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Lettera di Valerio. Un'esperienza di Outlet Factory
13 Luglio 2005
Archivio 2004
Questa lettera l'ho scariucata da internet. Una discussione tra consumatori normali

Tappa a Serravalle Scrivia, in quello che viene considerato il più grande “Outlet” d’Europa, che sarebbe un posto dove le più importanti griffe, con il loro marchio ufficiale, si disfanno dell’invenduto.

Impressiona, al primo impatto, la soluzione urbanistica. Uno si aspetta un grande centro commerciale coperto come tanti ce ne sono - tipo ipermercato, per intendersi - e si trova invece in un paese nuovo di zecca, con strade e case sorte dal nulla, sulla statale che da Serravalle porta a Novi Ligure, tra le dolci colline che fanno da cornice allo Scrivia. Questo nuovissimo agglomerato urbano, è circondato da un immenso parcheggio (questo si, somigliante ai centri commerciali che conosciamo) nel quale si trova sempre posto per l’automobile.

Le costruzioni, in genere a due piani, sono d’impronta tipicamente ligure. Ed è logico. Non bisogna dimenticare che ambedue le cittadine, oggi in provincia di Alessandria, appartenevano storicamente a Genova. Sono case fatte con gusto, diverse tra loro, in schiere ininterrotte che si snodano sinuose, creando vie e piazze, tutte rigorosamente riservate ai pedoni. Diversi e appropriati i colori d’ognuna. Ogni costruzione – se non fosse per il “nuovo” quasi abbagliante, sembrerebbe trapiantata li da Portofino o da Lerici o da Rapallo o da Alassio o da una delle cento cittadine della riviera ligure. Ad una delle porte-piazze d’ingresso, chiamata Piazza Levante, una “Lanterna” ci ricorda il dominio genovese su queste terre.

Il piano terra di ognuna delle costruzioni, è interamente occupato da negozi di abbigliamento e di accessori. Tutte le principali case italiane ed anche parecchie estere, sono presenti. Non disdegnano neanche Bulgari o la Villeroy e Boch. Vi sono anche un ristorante, una pizzeria, alcuni bar. Vi sono centoventi negozi, alcuni anche piuttosto grandi, uno attaccato all’altro. Al primo piano, finestre con i gerani, balconi, loggiati. L’idea dovrebbe essere quella di far credere che qualcuno vi abita, ma tutto è troppo ordinato, troppo preciso perché sia così.

Passata la prima impressione di ammirazione, comincio a vedere questo villaggio come uno di quelli costruiti per girare un film western, qualcosa di posticcio, di artificioso, di falso, insomma. Mia moglie dice che sbaglio. “Pensi siano meglio quegli squallidi mega prefabbricati di tipo industriale, come Auchan, Panorama, Ipercoop, Esselunga?” mi chiede. No, ma sono più onesti, ribatto, ché ormai devo tenere il punto. Questa Disneyland dell’abbigliamento è molto più subdola, vuol far credere di essere quello che non è. E questa storia dell’outlet, è un bello specchietto per le allodole, un modo come un altro per vendere.

La discussione potrebbe continuare all’infinito, ma ormai sono le otto di sera, mia moglie ha visto tutto quel che voleva (la fermata è a suo beneficio) i negozi cominciano a chiudere, tra poco – e fino a domattina - questa diventerà una città fantasma. “Mangiamo qualcosa qui prima che chiudano?” mi chiede lei. No dico, stanno per attuare il coprifuoco, andiamo a Novi, che è una città vera, in un locale vero, a mangiare una pizza vera. Così facciamo, finalmente d’accordo.

Fonte: http://www.medusina.com/talk/1060041498,66958,.shtml

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