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Paolo Berdini
L’emergenza può attendere
14 Marzo 2014
Articoli del 2014
... ma la privatizzazione del "diritto alla casa" deve proseguire, il mercato deve estendere il suo dominio e la rendita fondiaria deve continuare ad appesantire le tasche dei ricchi.

Il manifesto, 14 marzo
Piano casa. Mutare in «alloggi sociali» ogni edificio esistente o in corso di realizzazione, non risolverà la crisi abitativa perché chi versa in grave disagio non potrà mai accedere a questo segmento di mercato. Si consente soltanto alla speculazione immobiliare di liberarsi di un immenso patrimonio invenduto
Si chiama «Misure urgenti per l’emergenza abi­ta­tiva» il decreto legge sulla casa appro­vato dal governo Renzi. Nella rela­zione di accom­pa­gna­mento si parla a più riprese della grave crisi della casa: fami­glie che non rie­scono a pagare l’affitto e gio­vani senza pro­spet­tive di futuro, e cioè le vit­time prin­ci­pali delle poli­ti­che abi­ta­tive che da venti anni ven­gono appli­care come un dogma. Poli­ti­che soste­nute da un forte tasso di reto­rica: solo l’iniziativa pri­vata, si disse, è in grado di risol­vere il pro­blema della casa. A venti anni di distanza devono inter­ve­nire sull’emergenza a dimo­stra­zione del fal­li­mento delle ricette libe­ri­ste. Ma qui come in altri set­tori, l’ideologia ancora domi­nante non cerca con one­stà intel­let­tuale di fare i conti con il fal­li­mento. Pre­tende di risol­verlo aumen­tando la dose della cura: ad esem­pio si incre­menta la ven­dita del patri­mo­nio immo­bi­liare pub­blico (art. 3), ma il cuore del decreto sta nel quinto comma dell’articolo 11, elo­quente esem­pio di come si tenti di sfrut­tare le sof­fe­renze sociali per mise­ra­bili tornaconti.

In quell’articolo si parla della volontà di incre­men­tare gli «alloggi sociali» che in una delle tante leggi di pri­va­tiz­za­zione (Dm 2.4.2008) ven­gono defi­niti quelli «rea­liz­zati o recu­pe­rati da ope­ra­tori pub­blici e pri­vati, con il ricorso a con­tri­buti o age­vo­la­zioni pub­bli­che quali esen­zioni fiscali, asse­gna­zione di aree od immo­bili, fondi di garan­zia, age­vo­la­zioni di tipo urba­ni­stico». Abi­ta­zioni pri­vate a canone con­cor­dato, dun­que, che si col­lo­cano pur sem­pre all’interno del «mer­cato». Il decreto Renzi afferma che si pos­sono rea­liz­zare «case sociali» sul patri­mo­nio esi­stente attra­verso demo­li­zione e rico­stru­zione e cam­bio di desti­na­zione d’uso, men­tre al comma quat­tro dice che que­ste poli­ti­che si appli­cano anche agli alloggi in costru­zione o «AC150» addi­rit­tura — alle con­ven­zioni urba­ni­sti­che in itinere.

Vediamo di orien­tarci. Oggi il mer­cato abi­ta­tivo è pres­so­chè fermo per eccesso di offerta e il mer­cato degli uffici lan­gue per man­canza di domanda. Con quell’articolo si per­mette di mutare in «alloggi sociali» ogni edi­fi­cio esi­stente o in corso di rea­liz­za­zione, otte­nendo per­fino age­vo­la­zioni pro­ce­du­rali, finan­zia­menti pub­blici e age­vo­la­zioni fiscali (art. 6 e 9). In que­sto modo non si risol­verà l’emergenza abi­ta­tiva per­ché chi versa in grave disa­gio eco­no­mico e sociale non potrà mai acce­dere a que­sto seg­mento di mer­cato: si con­sente sol­tanto alla spe­cu­la­zione immo­bi­liare di libe­rarsi di un immenso patri­mo­nio invenduto.

I sapienti esten­sori del decreto si acca­ni­scono poi in modo inde­gno pro­prio con­tro i teo­rici desti­na­tari della legge. In que­sti anni non sono state costruite case pub­bli­che e l’unico stru­mento a dispo­si­zione delle fami­glie povere e dei gio­vani è stato l’occupazione di edi­fici abban­do­nati. Gesti dolo­rosi per chi le pra­tica con­dan­nato a una pre­ca­rietà senza pro­spet­tive. Ebbene, all’articolo 5 si dice che gli occu­panti non pos­sono avere la resi­denza l’allaccio dell’acqua o della luce. Chi non ha red­dito non ha diritto di lavarsi o di far stu­diare i pro­pri bam­bini con una lam­pa­dina accesa. Que­sto atteg­gia­mento cul­tu­rale che in altri tempi sarebbe stato bol­lato di odio sociale viene giu­sti­fi­cato nella rela­zione con «l’esigenza del ripri­stino della lega­lità». Ottimo sen­ti­mento che sarebbe forse oppor­tuno indi­riz­zare nel ripri­stino delle san­zioni sul falso in bilan­cio, reato ben più grave delle occu­pa­zioni di necessità.

Nel 1903 l’approvazione dello straor­di­na­rio prin­ci­pio delle case popo­lari fu merito di Luigi Luz­zatti, espo­nente di spicco della destra sto­rica ita­liana. Pur essendo eco­no­mi­sta e fon­da­tore di ban­che, scri­veva che solo la mano pub­blica era in grado di risol­vere il pro­blema delle abi­ta­zioni per i ceti poveri. Ma era appunto un eco­no­mi­sta libe­rale non un fame­lico spe­cu­la­tore neo­li­be­ri­sta come coloro che hanno ispi­rato e scritto la legge. Sul Pre­si­dente del con­si­glio è infine meglio tacere: temiamo che non rie­sca nep­pure a com­pren­dere l’urgenza di met­tere mano ad un orga­nico prov­ve­di­mento legi­sla­tivo che inverta il fal­li­men­tare ven­ten­nio libe­ri­sta ad ini­ziare dalle poste di bilan­cio ferme a pochi spic­cioli. Renzi con­ti­nua con «non ci sono i soldi» e «tanto ci pensa il privato».

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