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Alberto Vitucci
Le regole non sono in vendita
26 Febbraio 2012
Vivere a Venezia
Avvertimenti sensati di un giornalista intelligente agliarrogantiche tentano di intimidire chi critica il mercimonio della città. La Nuova Venezia, 26 febbraio 2012

I veneziani. La vicenda del Fontego ha risvegliato la voglia di partecipazione della città nelle decisioni - Il confronto. E’ nell’interesse di tutti trovare un accordo ma bisogna mettere nel conto qualche rinuncia

Ci sono occasioni, a volte inaspettate, in cui un’intera città – anche se impoverita nel suo tessuto sociale e provata da anni di «assalti» speculativi – si risveglia di colpo. E’ il caso del progetto per il nuovo Fontego dei Tedeschi, edificio cinquecentesco sotto il ponte di Rialto. Sono sempre di più i comitati, le associazioni, gli intellettuali, gli esponenti della società, della politica e della cultura che prendono posizione sulla vicenda diventata ormai un simbolo.

Al di là delle questioni tecniche, della terrazza bella o brutta, la questione è una sola: si può concedere all’imprenditore di turno – stavolta tocca a Benetton – di andare in deroga a qualunque regolamento vigente soltanto perché ha messo sul piatto un po’ di soldi? Fino a che punto le deroghe possono diciamo così essere «acquistate», approfittando del fatto che il Comune è all’asciutto, e per far quadrare i conti avrà bisogno di trovare nel 2012 cento milioni di euro? Come spesso succede in questa città il dibattito sta prendendo la via della contrapposizione armata. Da una parte i favorevoli, dall’altra i contrari. In realtà la situazione è molto più fluida, le maggioranze composite e bipartisan. Sarebbe sciocco schierarsi a priori per il mantenimento dello status quo. Il Fondaco dei Tedeschi, un tempo affrescato da Giorgione e Tiziano, è rimasto nell’immaginario dei veneziani come «il palazzo delle Poste». Luogo sociale di incontro nel cuore della città. I veneziani non hanno gradito che le Poste lo abbiano venduto a un privato, trasferendo in sedi molto più scomode i loro servizi. Ma oggi il Fontego è vuoto, ha bisogno di cure e restauri. Se non lo fa il privato, rischia il degrado. Dunque, ben venga l’intervento. E se necessario anche un cambio d’uso. «Per una volta», ha detto fiero Gilberto Benetton, «un grande palazzo non diventerà un albergo». Vero, se pensiamo che negli ultimi 5-6 anni sono quasi un centinaio i palazzi e gli edifici diventati hotel.

Ma c’è un limite. Non si possono concedere per questo «deroghe» che ai comuni mortali sono precluse. Nemmeno se la firma del progetto è quella prestigiosa dell’archistar olandese Rem Koolhaas. E’ l’opinione espressa più volte dall’associazione degli architetti veneziani, da associazioni come i 40X Venezia, Venessia.com, singoli intellettuali e professionisti, lo storico dell’arte Salvatore Settis, il rettore dell’Iuav Amerigo Restucci, l’architetto Mario Piana, per anni vice-soprintendente di Venezia. Nè vale invocare come ha fatto il sindaco Giorgio Orsoni, la polemica contro i «passatisti» che sono contro ogni cambiamento e nulla vogliono innovare.

Il Fontego non sarà mai un edificio «privato», anche se Benetton lo ha acquistato sborsando 53 milioni di euro, prezzo inferiore al valore di mercato proprio perché fino ad oggi il palazzo è vincolato ad uso pubblico. Non si deve certo scoraggiare l’innovazione e l’iniziativa privata. Anche se molte operazioni recenti firmate Benetton – la trasformazione del teatro del Ridotto in ristorante dell’hotel Monaco e del cinema San Marco in negozi, lo sventramento dell’ex Banco di Sicilia a San Salvador per ricavare vetrine anche qui in deroga al regolamento edilizio – hanno provocato negli anni furiose polemiche. Ma un imprenditore che vuole investire – soprattutto se non veneziano come in questo caso – dovrebbe capire che la sensibilità e le richieste di una città vanno rispettate. Che l’operazione potrebbe avere un grande successo – e Benetton acquistare maggiore popolarità – anche con qualche rinuncia agli aspetti più clamorosi come la terrazza, la scala mobile, gli sventramenti. Invece di agitare contratti e far lavorare gli avvocati, gli imprenditori dovrebbero mettersi di nuovo al tavolo per confrontarsi serenamente con una città che in larga parte – non solo le «pseudocontesse» – pretende rispetto anche se mancano i soldi pubblici.

Al sindaco, eletto dalla maggioranza dei veneziani, l’onore e l’onere di ascoltare e di trattare con gli imprenditori – chiunque essi siano – con la forza e la serenità di chi rappresenta il pubblico interesse.

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