Il Fatto Quotidiano, 7 luglio 2016 (p.d.)
Sono aneddoti che chi segue la guerra di Siria conosce bene. E che più che aneddoti, in realtà, potrebbero essere capi d'accusa in un processo per crimini di guerra. E infatti sono stati ora riuniti in un report firmato praticamente dall’intera società civile siriana: quella società civile che secondo l’Onu non esiste. Il report, non a caso, si intitola Taking sides (schierarsi). Perché se la società civile non esiste, è il ragionamento dell’Onu, se l’alternativa è la sharia, allora è meglio Assad. In Siria il 99% delle aree sono sotto assedio dell'esercito, non dei ribelli. Eppure ad aprile, il mese in cui si è avuta la maggiore pressione internazionale su Assad, il 71,5% degli aiuti umanitari è finito in aree sotto il suo controllo. E il problema non è solo che in Siria si muore di fame, letteralmente, che oltre un milione di persone in questo momento, non abbiano che erbe e radici e acqua piovana: il problema è che gli aiuti umanitari sono stati trasformati in uno strumento di guerra.
La strategia di Assad, il cui esercito è responsabile del 94,7% delle vittime civili, è stata chiara già dai giorni delle prime manifestazioni: emergere come il solo possibile garante della stabilità. Il solo capace di governare a fronte delle macerie delle aree sotto il controllo dei ribelli, bombardate a tappeto, il solo capace di assicurare ai siriani una parvenza di normalità, servizi e beni essenziali. Cibo e medicine.
Non è niente di nuovo: nelle facoltà di Scienze politiche, l’influenza degli aiuti umanitari sulle dinamiche di una guerra è un tipico argomento da tesi di laurea. Ma finora l'Onu non ha condotto alcuna valutazione dell'impatto dei 3 miliardi di dollari spesi in aiuti.
Non ha mai neppure condotto una valutazione della loro destinazione: non sa dove siano finiti. Nel corso del 2015, solo l’1% dei siriani sotto assedio ha ricevuto aiuti umanitari. L’Onu sostiene che è una questione di sicurezza, che fa il possibile: certe aree non vengono raggiunte perché è troppo pericoloso arrivarci. Come Douma, una delle città in cui si sono registrati più morti per fame. Che però viene regolarmente attraversata dai convogli diretti a Kafr Batna.
Nonostante ormai 3 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza autorizzino le agenzie Onu a operare indipendentemente dal governo di Damasco e anche a entrare nelle aree sotto il controllo dei ribelli dai paesi confinanti non è cambiato niente. Le agenzie Onu continuano a chiedere permessi per ogni convoglio a 3 diversi ministeri, e soprattutto, continuano a subappaltare la distribuzione degli aiuti alla Mezzaluna Rossa, il cui presidente è un fedelissimo di Assad. L’Onu ha scelto il compromesso, accusa il report: e non ha ottenuto nulla. Nel 2015, il 75% dei permessi è stato negato e l’Onu, di suo, ha cercato di chiedere meno permessi possibili: 113, a fronte di 4,6 milioni di siriani giudicati in condizioni critiche. Naturalmente, alcuni si sono opposti a tutto ciò: come i 35 funzionari di cui non si hanno più notizie, e sulle cui sorti nessuno ha indagato.
Tutte cose che non filtrano dai documenti Onu. Le statistiche ufficiali si basano sul numero di siriani raggiunti, non sulla percentuale di esigenze soddisfatte. Chi a Daraya è stato raggiunto da una zanzariera, dopo 4 anni d’assedio, nei conteggi risulta essere stato assistito e salvato. In realtà, se è vero che l’Onu ha bisogno di cooperare con lo Stato sul cui territorio opera, se è vero che ha bisogno di Assad, è anche vero che Assad ha bisogno dell'Onu: ha bisogno dei suoi aiuti. L’economia ha perso 254 miliardi di dollari, l'80% dei siriani vive sotto la soglia di povertà.
L’Onu ha forza contrattuale ma invece di usare gli aiuti per negoziare gli assedi, usa gli assedi per negoziare gli aiuti. In teoria, non c’è niente da negoziare: l'assedio è un crimine di guerra, i combattenti hanno l'obbligo di non interferire con le attività umanitarie e di soccorso. Ma l’Onu ha trasformato l'assedio in merce di scambio. In base a un accordo mediato a dicembre, Madaya e Zabadani, a sud, assediate dal regime, ricevono aiuti insieme a Foah e Kefraya, a nord, assediate invece dai ribelli. Davanti alle difficoltà logistiche, l’Onu sta studiando i lanci di aiuti. Che in genere, però, funzionano solo nei film.
L’aereo più usato, l'Ilyushin II-76, costa 34 mila dollari a volo, più l'assicurazione, in caso di zona di guerra, e trasporta circa 30 tonnellate, un carico sufficiente a sfamare 2400 persone per un mese. Ma è necessario avere propri uomini a terra, altrimenti chi prende gli aiuti? Chi corre più veloce? E il problema è esattamente che a terra, in Siria, non c'è nessuno. O meglio: ci sono decine di milizie. Per evitare missili e mitragliatrici, i piloti dovrebbero tenersi sui25mila piedi.Più o meno come stare in cima all'Everest e provare a centrare un campo da calcio in una città densamente popolata: guidando a 270 all'ora. Dei 21 scatoloni del World Food Program paracadutati su Deir Ez-Zor, 7 sono finiti nella terra di nessuno, 4 si sono danneggiati e 10 si sono persi. I caccia di Assad che bombardavano la città, intanto, usavano l'aeroporto. Finora l’Onu non ha risposto alle accuse, né rilasciato dichiarazioni.
L’unico commento di questi giorni si è registrato su Trip Advisor, dove uno dei suoi funzionari si è complimentato con il Four Season, l'hotel di Damasco in cui abitano diplomatici e giornalisti. I primi morti per fame si sono avuti a 6 chilometri di distanza. Il commento dice: ottimo servizio, ottimo cibo.