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Le trasformazioni di Venezia. Elefanti in laguna
27 Luglio 2010
Vivere a Venezia
Un ampio servizio del mensile Costruire (luglio-agosto 2010) su ciò che si sta pericolosamente agitando nel territorio lagunare, secondo un percorso ed entro un’ideologia bipartisan

Mose, metropolitana, sviluppi urbani al Lido e Tessera: in città non mancano i progetti. Ma l’ecosistema è a rischio

La cristalleria è piena di elefanti. Per usare la metafora dell’urbanista Edoardo Salzano, veneziano d’adozione, la soave, fragilissima Venezia continua a fronteggiare impatti vari e assortiti, presenti e futuri. A cominciare dai 22 milioni circa di turisti annui che rappresentano ormai il pericolo numero uno per il suo delicato equilibrio, per proseguire con la perdita progressiva dei residenti (175 mila nel 1951, meno di 60 mila oggi) e, con essi, delle attività minute che fanno città, sostituite dall’orgia carnascialesca dei venditori di paccottiglia e souvenir. Pesano poi le grandi attività industriali, dai veleni di Porto Marghera, che ancora attendono una risposta progettuale, alla portualità turistica e commerciale, che fa transitare in laguna petroliere e navi da crociera sempre più grandi, acuendo i problemi del moto ondoso e della perdita dei fondali. Incombono i grandi progetti, Mose su tutti (nonostante abbia vinto la sua lunga guerra trova ancora fiera opposizione in città), ma anche gli sviluppi immobiliari al Lido e a Tessera, oggi in difficoltà, mentre la voglia di grandeur trasportistica fa pensare alla metropolitana sublagunare e all’alta velocità ferroviaria. E se Roma non avesse vinto il ballottaggio per la candidatura dei Giochi olimpici del 2020 – verso cui la città remava quasi all’unisono – oggi saremmo qui a ragionare su piscine olimpioniche e stadi per l’atletica leggera, così come un tempo si ragionava sulle infrastrutture necessarie per l’Expo 2000 che Gianni De Michelis e Carlo Bernini avrebbero voluto portare sotto il campanile di San Marco.

Cosa comporta tutto questo? Scrive lo storico Piero Bevilacqua nel suo bel saggio “Venezia e le acque” (Donzelli): “L’antico rapporto di simbiosi anfibia fra la città e la sua gente, alla base del miracolo di conservazione cui Venezia deve la sua sopravvivenza, si è dissolto […] a vantaggio di un insieme di relazioni occasionali, fuggevoli, superficiali. Al suo posto […] è subentrata un’anonima ‘folla cittadina’ che usa la città come un fondale teatrale, sontuoso ma estraneo ai suoi interessi materiali e alla sua fretta, e sostanzialmente vissuto con indifferenza”. Lo stesso legame culturale dei veneziani con l’elemento acqua, secondo Bevilacqua, è cambiato: “Gli innumerevoli canali e rii che intersecano vie, calli, edifici, campi […] sono ormai vissuti come un impaccio”. Da qui la voglia di velocità e sviluppo. Che certo vanno governati, come in qualunque altra città italiana, ma che qui richiedono “uno straordinario sforzo di impegno e di creatività del potere politico”.

Il punto è questo: chi comanda oggi a Venezia? Non il sindaco, dicono i maligni, in una città che è sotto tutela statale da quasi 40 anni. Sarà un caso, ma il Mose è passato con la benedizione di tutti i governi, a cominciare dagli esecutivi di centrosinistra (Amato e Prodi), sulla carta del medesimo colore delle varie giunte comunali Cacciari, molto ostili al sistema di dighe mobili. Qui poi è attivo sin dai primi del Novecento il Magistrato alle acque, longa manus del ministero delle Infrastrutture ed espressione prima della particolarità amministrativa di Venezia; qui sono molto influenti sia l’autorità aeroportuale, che a colpi di traffici (il Marco Polo è il terzo scalo passeggeri in Italia) sta influenzando gli sviluppi urbani di Tessera, sia l’autorità portuale, affidata a un personaggio del calibro di Paolo Costa, già rettore di Ca’ Foscari, sindaco e ministro dei Lavori pubblici; qui agiscono commissari per le più svariate incombenze, dal controllo del moto ondoso allo scavo dei canali, perfino la costruzione del Palazzo del cinema al Lido ha il suo. Anche la Regione svolge un ruolo attivo nella salvaguardia della Serenissima, affidatole dalle leggi speciali per Venezia, occupandosi del disinquinamento del bacino scolante lagunare. Per non dire del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la progettazione e la realizzazione del Mose, che gestisce una partita da 4,7 miliardi di euro (e chissà se basteranno) con forti ricadute territoriali.

In questa arlecchinata di poteri, com’è inevitabile, ciascuno rivendica competenze e spazi, spesso in conflitto con quelli degli altri. Morale: tutto si muove con una certa vischiosità e manca un’idea di sviluppo coerente e condivisa. Senza un’inversione di rotta Venezia rischia una radicalizzazione dei problemi, con la perdita dell’ecosistema lagunare, trasformato irrimediabilmente in un braccio di mare, il centro storico mutato in una Disneyland a uso e consumo di un turismo sempre più mordi e fuggi (i grandi hotel sono in crisi), il progressivo degrado delle strutture architettoniche, già oggi evidente in molte parti della città: alla fine di maggio La Nuova Venezia denunciava le crepe nei ponti dei Bareteri e del rio San Luca, mentre crollano le rive lungo rio del Malibran, conseguenza “di anni di traffico selvaggio e tagli alla legge speciale – per finanziare le grandi opere – e dunque alla manutenzione diffusa della città”. Vedremo se la nuova giunta comunale guidata da Giorgio Orsoni riuscirà a recuperare voce in capitolo. E a bloccare almeno in parte la deriva cui sembra destinata la Serenissima.

Questione di Principia

Al centro dell’attenzione, non fosse altro per il giro d’affari che muove, resta il Mose, che ormai drena per intero gli stanziamenti destinati alla salvaguardia di Venezia. “La legge speciale non è mai più stata finanziata”, si rammarica Giampietro Mayerle, che dirige l’ufficio salvaguardia presso il Magistrato alle acque, chiamato a seguire il lavoro del Consorzio ma anche esecutore di progetti in diretta amministrazione, soprattutto di difesa morfologica: quando c’era qualche spicciolo da spendere, appunto. Procedono invece le opere del Mose alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, dove verranno posizionate le schiere di 79 paratoie mobili. Le dighe sono destinate ad alzarsi con una marea di 110 cm, cioè in media 3,6 volte all’anno, secondo uno studio dell’Istituzione centro maree di Venezia (periodo considerato 1966-2008): non spesso, dunque, ma la tendenza è in crescita – 53 eventi dal 1996 al 2005, più del doppio rispetto al decennio precedente – causa i fenomeni contemporanei di subsidenza (abbassamento del livello del suolo) ed eustatismo (innalzamento del mare), che hanno fatto perdere alla città 23 centimetri nell’ultimo secolo.

In particolare, al Lido è stato costruito un porto rifugio, “costituito da due bacini – spiegano al Consorzio Venezia Nuova – che consentiranno il ricovero e il transito, attraverso la conca di navigazione, delle piccole imbarcazioni e dei mezzi di soccorso quando le paratoie saranno alzate”. Qui, al centro della bocca, è stata realizzata anche una nuova isola, punto d’arrivo delle due schiere di paratoie previste. A Malamocco, oltre alle strutture di spalla alle dighe mobili, è stata ultimata la scogliera curvilinea (1.300 metri) “che ha la doppia funzione di smorzare la vivacità delle correnti di marea e creare un bacino di acque calme a protezione della conca di navigazione per le grandi navi dirette a Marghera”, mentre a lato della conca è stata allestita un’area provvisoria di cantiere, dov’è in corso la costruzione dei cassoni di alloggiamento delle paratoie: si tratta di veri e propri edifici, alti fino a 12 metri, larghi 60 e lunghi 40-50. A Chioggia, oltre alla scogliera di 500 metri, sono quasi ultimati i lavori che interessano il lato nord della bocca, dove si sta realizzando un altro porto-rifugio per i pescherecci. A Selvazzano (Pd), invece, è stata realizzata la pre-serie del gruppo cerniera-connettore, elementi di snodo fra cassoni e paratoie, su cui “sono in corso le prove finalizzate alla produzione industriale e al montaggio”. La costruzione delle cerniere sarà affidata con gara europea bandita dal Consorzio, una delle poche sfuggite alla concessione unica. C’è poi tutta la partita della manutenzione del Mose: l’Agenzia del demanio con un’altra concessione ha assegnato al Magistrato alle acque, che agisce attraverso il Consorzio, 125 mila metri quadrati di aree nella zona nord dell’Arsenale. I lavori, anche qui, sono quasi ultimati: alle Tese della Novissima, in particolare, andranno le attività di gestione (monitoraggi ambientali, raccolta dati sull’ecosistema, controllo operativo delle barriere), mentre la manutenzione vera e propria delle paratoie avverrà nei bacini di carenaggio. Allo scopo è in fabbricazione un natante speciale (jack up) in grado di installare e rimuovere le barriere, munito di quattro gambe telescopiche che si appoggiano sul fondo per effettuare l’intervento. L’intera operazione, sottolineano al Consorzio, sta occupando circa 3 mila addetti, con l’impiego nei cantieri di circa cento mezzi navali: dovrebbe essere ultimata nel 2014. I costi: 4,678 miliardi, con importi finora assegnati pari a 3,244 miliardi e avanzamento delle opere stimato al 63 per cento, “essendo stati impegnati per interventi ultimati o in corso 2,949 miliardi rispetto al fabbisogno totale”.

A valutare questi dati sembrerebbe che per gli oppositori del Mose la partita sia ormai persa. I cantieri avanzano e lo Stato li finanzia: anche nella manovra di rastrellamento di fondi non spesi operata dal ministero dell’Economia a fine maggio sono saltati fuori altri 400 milioni per il sistema di dighe mobili. Il Comune, poi, agita il ramoscello d’ulivo: sia le dichiarazioni del neo sindaco Orsoni che quelle dell’assessore all’Urbanistica, Ezio Micelli, sono improntate a realismo. “Sicuramente l’opera richiede un processo di accompagnamento da parte del Comune – ci ha detto Micelli – perché molti interventi hanno rilievo urbano significativo, soprattutto a nord, e su questi qualche riflessione, sul piano paesaggistico e urbanistico, va fatta. Ma non credo che ci siano ulteriori margini di manovra. Continuare a ostacolare il Mose dopo che governi di ogni colore hanno dato il via libera non avrebbe senso. Anche la città ha cambiato atteggiamento: prima si coglieva maggiore ostilità, adesso prevale la curiosità di vedere finita la grande opera e valutarne il funzionamento”.

Il punto è proprio questo: la tecnologia del Mose reggerà la prova in mare? Lasciamo pure alle spalle le ferite del passato. Dimentichiamo dunque le polemiche sull’affidamento dell’opera senza gara pubblica e con oneri concessori alti (12%); scordiamoci la bocciatura nel 1998 da parte della Commissione ministeriale di valutazione d’impatto ambientale, visto che il decreto fu poi annullato dal Tar Veneto su ricorso presentato dalla Regione e il governo, che pure poteva predisporre una nuova Via, mollò il colpo; non consideriamo – del resto, chi l’ha fatto? – le bacchettate della Corte dei Conti, che in un’ordinanza nel febbraio 2009 ha messo sulla graticola vari aspetti del Mose, fra cui i costi, “incrementati per una serie di cause come le continue rimodulazioni, l’introduzione di nuove opere, l’indeterminatezza progettuale”, e i collaudi, affidati “con scarsa trasparenza” a consulenti esterni; mettiamo da parte le numerose proposte alternative per risolvere il problema dell’acqua alta presentate dal Comune, fra cui il celeberrimo sistema di paratoie a gravità firmato da Vincenzo Di Tella, che funziona in maniera simile al Mose ma si aziona in modo opposto, sfruttando il senso e la forza idrodinamica della marea, con un bel risparmio di energia; sorvoliamo infine sul fatto che del Mose c’è solo un progetto definitivo, “però di grande dettaglio – spiegano al Consorzio – perché l’opera è talmente vasta che sarebbe stato impossibile presentare un unico esecutivo”, sicché si è deciso di procedere per stralci funzionali.

Resta comunque di attualità la querelle con la rinomata società di studi offshore Principia di Marsiglia, considerata una delle più attendibili del settore, che ha bocciato clamorosamente il Mose. Cos’è accaduto? Per capire, bisogna fare un passo indietro, alle riunioni presso la presidenza del Consiglio dei ministri del 2 e 8 novembre 2006, nelle quali il Comune aveva tentato l’ultimo vano assalto al sistema Mose, “sulla base di analisi e valutazioni che avevano, fra l’altro, evidenziato gli aspetti critici strutturali del progetto”, ricorda Armando Danella, che per anni ha diretto l’ufficio salvaguardia del Comune veneziano. “In quell’occasione – prosegue – alcuni cattedratici del settore marino off-shore ci avevano consigliato di non desistere, perché i metodi di calcolo evolvono molto rapidamente e sarebbe stato plausibile, nel giro di qualche tempo, effettuare valutazioni più approfondite sul progetto”.

Passano dunque un paio di anni e viene commissionato a Principia “un nuovo studio volto ad analizzare il comportamento dinamico della paratoia Mose”: sembra che sia stato proprio Danella a convincere Cacciari, ormai rassegnato alla sconfitta, ad affidare l’incarico. Principia, che ha sviluppato una modellistica all’avanguardia, dopo avere studiato il progetto definitivo del Mose esprime due valutazioni piuttosto pesanti: in certe condizioni di mare avverso (onde alte 2,2 metri e periodo di otto secondi), “già superate peraltro nel recente passato”, afferma Danella, le paratoie alzate oscillano con ampi angoli che fanno entrare acqua in laguna; e questa amplificazione non controllata dell’angolo di oscillazione “rende il Mose sistema dinamicamente instabile – continua Danella – il che comporta l’impossibilità di identificare un corretto e attendibile dimensionamento delle strutture, delle cerniere e dei connettori; né per questo si può utilizzare la sperimentazione in vasca su modelli in scala ridotta, dove gli effetti viscosi non sono rappresentati correttamente”. Detto un po’ brutalmente e in altri termini: le paratoie in certe condizioni di mare non tengono. E comunque è impossibile dimensionarle correttamente. La loro efficacia sarà testata direttamente in mare. Non il massimo, come garanzia, per un’opera da 5 miliardi di euro.

Lo studio viene consegnato a Massimo Cacciari, che stranamente tiene la pistola fumante chiusa nel cassetto per qualche mese. Poi, quasi obtorto collo, il 22 luglio del 2009 lo fa pubblicare sul sito del Comune: una tempistica che spinge il Consorzio a parlare di “uso strumentale dello studio” da parte della precedente giunta. Comincia anche un balletto di accuse senza ritorno. Il Magistrato alle acque, informato della vicenda, prima presenta alcune domande tecniche a Principia (o meglio, le fa inoltrare formalmente al Comune stesso) e, una volta ottenute, fa scendere in campo il suo Comitato tecnico, che presenta le sue controdeduzioni, chiamando in causa un’altra volta il pool internazionale di esperti di riferimento e negando la validità dello studio; Principia ribadisce seccamente le sue posizioni. Volano, fra le righe, accuse reciproche d’incompetenza: la sfida è pesante, ma molto sotto traccia. Per questo motivo Danella, che fa parte dell’associazione Ambiente Venezia, più un ampio pool di soggetti, da Italia Nostra al Wwf, dalla Lipu ai No Mose, vorrebbero lanciare un dibattito tecnico-scientifico a livello internazionale sul tema. Il problema è serio, affermano: Venezia non è forse patrimonio mondiale dell’Umanità? La partita non è perduta, sostengono, considerato che finora sono state realizzate solo le opere preparatorie del Mose, ma non il sistema di dighe mobili vero e proprio. Sognano il colpo di scena finale, la carta che spariglia il gioco. Il dossier Principia circolerà ancora e chissà cosa produrrà. “Il Mose non sarà fermato – è la chiosa tombale di Andreina Zitelli, docente di Analisi e valutazione ambientale dei progetti dell’Università Iuav di Venezia e membro della Commissione Via che bocciò il progettone – non fu bloccato vent’anni fa, quando era ancora possibile intervenire, figuriamoci oggi: non c’è più tempo, né l’intellettualità necessaria a sostenere ipotesi alternative, né fondi. Ma non funzionerà. Mi spiace solo che non ci sarò più nel momento in cui il suo fallimento sarà sotto gli occhi di tutti”.

Trasformazioni a rischio

“L’assoluta specificità di Venezia – afferma Edoardo Salzano – è costituita dal suo rapporto con la laguna, in particolare dal rapporto fra trasformazione e natura, in cui la città per secoli è stata maestra. Sotto questo aspetto, la città è sempre stata modernissima: l’attenzione all’ambiente che ha mostrato la Repubblica la rende un caso esemplare. Oggi si confrontano due linee opposte: la difesa di questa specificità e la tendenza all’omologazione, cui appartengono progetti edificatori a largo spettro, dalla realizzazione della sublagunare alla considerazione dell’acqua come rischio e non come risorsa. Ed è questa, purtroppo, la tendenza vincente”, nonostante un’antica regola della Serenissima, ripresa anche dalla seconda legge speciale (n. 798/84), prevedesse in laguna solo trasformazioni sperimentali, graduali e reversibili. “In questa città – spiega Cristiano Gasparetto, consigliere di Italia Nostra – le opere proposte vengono realizzate per parti: manca una visione strategica del futuro di Venezia. Chi vuole la sublagunare, per esempio, invoca la necessità di muoversi in centro con minore lentezza, che però qui è un valore”. Chi vuole la sublagunare (Tessera-Arsenale, con l’idea di portarla fino al Lido) è sicuramente Enrico Marchi, patron della Save, la società che gestisce l’aeroporto Marco Polo, considerandola uno strumento necessario al lancio in orbita dello scalo. Sicuramente l’avrebbe voluta anche la giunta Cacciari: come ricorda Carlo Giacomini, docente di Scienza dei trasporti allo Iuav, “la metropolitana è stata prevista dal pum, il piano urbano integrato per il sistema della mobilità. Dispiace che in quella sede non si siano volute valutare in maniera comparativa altre opzioni strategiche. La metropolitana – ma anche il tram a Venezia – è stata assunta come scelta scontata: come sempre, si è deciso di anticipare l’infrastruttura alla programmazione della mobilità”. Quanto alla sublagunare, progetto a canna unica destinato ad attirare una quota risibile della mobilità veneziana (8-9% secondo stime comunali), “non si comprende se sia più inutile o pericolosa”, chiosa Giacomini. La giunta Orsoni, sul tema, sembra freddina: i 600 milioni necessari a costruirla non ci sono, la cordata guidata dall’Actv (l’azienda comunale dei trasporti) è ferma al palo e la realizzazione, al di là dei problemi finanziari, presenta gravi incognite ambientali. La canna – ma bisognerebbe costruirne almeno due, per motivi di sicurezza – correrebbe a 27 metri di profondità e andrebbe a sfondare il caranto, sedimento di argille storiche su cui poggia Venezia, tagliando anche le falde acquifere. La sua compatibilità con l’ecosistema lagunare, semplicemente, non esiste.

Ben diverso è l’affaire Tessera city, sviluppo immobiliare attorno all’aeroporto voluto ancora da Cacciari, che nel gennaio 2009 in una notte da lunghi coltelli, in mezzo a mille polemiche, ha varato una delibera che ha trasformato in edificabili “i terreni agricoli di una delle aree a maggior rischio idraulico di tutto il Triveneto”, come sottolinea Stefano Boato, docente di Pianificazione e progettazione del territorio allo Iuav. Lì, come abbiamo visto, dovrebbero attestarsi metropolitana e alta velocità ferroviaria, progetti altamente improbabili; lì avrebbe dovuto essere realizzata buona parte delle infrastrutture dei Giochi del 2020, ormai sfumati; lì resta in vita il Quadrante, megaprogetto da 1-2 milioni di metri cubi (casinò, alberghi, stadio e centri sportivi, commerciali e direzionali), vera e propria nuova città (Tessera city, appunto). “È bastato un voto del consiglio comunale – continua Boato – e il valore delle aree si è moltiplicato per venti volte, con la plusvalenza messa immediatamente a bilancio dai proprietari, ovvero dalle società Save e Casinò municipale di Venezia. Evidentemente si preferisce costruire ex novo a Tessera anziché riusare i grandi spazi dismessi di Marghera, perché ancora da bonificare, o riqualificare le periferie di Mestre, dove insistono 4 mila appartamenti invenduti”. Di diverso avviso l’assessore Micelli: “Capisco le preoccupazioni legate al consumo di nuovo territorio, però Tessera è uno dei grandi poli del sistema metropolitano veneziano, non può non essere valorizzato con attrezzature collettive e messo a disposizione di un territorio più ampio. La mia sfida sarà coniugare sviluppo e una rinnovata attenzione per la dimensione socioambientale. Vedo però che inizia a diffondersi in città un’opposizione a qualunque tipo di sfida. Con valutazioni certo legittime, che però non condivido”.

Altro tema che ha mosso molti malumori in città è lo sviluppo in corso al Lido, isola già interessata dai lavori del Mose agli Alberoni e a Malamocco, nonostante sia caratterizzata da un ambiente speciale, “non a caso tutelato dal palav, il piano d’area della laguna di Venezia – afferma Fabio Cavolo, esperto ambientale e lidense doc – strumento operativo della legge speciale che vincola le aree a valenza storica, paesaggistica, ambientale e culturale”. La complessa vicenda è stata sintetizzata in un esposto presentato da un gruppo di associazioni – dalla Lipu a Codacons Veneto, da Venezia civiltà a Pax in Aqua – al procuratore capo della Repubblica di Venezia Vittorio Borraccetti. Al centro della querelle, una serie di questioni: fra l’altro, l’acquisto da parte del Comune dell’ex Ospedale al mare con fondi della legge speciale, impiegati poi per la realizzazione del nuovo Palazzo del cinema; l’avvio dei lavori senza completa copertura finanziaria; il ricorso a un commissario straordinario, Vincenzo Spaziante, per la costruzione del Palacinema, “derogando dalle leggi che tutelano il patrimonio ambientale e storico nell’area di edificazione”; l’abbattimento di una pineta storica e diverse alberature nel parco delle Quattro fontane, nonché “l’improprio utilizzo dello stesso quale area di cantiere”; la distruzione dei resti del forte ottocentesco del piazzale Casinò, situato sotto il Palacinema, e l’alienazione “per scopi diversi di quelli sanitari” di strutture ospedaliere “frutto di donazioni pubbliche e private”. Sotto accusa anche l’estensione dei poteri del commissario delegato ad altri progetti privati che vengono considerati connessi al Palacinema, dalla riqualificazione degli hotel Des Bains ed Excelsior alle villette-centro benessere del riconvertito forte asburgico di Malamocco. Secondo i ricorrenti, si tratta di interventi “che non rivestono carattere né di urgenza né di eccezionalità ed evitano tutte le autorizzazioni di rito, compresa quella della Commissione per la salvaguardia di Venezia”. L’allargamento dei poteri era stata determinata da un’ordinanza del presidente del Consiglio dei ministeri del 15 luglio 2009: ricorda qualcosa? Al Lido è in campo un operatore unico, la società Est Capital, presieduta dell’ex assessore alla Cultura della prima giunta Cacciari, Gianfranco Mossetto: ciò nonostante i lavori procedono a rilento, soprattutto la realizzazione del Palacinema, che avrebbe dovuto rientrare nel pacchetto di opere per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: “Il progetto viene continuamente ridimensionato – afferma il segretario della Cgil veneziana Salvatore Lihard – in carenza di finanziamenti. Secondo gli investitori sono pronti, complessivamente, 800 milioni da spendere per il Lido, ma noi siamo molto scettici: qui le opportunità stanno svanendo, la crisi è fortissima e la desertificazione produttiva è alle porte”. Anche il Comune, come chiarisce Micelli, ha chiesto a Spaziante un ripensamento complessivo dei progetti per il Lido. L’assessore parla di “modalità di partecipazione democratica violentate” e della necessità “di riprendere in mano in blocco i progetti che hanno valenza urbanistica. Su questo c’è comune sentire con il sindaco Orsoni e anche gli investitori – nonché lo stesso commissario – stanno dimostrando ampia disponibilità a discutere”.

Anche la vicenda Lido ha visto in campo, per l’ennesima volta, un pool di associazioni, che rappresenta la vera novità del panorama politico veneziano. Si è costituito un coordinamento di 16 sigle che ha chiesto a Orsoni maggiore trasparenza sull’attività di governo, soprattutto nelle scelte di sviluppo del territorio: “Per costruire una vera partecipazione dei cittadini – sottolinea una delle animatrici del pool, Tiziana Plebani di Geografia di Genere – è necessario agire per un potenziamento degli spazi pubblici e della loro utilizzazione; il secondo passaggio per la costruzione di una vera relazione democratica fra cittadini e amministratori è l’ascolto. Esiste alla base della società civile una ricchezza infinita di saperi e di competenze che tengono conto della persona e dell’ambiente. Disinteressatamente, senza prebende o consulenze. Uno scambio fuori mercato “per tenere il mercato fuori dalla città”, considerata come “bene comune collettivamente gestito”. Ma per ora ciascuno procede per la sua strada.

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