Di Mohamed Daki , il marocchino che il ministro degli interni italiano ha espulso per «pericolosità» dopo che i giudici italiani lo avevano assolto in primo e secondo gardo dall'accusa di terrorismo internazionale, non si sa che fine abbia fatto una volta sbarcato a Casablanca e si teme che sia stato sbattuto nel carcere di Kenitra, a 200 km da Casablanca, tristemente noto per la durezza delle condizioni di detenzione. Il suo avvocato ricorda al nostro ministro che l'Italia non può consegnare nessuno a stati in cui il rispetto dei diritti umani non è garantito, ma il nostro ministro sa quello che fa, vanta «indizi e elementi probatori» insufficienti per la magistratura ma più che sufficienti per lui, ed è coperto dalle leggi speciali antiterrorismo che il parlamento ha votato qualche mese fa. E' coperto anche dal giudice di Milano che due settimane fa aveva assolto Daki, e che oggi dà il suo ok a mezzo stampa alla doppia corsia della via crucis di Daki: il potere giudiziario agisce valutando le prove e se le prove non ci sono deve assolvere, il potere esecutivo «previene» valutando la pericolosità in base a «parametri diversi», dio sa quali. Contraddizioni ordinarie quando l'eccezione diventa la regola, ovvero quando le leggi speciali e l'esecutivo prevalgono sulla Costituzione e la giurisdizione.
E l'eccezione, dopo l'11 settembre, è diventata la regola per ogni dove nell'Occidente che esporta democrazia e diritti. Si cominciò con Guantanamo, la «detenzione infinita» e le corti speciali dell'amministrazione Usa, e si sapeva che si sarebbe finiti chissà dove. Per ora siamo approdati alle extraordinary renditions, gli arresti sbrigativi dei sospetti terroristi e ai voli fantasma della Cia per portarli a destinazione in centri di detenzione segreti sparsi nei paesi dell'ex blocco sovietico, con Condoleeza Rice che giura e spergiura sulla Costituzione americana e sull'osservanza dei diritti fondamentali e richiama all'ordine i governi europei al grido di «siamo tutti nella stessa barca contro il terrorismo», spalleggiata dal consigliere della sicurezza Hadley che invita i governi europei medesimi a «non fare il gioco del nemico».
Regole violate? Costituzioni e costituzionalismo nella cantina della storia? Macché, «abbiamo solo salvato delle vite umane». Anche in Iraq, va da sé, il gioco del massacro continua per impiantare democrazia e salvare vite umane, anche se le vittime irachene sono ormai 30 mila e quelle americane 2140, conti di Bush alla mano, e si suppone che pure i seicento prigionieri perlopiù sunniti ammassati, denutriti, maltrattati e torturati (elettroshock, ossa spezzate, unghie strappate) scoperti in un campo di detenzione di Baghdad gestito da iracheni siano solo un incidente di percorso, l'ennesimo: Baghdad aprirà un'inchiesta, Bush garantisce che le mele marce pagheranno.
La guerra in Iraq intanto è diventata un gioco di società, The battle to Baghdad: the fight for freedom, in vendita in Internet, 29 dollari di cui uno viene devoluto alle famiglie dei caduti, dadi bianchi per i willing, dadi gialli per Saddam, perdite fino a 200 uomini con una autobomba e fino a 100 come penalità per eventuali torture inflitte ai prigionieri. Eventuali. Rick Medina, imprenditore edile dell'Oregon che s'è inventato il gioco, non ci trova niente di male, ha 33 anni, si è pure opposto alla guerra ma «come americano sono stato educato a pensare che dobbiamo fare affari con le idee che abbiamo». Il prossimo gioco potrebbe avere come scenario il mondo intero e chiamarsi Underground, come un vecchio magnifico film di Kusturicka che parlava di quello che viveva, rimosso, nei sotterranei reali e inconsci dell'impero comunista. Nelle segrete reali dell'impero democratico adesso vive, nascosta detenuta e torturata, e se aggiungiamoi i Cpt per gli ordinari migranti semplicemente ammassata, una popolazione intera di sospetti e di reietti, il rimosso dello stato d'eccezione che non turba i nostri sonni.