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Joseph E. Stiglitz
Le risorse benedette
12 Agosto 2012
Articoli del 2012
« Le potenze coloniali di un tempo consideravano l’Africa alla stregua di un luogo dal quale estrarre meramente risorse. E alcuni [?] dei nuovi acquirenti continuano a mantenere questo atteggiamento.» La Repubblica , 12 agosto 2012

Le recenti scoperte di nuove risorse naturali in parecchi paesi, agosto africani – tra i quali Ghana, Uganda, Tanzania e Mozambico – sollevano un interrogativo importante: queste risorse insperate costituiranno una benedizione in grado di apportare benessere e speranza, oppure diventeranno una maledizione politica ed economica. In media, i paesi ricchi di risorse hanno avuto un rendimento addirittura inferiore a quello dei paesi privi di tali fortune. Sono cresciuti con maggiore lentezza e con maggiori sperequazioni. Proprio il contrario di quello che ci si sarebbe potuti aspettare. Dopo tutto, fissare imposizioni fiscali a tassi elevati sulle risorse naturali non ne provocherà la scomparsa, e ciò implica che i paesi le cui risorse naturali costituiscono la principale fonte di reddito possono utilizzarle per finanziare l’istruzione, l’assistenza sanitaria, lo sviluppo e la ridistribuzione. Si è andata sviluppando una vasta letteratura in campo economico e in quello delle scienze politiche, mirante a spiegare questa “maledizione delle risorse”.

Tre degli ingredienti economici di questa maledizione sono ben noti: 1) i paesi ricchi di risorse hanno la tendenza ad avere forti valute, che ostacolano le esportazioni di altri prodotti ; 2) tenuto conto che l’estrazione delle risorse comporta spesso un’esigua creazione di posti di lavoro, la disoccupazione aumenta; 3) i prezzi oscillanti delle risorse determinano che anche la crescita diventa instabile; a ciò contribuisce anche il fatto che le banche internazionali accorrono quando i prezzi delle materie prime sono alti e se ne allontanano non appena si palesa una recessione (riflettendo così il principio da tempo confermato secondo cui i banchieri prestano i loro soldi soltanto a chi non ne ha bisogno). Inoltre, il più delle volte i paesi ricchi di risorse non perseguono strategie di crescita sostenibili. Non riescono a capire che se non reinvestono le ricchezze ottenute tramite le loro risorse in investimenti redditizi sul campo, in realtà si impoveriscono sempre più. Le disfunzioni politiche, infine, esacerbano il problema, proprio come le lotte per l’accesso alle rendite delle risorse stesse portano a governi corrotti e non democratici. Per contrastare ciascuno di questi problemi esistono antidoti anch’essi ben noti: un basso tasso di cambio, un fondo di stabilizzazione, investimenti prudenti dei proventi delle risorse (anche tra la popolazione del paese stesso), il divieto a contrarre prestiti, e la trasparenza (così che la popolazione possa quanto meno vedere i capitali andare e venire). Cresce però il consenso sul fatto che queste misure, per quanto necessarie, non sono sufficienti: per aumentare la probabilità che dalle risorse nasca una “benedizione ” è indispensabile che i paesi che si sono arricchiti da poco prendano ulteriori provvedimenti.

Prima di ogni altra cosa, questi paesi devono fare molto di più per garantire che la cittadinanza riscuota l’intero valore delle risorse locali. Invece, esiste un inevitabile conflitto di interessi tra le società che hanno il controllo delle risorse naturali (e che di solito sono straniere) e i paesi che le accolgono. Le prime vogliono ridurre al minimo le loro spese, mentre i secondi hanno bisogno di portarli al massimo. Vendite all’asta ben organizzate, competitive e trasparenti potrebbero generare introiti molto più cospicui di quelli derivanti da transazioni effettuate con condizioni eccessivamente favorevoli. Anche i contratti dovrebbero essere trasparenti e garantire che qualora i prezzi scendessero – come è accaduto ripetutamente – i guadagni supplementari imprevisti non vadano soltanto alle società estere di sfruttamento delle risorse. Purtroppo, sono tanti i paesi che hanno già firmato contratti svantaggiosi e concedono quindi una percentuale spropositata del valore delle loro risorse alle società private straniere. Esiste però un modo per sopperire a ciò: rinegoziare tutto. E qualora ciò non fosse possibile, imporre una tassazione delle sopravvenienze attive. Cosa altrettanto importante, i capitali messi insieme grazie alle risorse naturali possono essere impiegati per promuovere lo sviluppo. Le potenze coloniali di un tempo consideravano l’Africa alla stregua di un luogo dal quale estrarre meramente risorse. E alcuni dei nuovi acquirenti continuano a mantenere questo atteggiamento. Si sono realizzate le infrastrutture (strade, ferrovie, porti) con un unico obiettivo in mente: far uscire dal paese le risorse naturali al prezzo più basso possibile, senza compiere alcuno sforzo volto a incentivare la lavorazione locale delle risorse, per non parlare dello sviluppo di industrie in loco per il loro effettivo sfruttamento. Per uno sviluppo reale è indispensabile invece scandagliare tutte le possibili connessioni: la formazione di lavoratori locali, lo sviluppo delle piccole e medie imprese affinché forniscano input per le attività estrattive e per le società petrolifere e del gas, una lavorazione locale, l’integrazione delle risorse naturali nella struttura economica del paese in questione. A contare davvero è il vantaggio relativo dinamico, o il vantaggio relativo sul lungo periodo, che può essere condizionato. Quarant’anni fa la Corea del Sud aveva un vantaggio relativo nella coltivazione del riso, ma se si fosse limitata a questo unico punto di forza oggi non sarebbe il colosso industriale che è diventato. Sarebbe potuta rimanere il produttore di riso più produttivo al mondo,ma sarebbe rimasta povera.

Traduzione di Anna Bissanti Copyright: Project Syndicate, 2012

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