Il manifesto, 18 aprile 2015
La linea di Varoufakis è chiara: «Faremo compromessi con la Ue ma non finiremo compromessi». Alexis Tsipras dichiara alla Reuters che il governo lavora per una soluzione che «rispetti il recente mandato popolare come il quadro operativo dell’Eurozona», precisando però che restano quattro punti di disaccordo – non tecnici, ma politici – in materia di rapporti di lavoro (del resto il mercato del lavoro greco è già del tutto deregolamentato), di sicurezza sociale, di aumento dell’Iva, di privatizzazioni. Ovvero il cuore del programma sociale di Syriza.
Ma la Grecia ha bisogno di tempo e che si allenti la morsa del debito. Varoufakis ha chiesto al Fmi una tolleranza maggiore del solito mese di grazia. Christine Lagarde ha risposto che la dilazione dei pagamenti non è mai stata fatta per un paese “avanzato”, che è roba da Terzo Mondo. Si potrebbe obiettare che c’è sempre una prima volta per tutto e questo potrebbe essere un ottimo caso, nel quale la Ue e il Fmi potrebbero dimostrare quella saggezza e preveggenza di cui finora hanno dato prova di completa assenza.
La Grecia non uscirà mai dai «sette anni del nostro scontento» – il riferimento shakespeariano- steimbeckiano è farina del sacco di Varoufakis – senza una ristrutturazione del proprio debito, la cui incidenza peraltro in relazione al debito complessivo dell’Eurozona è minima. Ma come sappiamo il problema è politico.
Se la Grecia se la cava, altri possono percorrere strade alternative all’austerità e l’influenza sul quadro politico dei paesi in maggiore difficoltà, che finora hanno eseguito pedissequamente i diktat della Troika trovandosi peggio di prima, potrebbe essere letale per le destre che attualmente li governano. Il riferimento alla Spagna è d’obbligo.
Tuttavia, vale anche il ragionamento contrario. Se la Grecia finisse in default, se - malgrado le ultime dichiarazioni più prudenti della Merkel sulla permanenza greca nella Ue - ciò comportasse una fuoriuscita dall’euro e quindi dalla Ue, non è affatto detto che per la finanza sarebbe pura goduria. Sperare infatti - scrive un editorialista del Sole24Ore - che il Grexit non abbia alcun impatto sui mercati finanziari e sull’economia degli paesi della Ue è come pretendere che una bomba esplodendo non faccia danni.
Per quanto la Bce abbia inondato di liquidità i mercati finanziari europei, con esclusione come sappiamo della Grecia e di Cipro, questi restano sensibili a ogni minimo movimento. La situazione in Europa è migliore del 2011–2012, ma il pericolo di un contagio finanziario del Grexit è tutt’altro che scongiurato.
E’ vero che le banche hanno ormai un’esposizione minima con la Grecia: da 200 miliardi di dollari del 2008 agli attuali 18,6. Ma questo non elimina il pericolo del ritiro dei depositi dagli istituti finanziari dei paesi della catena debole dell’euro, fra cui anche l’Italia, come rivela Goldman Sachs. Se la Grecia se ne va, crolla il mito della irrevocabilità dell’ingresso nell’Euro e altri paesi potrebbero seguire la stessa strada. Quindi sarebbe meglio per chi ha depositi consistenti in questi paesi portarli preventivamente altrove.
Le conseguenze di un Grexit sarebbero ancora più gravi sugli Stati. Complessivamente l’esposizione di questi ultimi sul fronte greco è cresciuta, sia in modo diretto che indiretto, attraverso il cosiddetto fondo salva stati, giungendo a 194,7 miliardi di euro. Se da noi Renzi mena vanto per avere trovato un “tesoretto” di 1,6 miliardi, si può bene capire quale impatto negativo avrebbe sulla nostra economia e sull’opinione pubblica dovere dire probabilmente addio ai quasi 41 miliardi di euro prestati dall’Italia alla Grecia.