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Sergio Harari
Le scelte strategiche in momenti di crisi
28 Aprile 2011
Articoli del 2011
Dalla rubrica “Città della Salute” del Corriere della Sera Milano, 28 aprile 2011, un lampante esempio della filosofia lobbystica che devasta il territorio, magari pure in buona fede. Postilla (f.b.)

Cerba, Città della Salute o entrambe? In un momento di crisi e di difficoltà con sempre meno risorse disponibili per la sanità la domanda è tutt’altro che scontata. Realizzare entrambe le strutture oggi sembra un’impresa titanica, la crisi economica impone spese sempre più oculate e i ricoveri ospedalieri in tutta Italia sono in flessione. Milano già oggi garantisce oltre 500 mila ricoveri ogni anno ma ambisce sempre più a diventare un polo europeo di riferimento per la salute.

Il Centro europeo di ricerca biomedica avanzata (Cerba), dovrebbe nascere sui terreni del Parco Sud vicini all’attuale sede dell’Istituto Oncologico Europeo, mentre dalla parte opposta della città, a nord-ovest, dove oggi si trova l’ospedale Sacco, avrebbe sede il polo della Città della Salute che prevede il trasferimento dell’istituto dei Tumori e del neurologico Besta, per un totale di 1.450 posti letto, diventando così uno dei più grandi ospedali italiani.

Intanto il Policlinico continua a marce forzate la sua opera di ristrutturazione e rinnovamento; è già attivo il primo blocco del nuovo Niguarda e per il 2014 è prevista l’ultimazione dei lavori; da questa estate è poi avviato il nuovo polo cardiologico dell’Auxologico in piazzale Brescia, insomma l’offerta sanitaria in città non manca. La sanità è uno dei più importanti motori della nostra regione e i nuovi poli costituiscono una grande occasione di rilancio tecnologico ma anche di investimento residenziale per la nostra metropoli, un’opportunità per realizzare nuovi spazi dove ricercatori, studenti, infermieri possano trovare luoghi di accoglienza e incontro.

Non ci si può però permettere di sprecare risorse, è fondamentale una programmazione mirata e corretta, sviluppando gli interventi sulla base dei reali bisogni di salute della popolazione, non si può ripetere quanto è successo in passato e che ha portato la nostra regione ad avere più cardiochirurgie di tutta la Francia. Alcune aree specialistiche sembrano, già oggi, troppo affollate, la competizione sta divenendo eccessiva e sterile per il malato. L’azione di programmazione dovrebbe essere indirizzata a coprire i vuoti assistenziali, a potenziare le strutture e i servizi più deficitari dei quali domani avremo maggiore necessità.

postilla

La chiave di lettura di questo articolo, che ahimè riflette e plasma l’opinione pubblica su un tema fondamentale per la convivenza civile, potremmo anche titolarla: “Ottenuta la separazione legale fra Città Sana e Città della Salute”. Perché di questo si tratta: lo star bene direttamente proporzionale alla densità locale di camici bianchi, posti letto, servizi e apparecchiature connessi. Che disastro! E pensare che l’urbanistica moderna nasce proprio da una convergenza di varie prospettive tecnico-scientifiche sul tema della Salute! Ma si vede che anche questo punto di vista è un po’ come il bistrattato “veteromarxismo” di chi vuole tenere i negozi chiusi il Primo Maggio: fuffa ottocentesca di cui liberarsi disgustati al più presto.

Possibile che non venga in mente a nessuno, l’equazione fra qualità urbana e salute, qualità urbana e congestione/stress/inquinamento, e infine la banalissima statistica del rapporto fra abitanti e verde in città? Macché: la “Salute” sono più ospedali, e gli ospedali si mettono là dove hanno deciso i medici (e magari, di sfuggita, i loro sponsor palazzinari), senza badare a sciocchezze tipo l’occupazione delle poche residue aree verdi in città. Cosa mai sarà l’azzeramento di qualche rete ecologica del Parco Sud o la cancellazione di una delle poche soluzioni di continuità fra gli svincoli autostradali nord-ovest e la cintura metropolitana, di fronte alla “opportunità per realizzare nuovi spazi dove ricercatori, studenti, infermieri possano trovare luoghi di accoglienza e incontro”?

Personalmente non mi permetterei mai di entrare in una sala operatoria esponendo le mie presunte priorità o opportunità d’intervento, neppure se si trattasse di persona cara. Ma forse il mio è un atteggiamento malsano, chissà (f.b.)

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