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Nadia Urbinati
L'Europa del filo spinato
19 Agosto 2015
Articoli del 2015
«L’Europa unita nel nome del filo spinato é l’immagine che i nuovi reazionari stanno edificando.» Nella cultura e nella politica dell'estrema destra degli stati europei il rovesciamento dell'ispirazione cosmopolita e universalista dell'Europa dei nostri sogni.
«L’Europa unita nel nome del filo spinato é l’immagine che i nuovi reazionari stanno edificando.» Nella cultura e nella politica dell'estrema destra degli stati europei il rovesciamento dell'ispirazione cosmopolita e universalista dell'Europa dei nostri sogni.

La Repubblica, 19 agosto 2015 (testo integrale)
L’Europa sta diventando un continente blindato con filo spinato e muri di respingimento. Lo é già nelle sue frontiere a Nord e a Est – il Mediterraneo impedisce di fare altrettanto al Sud. A Calais, da dove i migranti cercano passare il Canale della Manica per raggiungere la Gran Bretagna, si assiste quotidianamente a scene di caos e deportazioni che il governo conservatore di David Cameron benedice come sacrosante se il paese vuole “difendersi dall’invasione” dei migranti, invertendo la politica liberale e umanitaria dei precedenti governi labouristi. L’Inghilterra ha solcato tutti i mari del mondo per invadere terre e rapinare risorse. E ora si sente oltraggiata dal viaggio all’incontrario dei colonizzati.

Quel che succede a Calais succede a Est, dove la costruzione del muro di filo spinato tra Serbia e Ungheria (che il governo di Budapest ha appaltato anche a una ditta italiana) procede spedita, con qualche critica da Bruxelles che tuttavia non produce alcun effetto. Il commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, ha ricordato come l’EU abbia cercato di concordare atteggiamenti “ragionevoli” con Budapest offrendo in cambio di maggior umanità (distinguere i richiedenti asilo dagli immigranti) 85 milioni di euro per fronteggiare la crisi. Ma il “fronteggiare” non dovrebbe implicare bloccare chi fugge da guerre e violenza. Sennonché, l’UE non ha nulla da dire sui confini nazionali degli stati membri e delle loro politiche di immigrazione perché, occorre ricordarlo, è la sovranità dello Stato che viene messa a dormire con la moneta e la Corte europea dei diritti, non la sovranità della Nazione o la difesa del suolo, delle tradizioni e delle istituzioni dei rispettivi popoli (la riforma autoritaria della costituzione ungherese è avvenuta senza che Bruxelles potesse fare nulla). Sui confini blindati prende forma l’Europa nazionalista del nuovo millennio.

Ha scritto Ilvo Diamanti su questo giornale che la strategia della polemica e la retorica della paura danno forza alla Lega di Matteo Salvini, perché assecondano la facile inferenza immigrazione-invasione, coltivata da anni (il governo Berlusconi ha mietuto consensi con le politiche anti-immigrazione) e che ha ingrossato l’ideologia xenofoba. La strategia polemica di Salvini sfida direttamente le due più rappresentative organizzazioni internazionali e consmopolite: la Chiesa cattolica e l’ONU. In questo modo si posiziona ideologicamente contro l’etica universalista della dignità e dei diritti umani (bollata come ipocrita) e a favore di una lettura delle libertà e delle tradizioni europee che é fortemente localistica ed esclusionaria. Al linguaggio della norma la Lega oppone quello del possesso, rivendicando contro i pastori della religione e del diritto il bene primario della “nostra” terra, dei “nostri” diritti, del “nostro” benessere. Un universalismo per gli identici in qualcosa – similmente a quello coniato dai fondatori del pensiero reazionario moderno, quando attaccarono non i diritti di cittadinanza ma il loro universalismo proclamato dalla Rivoluzione francese (allora gli Ebrei erano gli estranei da escludere). La nuova destra – di Salvini come di altri leader di partiti di destra estrema del Nord e dell’Est Europa – si riappropria di questa ideologia. Si erge a movimento autenticamente europeista, difensore della “nostra” civiltà contro chi la contamina.

Il paradosso del quale é oggi urgente occuparsi e preoccupasi é dunque questo: da anti-europei che erano, i movimenti e le ideologie dei partiti di estrema destra sono diventati i più radicali europeisti. L’Europa che difendono (difendendo le frontiere dei loro paesi con le quali spesso quelle del continente coincidono) é esattamente opposta a quella della tradizione universalista e cosmopolita sulla quale l’Unione europea é nata. Ci può essere un euronazionalismo che traduce in chiave continentale quella cultura comunitaria e proprietaria che ha caratterizzato l’ideologia reazionaria dal tempo della Rivoluzione francese. Allora, la reazione contro l’universalismo dei diritti e l’ideale cosmopolita di cooperazione tra i popoli veniva fatta nel nome delle nazioni e le loro ataviche tradizioni, delle identità linguistiche e dei costumi morali e religiosi dei singoli paesi. Edmund Burke diceva in polemica con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino di non aver mai incontrato “uomini” ma solo tedeschi, francesi, inglesi e italiani. Per la nuova destra, l’europeo si appresta a diventare l’alternativa all’uomo in generale.

L’Europa unita nel nome del filo spinato é l’immagine che i nuovi reazionari stanno edificando. Non più italiani o francesi o ungheresi contro Bruxelles, dunque, ma tutti loro contro quella che essi rappresentano come un’espropriazione dell’Europa da parte dei migranti, con l’avvallo dalla cultura europea dei diritti, laica e religiosa. Alla quale questa Europa nazionalista dovrebbe opporre una politica sistematica di espulsione di tutti coloro che non sono cittadini. L’Europa di destra contro l’Europa che avevano proposto Spinelli e Schumann: é questa oggi la sfida culturale e politica più radicale. Destra e sinistra passano di qui, da due visioni di Europa e di cittadinanza, due visioni del diritto, due visioni dello spazio politico continentale: una che é consapevole delle difficoltà che l’immigrazione pone al modello occidentale di vita e che tuttavia non rinuncia a cercare soluzioni (in Europa e nei paesi d’origine dei migranti) che siano coerenti con i principi del diritto e di quella che Habermas ha chiamato cultura democratica cosmopolita; e un’altra che adatta al continente il nazionalismo xenofobo praticato da generazioni nei singoli paesi.

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