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Corrado Stajano
Le risorse per battere il declino
19 Marzo 2011
Recensioni e segnalazioni
Una generazione perduta, quella la cui intelligenza non serve al paese e si disperde in rivoli di frustrazione. Corriere della Sera, 19 marzo 2011 (f.b.)

A leggere questo libro, Italia sperduta, di Carlo Donolo, tra i sociologi più conosciuti, professore alla «Sapienza» di Roma, viene in mente quel che disse un vecchio signore di buon senso davanti a un talk show della tv popolato di ministri, corifei, amazzoni urlanti, dimentiche anche di esser donne, alla disperata difesa del cavaliere di Arcore: «Ma che libri hanno letto?» . Un saggio denso, amaro, radicale nelle analisi, l’Italia sperduta (Donzelli, pagine 175, e 18), che non indulge in critiche moralistiche, ma racconta i fatti del passato prossimo e remoto e li mette a confronto con l’oggi, tempo in cui prevalgono l’incertezza, l’ansia, il conformismo timoroso.

«Pulcinella e Sganarello sono dei geni a fronte dell’ottusità imperante» scrive Donolo. Che cosa è mai successo, si domanda, come è stato possibile, cosa, nel recente passato, può spiegare questo presente? Cosa abbiamo fatto e omesso? Ci sono vie d’uscita? Donolo le cerca, non è un pessimista compiaciuto, esistono le energie possibili per ricominciare: tutta una società minuta, priva purtroppo di ponti capaci di collegare il fare diffuso, spesso sconosciuto.

Manca la politica, manca il rispetto per la Costituzione e questo rende fragile la democrazia. Il nodo del libro è la crisi cognitiva della comunità: «Significa che il Paese non riesce a transitare verso una forma più avanzata, verso la società della conoscenza, pur avendo risorse, perfino eccellenze, in diversi campi» per restare agganciati all’Europa, per competere nella globalizzazione, per affrontare in modo innovativo i molti problemi strutturali del Paese, in ritardo, incompiuto, specchio di una modernizzazione superficiale. I temi dell’Italia sperduta sono innumerevoli.

Il tradimento dei ceti medi, toccasana elettorale dei partiti, tutti, che li corteggiano, è essenziale. Plebeizzati, privi di identità culturale, con il miraggio delle rendite, non del lavoro — consumi senza cultura— i ceti medi hanno rinunciato alla loro funzione equilibratrice: «Si buttano all’avventura, alla cieca (…) spesso con rabbia, livore e disgusto» . Il conflitto tra generazioni è diverso rispetto al passato. I padri, bisognosi di rassicurazioni, «si buttano sull’offerta politica peggiore: sanatorie, scudi fiscali, condoni, piani casa, economia sommersa, approssimazione (…) tra intolleranza e livore (…) compreso il contorno di belle di giorno e di notte» . I figli sono disorientati, apatici nella grande maggioranza, allietati da qualche gadget.

Poi esiste una minoranza attiva, costruttiva, piuttosto che ribelle. C’è sempre stata, dal Risorgimento alla Resistenza. Ma adesso, sostiene Donolo, i politici, quelli meno ignoranti, possono soltanto pescare nei progetti intelligenti e sostenibili di quei giovani che rappresentano «la confutazione del conformismo della rassegnazione e delle velleità patrimonializzate e di rent seeking (prelievo di rendite) dei loro genitori» , avvinghiati alla «roba» , ciechi nel non vedere, che condannano i figli a un futuro gramo. «La regressione psicoculturale italiana ha qui il suo cuore» . Il ceto medio irriflessivo pensa di essere protagonista, l’unico in grado di dettar legge riprendendo il potere dopo essersi servito degli uomini d’avventura.

Accadde col fascismo, sta accadendo col berlusconismo che, secondo Donolo, è «la cultura politica del saper approfittare privatamente della tragedia collettiva» . Il nostro è un Paese in drammatica crisi, politica, morale, culturale, di costume di vita. «Calpesti e derisi» nella comunità europea, è indispensabile riportare l’Italia alla decenza: nella ricerca scientifica, nella formazione universitaria, nella riforma scolastica, nella vivibilità urbana, nel risanamento dei centri storici, nella bonifica di aree a rischio ambientale, nella tutela del paesaggio, nella riforma della pubblica amministrazione. Il problema della classe dirigente, assai scadente, è primario.

Il reclutamento è dissennato, oggi ancora di più, con una legge elettorale che impedisce la scelta dei candidati e i partiti che impongono soltanto uomini e donne fedeli. Si è creato «un regime di ingovernabilità fondato su un nesso fiscale degradato, inefficiente e ingiusto» . Le carenze sono visibili: l’ambiente devastato, i tesori dell’arte lasciati morire, la cultura considerata un trascurabile additivo, non le fondamenta da cui ricominciare. Si vive alla giornata. Le grandi questioni nazionali sono trascurate, come la prevenzione a lungo termine.

Basta guardarsi intorno: la corruzione tocca tutti gli strati sociali, l’evasione fiscale è devastante, il consumo del suolo suicida, l’abusivismo un’abitudine tollerata, le regole nemiche, i poteri criminali padroni al Sud, diffusi al Nord. Certamente, il debito pubblico è micidiale, la crescita manca, ma questo non deve essere un alibi. Perché le risorse ci sono e anche le energie e gli anticorpi: si tratta di metterli in rete. Finalmente uno studioso che parla senza peli sulla lingua, come di recente hanno fatto nei loro libri Guido Crainz, Ermanno Rea, Marco Revelli. Per tentare di offrire una bussola a una classe dirigente cieca, sorda e purtroppo parlante con una volgarità ostentata.

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