Domani si riuniranno a Bruxelles, nei dintorni del Parlamento europeo, coloro che hanno partecipato all'elaborazione della Rotta d'Europa, proposta da Sbilanciamoci con la collaborazione del manifesto. Sono gruppi diversi, associazioni, movimenti che, assieme a molti esperti, hanno lavorato non solo all'analisi della crisi ma ad alcune proposte essenziali per impedirne la precipitazione. Siamo infatti ormai da un paio di anni sull'orlo d'un disastro che ha già coinvolto diversi paesi della cosiddetta periferia sud, ha fatto a pezzi la Grecia, ha costretto qualche giorno fa la Spagna ad accettare i diktat della troika per avere un prestito, e stringe l'Italia a una politica di rigore unilaterale, accettata da otto mesi da un parlamento unanime - nuova anomalia peninsulare. Già nel continente la crescita è a livelli minimi, la disoccupazione non cessa di salire, lavoratori - precari o no - e pensionati sono costretti a un sempre più pesante regime di sacrifici per evitare, se mai lo eviteranno, di sprofondare nella trappola del debito.
Non basta. Perfino il rigorista Monti si trova un po' in difficoltà fra il pessimo umore che sente montare in Italia e la rigidità della Germania, padrona illegittima ma indiscussa d'Europa. Sempre domani, contemporaneamente a noi ma con ben altri poteri e solennità si riunirà a Bruxelles il Consiglio d'Europa, e assisteremo a un suo ennesimo incagliarsi fra interessi contrastanti, unito soltanto dalla sordità verso le proteste dei deboli. Proteste che non trovano nessuna rappresentanza nelle nostre istituzioni elettive, che pur decidono in ultima istanza. È dunque dal gruppo di esperti, associazioni e movimenti che assieme o in parallelo con noi hanno lavorato, che domani verrà avanzata una serie di misure d'urgenza, che metteremo a confronto ed a punto. Già sappiamo, per i rapporti che sono intercorsi in questi mesi, gli incontri e i documenti, che esse hanno al centro una tassazione sulle transazioni finanziarie, il mutamento della regola che impedisce alla Bce di prestare agli stati all'interesse dell'1%, consentitole soltanto con banche o istituti che li prestano a tassi almeno sei volte maggiori ai paesi in difficoltà (in Grecia a venti e oltre, se questa non è usura come chiamarla?), consentono la rinegoziazione del debito, delineano una regolamentazione fiscale omogenea di tutta la zona a Ue senza la quale ogni paese debitore è esposto a speculazioni indecenti, inizia a togliere dalle nebbie i vari progetti di finanziamento comunitario come gli eurobonds, riflette su una assunzione continentale del debito come nel regime federale degli Stati Uniti e di una crescita attraverso un progetto di reindustrializzazione che poggia su due assi, il primato di una green economy e una omologazione sociale avanzata dei regimi sociali, il cui disordine è alla base delle funeste delocalizzazioni.
Nulla di questo è impossibile, e nemmeno grandemente rivoluzionario; è una gestione delle risorse meno disordinata, meno crudele e anche - a guardarne i risultati - meno stupida di quella compiuta dalle scelte liberali, e permessa dall'ambiguità dei poteri comunitari oggi oscillanti, fra sovranismi e subalternità, verso una democrazia zero. Le scelte economiche comportano infatti anche scelte istituzionali finora sospese e da correggere, in una comunità cominciata male e che rischia di finire in peggio.