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Le ragioni del sì
6 Giugno 2011
Articoli del 2011
Dal nucleare al legittimo impedimento, ottime ragioni per votare sì negli articoli di Pirani e Prosperi, su la Repubblica, 6 giugno 2011 (m.p.g.)

Risparmio energetico decisivo per il futuro

Mario Pirani

Fino all´ultimo, tra bugie e ricorsi, il governo tenta di impedire i referendum, in primis il nucleare. Ragioniamo come se non dovessero venire nuovi intoppi, cercando, comunque, di spiegare che la posta in gioco resta in ogni caso decisiva per il futuro dell´economia italiana. E non soltanto se permanesse la furbata della moratoria per un anno ma per l´esigenza in ogni caso di mettere in piedi una politica energetica che l´attuale governo si è dimostrato incapace di gestire. Quanto al nucleare, beati i tedeschi e gli svizzeri i cui governi hanno sottratto alla tanto bistrattata emotività dell´opinione pubblica l´onere della scelta, decidendo, senza bisogno di referendum, una marcia indietro su tutta la linea. In proposito, peraltro, è utile sottolineare che quei paesi fecero una scelta nucleare allorquando i costi di quel tipo di produzione dell´energia elettrica erano nettamente competitivi con le altre fonti. Oggi quelle centrali si avviano al compimento del loro ciclo di vita (alcune lo hanno già sorpassato) ma affrontare un piano per sostituirle comporterebbe una spesa enorme. Secondo un recente rapporto del Massachussets Istitute of Technology, dal 2003 in poi i costi stimati per la costruzione di un impianto nucleare sono cresciuti al tasso del 15% annuo che negli ultimi cinque anni è addirittura raddoppiato. Di conseguenza le industrie private, che un tempo vantavano nel settore la loro autosufficienza, richiedono oggi indispensabili sostegni pubblici. Infine l´aumento dei costi è destinato a incrementarsi ancora, non tanto per i problemi connessi al combustibile e alla produzione, quanto alle spese crescenti per adeguarsi a più avanzati criteri di sicurezza (peraltro mai assoluta), allo smaltimento delle scorie radioattive e allo smantellamento degli impianti dismessi.

Di fronte a un simile stato dell´arte dovrebbe essere considerata una fortuna l´uscita dell´Italia dal settore fin dal disastro di Cernobyl, il che ci permetterebbe oggi un ripensamento globale della politica energetica, riconsiderando alcune priorità recepite con troppa faciloneria. In particolare mi riferisco all´enfasi con cui alcune organizzazioni ambientaliste, sia lo stesso governo, elargendo gli incentivi pubblici più alti al mondo, hanno rappresentato come alternativa unica al nucleare l´incremento delle fonti alternative (eolico e fotovoltaico). In realtà il costo di queste tecnologie e le dimensioni finanziarie del sostegno pubblico (in bolletta o per altra strada), come anche le limitazioni all´utilizzo (quando non c´è vento o di notte, quando non c´è sole) dovrebbero consigliarne una utile da non trascurare ma in dimensioni ragionevolmente minori di quanto oggi sbandierato. Viceversa andrebbe affrontata con grande impegno una pianificazione mirante alla efficienza energetica, non solo per gli effetti ecologici ma come volàno di sviluppo industriale. Per quanto riguarda il primo punto un dossier degli Amici della Terra (l´organizzazione che si è più impegnata su questo settore) rileva che l´Agenzia internazionale dell´Energia prevede la possibilità per il 2050 di ridurre le emissioni di Co2 del 53% grazie a misure di efficienza energetica (mentre le fonti rinnovabili darebbero il 21% e l´atomo il 6%). Ancor più convincente il piano presentato dalla Confindustria, introdotto dalla Marcegaglia con queste parole: "L´efficienza energetica è il pilastro portante della green economy". Esso propugna lo sviluppo di prodotti di nuova tecnologia ad alto risparmio energetico, anche in rapporto a idrocarburi e carbone nei settori dell´illuminazione, dei trasporti, nelle pompe di calore, negli elettrodomestici, nell´edilizia residenziale, nei motori elettrici, nelle caldaie, ecc. Insomma il risparmio, o efficienza energetica che dir si voglia, implica un balzo in avanti di tutta l´economia italiana a costi minori e con calo netto dell´inquinamento. Finora il governo si è comportato come se significasse: "Spegnete la luce quando uscite di casa!".

La maschera del cavaliere

Adriano Prosperi

La settimana che si apre è quella del referendum. Non è un appuntamento pacifico. Si leggono ogni giorno interventi appassionati e opinioni molto diverse. Non è l’acqua il vero problema del referendum: e non lo è nemmeno il fuoco della fissione nucleare anche se proprio intorno al nucleare il governo ha ingaggiato una sorda battaglia: non sul merito, visto che il Pdl ha dichiarato di lasciare liberi i suoi seguaci, ma sulla questione preliminare se il quesito debba o no essere sottoposto al voto.

Domani la Corte Costituzionale dovrà rispondere al ricorso presentato dal governo attraverso l’Avvocatura di Stato, con l’argomento che la sospensione per dodici mesi del programma nucleare italiano varata dopo la tragedia giapponese del reattore di Fukushima avrebbe modificato sostanzialmente la situazione rendendo improponibile il referendum.

La matassa apparentemente complessa del ricorso si dipana facilmente. Il fatto è che nel contesto della tragedia di Fukushima, la domanda relativa al nucleare posta dai promotori del referendum si profila chiaramente come quella più capace di realizzare le due condizioni indicate dall’articolo 75 della Costituzione: che partecipi la maggioranza degli aventi diritto al voto e che la proposta soggetta a referendum ottenga la maggioranza dei voti validi. Ora, una cosa deve essere chiara. Che si realizzino o meno le centrali nucleari in Italia al nostro premier non potrebbe importare di meno. L’unico futuro che gli importa è il suo. Non le scorie nucleari ma quelle penali dei reati comuni di cui è accusato nei processi pendenti a suo carico sono i problemi che occupano il suo orizzonte. E il tentativo che ancora una volta lo impegna allo spasimo è quello di mascherare il fine dell’interesse suo privato dietro le nebbie di una confusa discussione sui problemi del paese. Il punto è che tra i quesiti del prossimo referendum ce n’è uno, il quarto e ultimo, che riguarda il "legittimo impedimento a comparire in udienza" fissato dall’art. 2 della legge 7 aprile 2010: grazie a questa legge, che più "ad personam" di così si muore, Berlusconi è stato autorizzato da una maggioranza asservita ai suoi bisogni a infischiarsene degli inviti a comparire in udienza nei processi nei quali figura come imputato. Se il referendum passasse, Berlusconi sarebbe riportato alla condizione di cittadino di un paese dove la legge vale per tutti. Dunque è necessario che la questione del nucleare esca dai quesiti del referendum se si vuole esorcizzare il rischio che venga abrogato anche il "legittimo impedimento". A questo scopo il premier ha giocato la carta della sospensiva.

L’esito delle recenti elezioni amministrative ha mandato un messaggio di estrema chiarezza. Per Berlusconi l’unico rimedio possibile davanti al disastro è "guadagnare il beneficio del tempo", come suggerivano i consiglieri dei sovrani degli staterelli italiani preunitari quando incombeva la minaccia di confronti militari con le grandi potenze europee. Il tempo, appunto: bisogna che per un po’ di tempo il popolo italiano sia tenuto lontano dalle urne, ora che ha dimostrato di essersi riscosso dall’incantesimo e di non essere più disposto a farsi trascinare dalle emergenze personali del premier. E il referendum imminente minaccia una grandinata che questo governo molto traballante non può sostenere. Da qui la necessità di ostacolare in ogni modo la regolarità della consultazione ricorrendo al tentativo disperato del bluff. Parliamo di disperazione e di bluff a ragion veduta. La sospensione del programma nucleare è stato il bluff di un giocatore disperato. E anche impudente. Nella conferenza stampa col presidente francese Sarkozy del 16 aprile scorso Berlusconi ha dichiarato apertamente che il governo italiano, cioè lui stesso, resta convinto che "l’energia nucleare sia il futuro del mondo". Dunque nella sostanza niente cambia negli orientamenti del governo. Ora, una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 68 del 1978) ha affermato chiaramente che "se l’intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle Camere, la corrispondente richiesta /referendaria/ non può essere bloccata, perchè diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza". Ecco il punto decisivo: la sovranità del popolo, il cuore della democrazia, ha nell’istituto del referendum la sua manifestazione più alta, proprio per questo regolata in maniera particolarmente attenta dai padri costituenti. L’idea di democrazia implica l’assenza di capi, come ha scritto Kelsen e come ci ha ricordato di recente Luigi Ferrajoli. Implica anche che sia cancellato lo strappo al principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (art.3): proprio di tutti, nessuno escluso.

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