. La trattativa iniziò nel gennaio 2009, e la nuova legge con la soglia fu varata il 20 febbraio dal parlamento italiano, tre mesi circa prima del voto. Questo significa che deliberazioni di tale portata possono esser prese ancora una volta, se solo si vuole. C’è tempo di abolire anche in Europa il porcellum, come imposto dalla Consulta per le elezioni italiane.
La cosa più sorprendente è che la battaglia contro le leggi truffa, nell’Unione, è giudicata vitale non dai paesi piccoli ma da quello più forte: la Germania. È uno dei paradossi dei tempi presenti: lo Stato che con maggiore prepotenza esige austerità è simultaneamente il più allarmato dal deficit democratico europeo, il più sensibile alle regole dello stato di diritto. In favore di una legge proporzionale, e di un Parlamento sovranazionale più rappresentativo, è addirittura scesa in campo la Corte costituzionale, con una sentenza emessa il 9 novembre 2011 che giudica incostituzionale la soglia tedesca di sbarramento (in Germania era più alta che da noi: il 5%).
Due princìpi della Legge Fondamentale erano violati, secondo i giudici di Karlsruhe: l’uguaglianza fra cittadini-elettori, e l’opportunità data a tutti i partiti di concorrere alla democrazia delle istituzioni europee. Il parlamento nazionale ne ha preso atto, e pur non abolendo la barriera l’ha portata al 3%. Molte associazioni cittadine ritengono che non basti, e hanno fatto ricorso. La Corte si pronuncerà in quest’inizio 2014. L’argomento dei giudici tedeschi è impeccabile, e in Italia andrebbe meditato al più presto. Nell’Unione «non c’è ancora un governo vero e proprio», che esiga maggioranze parlamentari stabili, continuative. Non può aprirsi un divario, fra rappresentatività e governabilità.
Senza la soglia del 5, sostengono i giudici tedeschi, i partiti europei aumenterebbero di poco, e il funzionamento del Parlamento non verrebbe debilitato da armate Brancaleone. Purtroppo solo la Corte di Karlsruhe si occupa della vera attualità europea: lo stravolgimento delle democrazie costituzionali ad opera della crisi economica e sociale. Lo fa spesso per difendere interessi solo nazionali: per frenare solidarietà europee troppo costose per i connazionali. Ma il dramma della democrazia amputata è pensato con costanza, e a fondo. In Italia è ignorato dai partiti dominanti. La divaricazione fra democrazia ed efficienza è voluta e comunque data per scontata. Con la soglia di sbarramento, il parlamento di Strasburgo si aprirà solo a una parte di italiani: a chi vota centrosinistra, destra, 5 Stelle, e alcuni altri. Significativamente sono esclusi coloro che vorrebbero cambiare l’Europa, e non condividono né le grandi coalizioni sinistra- destra né le disordinate risposte di 5 Stelle ai mali dell’Unione.
Cambiare l’europorcellum è non solo necessario, ma possibile. Si dirà che è troppo tardi. Abbiamo visto che è una fandonia: l’accordo Veltroni-Berlusconi divenne legge in un mese. Se Renzi e Grillo fanno sul serio quando reclamano più democrazia in Europa, hanno tutto il tempo per darci una legge all’altezza della strana disfatta, dal sapore bellico, in cui la crisi ci ha gettati.