«E se qualcuno sostiene che la pianificazione non occorre, sono costretto a ricordargli che non occorre alle classi dirigenti, ma alle altre sì». Lo diceva, già nell’’85, Italo Insolera per sottolineare come all’establishment, quello in grado di contrattare direttamente con i cacicchi dei partiti le proprie varianti urbanistiche, fosse addirittura di imbarazzo uno strumento urbanistico.
Deve essersene convinto anche Renato Soru se, nella recente intervista rilasciata a Luca Rojch della Nuova Sardegna, ha sostenuto l’urgenza di disporre di una nuova legge sul governo del territorio, proprio per incentivare la redazione dei piani urbanistici comunali e degli strumenti sottordinati, in coerenza con gli indirizzi e gli obiettivi del Piano Paesaggistico Regionale.
Per Soru, il Ddl va dunque approvato rapidamente, ma non proprio così come è stato licenziato dalla Giunta, tutt’altro. Dovrebbero infatti essere cancellati l’articolo 43 - quello, per intenderci, che consente l’approvazione in deroga al PPR dei progetti “di grande interesse” - e l’allegato A4, che incrementa surrettiziamente il dimensionamento dei piani comunali. Anche il famigerato articolo 31 dovrebbe essere riscritto in modo da limitare gli aumenti di cubatura dispensati a pioggia, magari trasformandolo in un “articolo ad hoc per l’adeguamento delle strutture esistenti”. Ma non basta. E’ l’intero corpus normativo che - parola di Soru - ha bisogno di una radicale cura dimagrante: “113 articoli sono un’esagerazione” – afferma – e il testo deve essere semplificato per renderlo comprensibile a tutti, e non solo ai soliti sacerdoti di regime, gli unici in grado di capirlo e, dunque, di piegarlo ai propri interessi.
Insomma, sembra proprio che, anche per Soru, il Ddl, così come proposto, non sia potabile e che, dunque, debba essere rivisitato integralmente, sia per emendarlo degli “errori” più macroscopici che per mutarne radicalmente struttura, lessico e obiettivi.
Quando poi, però, Rojch gli chiede se - come sostiene qualcuno (più d’uno in verità) - la legge dovrebbe essere “buttata via e riscritta”, Soru ripiega su un “no” secco. Poi cambia discorso e ribadisce con diplomazia che è necessario dare piena attuazione al PPR attraverso “una legge urbanistica compiuta”.
Insomma, una stroncatura in politichese. Diplomatica quanto si vuole, ma radicale e senza appello.
A parte i tatticismi politici e alcuni aspetti di merito (l’improponibile conservazione dell’art. 31), come dargli torto? Per quanto non lo dica chiaramente, Soru dimostra di aver ben colto la differenza che intercorre, o che dovrebbe intercorrere, tra legge urbanistica e piano, tra regole e loro attuazione, tra strumenti normativi e trasformazioni del territorio. Differenza sostanziale, ben nota a chiunque mastichi appena di urbanistica ma che, a partire dal tristemente noto “piano casa” Berlusconi – peraltro più volte ispiratore di opinabili leggi della regione Sardegna – si è attenuata, fino a quasi scomparire del tutto. Si è così aperta la strada a leggi-provvedimento che esorbitano dalle competenze regionali, violano il principio di sussidiarietà ed esautorano i comuni dalle loro funzioni più caratterizzanti, specifiche e delicate, quali quelle che attengono all’assetto e all’utilizzazione del proprio territorio.
Ed è proprio qui uno degli aspetti più critici del Ddl: anziché definire le regole chiare perché il Piano Paesaggistico Regionale - la cassaforte del patrimonio sardo - possa velocemente essere esteso alle aree interne e declinato negli strumenti urbanistici sottordinati, pone sullo sfondo questi irrinunciabili obiettivi strategici e - in assenza di qualsiasi pianificazione - determina direttamente rilevanti modifiche della parti più sensibili del territorio, in barba alla competenza dei comuni.
Si dirà – e lo ha detto più volte il presidente Pigliaru - “ma le strutture ricettive non sono competitive, devono essere adeguate agli standard internazionali”. Bene, forse è un problema reale, o forse no. Ma il rimedio, in quanto suscettibile di produrre danni incalcolabili e irreparabili, non sarà peggiore del male? E davvero temi così complessi possono essere affrontati con la filosofia del “liberi tutti”, “ognuno è padrone a casa sua” e altre menate di matrice berlusconiana che, nei fatti, assecondano e legalizzano il trend naturale dell’abusivismo edilizio? E, allora, perché non affidare alla pianificazione comunale l’individuazione delle possibili soluzioni, coerenti al PPR e, dunque, almeno astrattamente compatibili con la tutela di un bene irriproducibile?
Purtroppo, sembra proprio che l’assessore Erriu ritenga normale, addirittura auspicabile che una legge modifichi il regime dei suoli, distribuisca volumetrie e rendite fondiarie a casaccio o preveda pericolosissimi e discrezionali percorsi di deroga, con il rischio fondato che l’interesse pubblico, rappresentato e garantito dal PPR, venga subordinato a quelli privatissimi di chi è nelle condizioni di negoziare deroghe e varianti ad libitum.
C’è da sperare che il Legislatore regionale non subisca il fascino della soluzione a portata di mano, insomma, che non voglia sostituire al sistema delle regole uno sbrigativo “controsistema” di deroghe, tale da consentire direttamente, senza valutazioni strategiche, senza i lacci e lacciuoli del PPR e senza la redazione di piani ad esso adeguati, di scaricare altro cemento sulle coste dell’Isola.
Se così fosse, non si incentiverebbe certamente la pianificazione comunale. Ma, dopotutto, forse è proprio quello che si vuole. Già nella Napoli di Achille Lauro, quella mirabilmente affrescata da Rosi nel suo film capolavoro, sembra si dicesse “il piano regolatore serve a chi non si sa regolare. A noi, no. Noi ci sappiamo regolare”. Ancora meglio se c’è la copertura di una legge.
Grazie all’autore pubblichiamo il testo integrale dell’articolo inviato al quotidiano “La Nuova Sardegna” e ivi pubblicato in edizione ridotta.