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Alfonso Gianni
Le carte di Tsipras nella partita dell’euro
18 Aprile 2015
Articoli del 2015
E' duro per l'Europa dei banchieri accettare la prospettiva di un'Europa dei popoli. Eppure è questa la minaccia rappresentata dalla Grecia di Tsipras. Se l'infezione si allargasse , allora il 0,4 per cento della popolazione rischierebbe di diventare un po' più povero.

Il manifesto, 18 aprile 2015

Nuovo giro di vite della Troika sulla Gre­cia. Si torna a par­lare di Gre­xit. Non è la prima volta in que­ste set­ti­mane, ma ora il tempo stringe. La liqui­dità scar­seg­gia e il paese elle­nico deve resti­tuire tra mag­gio e giu­gno al Fmi 2,5 miliardi di euro. A giu­gno e luglio sca­dono altri due bond verso la Bce per un importo ancora supe­riore di 6 miliardi. Se non doves­sero venire rim­bor­sati ces­se­rebbe anche la linea di cre­dito di emer­genza (Ela) da 73 miliardi messa a dispo­si­zione a caro prezzo dalla Bce per soste­nere le ban­che gre­che. E’ da dubi­tare che l’Eurogruppo di Riga del 24 aprile si mostri più com­pren­sivo. Situa­zione dispe­rata dun­que? Non è detto. La par­tita è ancora complessa.

La linea di Varou­fa­kis è chiara: «Faremo com­pro­messi con la Ue ma non fini­remo com­pro­messi». Ale­xis Tsi­pras dichiara alla Reu­ters che il governo lavora per una solu­zione che «rispetti il recente man­dato popo­lare come il qua­dro ope­ra­tivo dell’Eurozona», pre­ci­sando però che restano quat­tro punti di disac­cordo – non tec­nici, ma poli­tici – in mate­ria di rap­porti di lavoro (del resto il mer­cato del lavoro greco è già del tutto dere­go­la­men­tato), di sicu­rezza sociale, di aumento dell’Iva, di pri­va­tiz­za­zioni. Ovvero il cuore del pro­gramma sociale di Syriza.

Ma la Gre­cia ha biso­gno di tempo e che si allenti la morsa del debito. Varou­fa­kis ha chie­sto al Fmi una tol­le­ranza mag­giore del solito mese di gra­zia. Chri­stine Lagarde ha rispo­sto che la dila­zione dei paga­menti non è mai stata fatta per un paese “avan­zato”, che è roba da Terzo Mondo. Si potrebbe obiet­tare che c’è sem­pre una prima volta per tutto e que­sto potrebbe essere un ottimo caso, nel quale la Ue e il Fmi potreb­bero dimo­strare quella sag­gezza e pre­veg­genza di cui finora hanno dato prova di com­pleta assenza.

La Gre­cia non uscirà mai dai «sette anni del nostro scon­tento» – il rife­ri­mento sha­ke­spea­riano- steim­bec­kiano è farina del sacco di Varou­fa­kis – senza una ristrut­tu­ra­zione del pro­prio debito, la cui inci­denza peral­tro in rela­zione al debito com­ples­sivo dell’Eurozona è minima. Ma come sap­piamo il pro­blema è politico.

Se la Gre­cia se la cava, altri pos­sono per­cor­rere strade alter­na­tive all’austerità e l’influenza sul qua­dro poli­tico dei paesi in mag­giore dif­fi­coltà, che finora hanno ese­guito pedis­se­qua­mente i dik­tat della Troika tro­van­dosi peg­gio di prima, potrebbe essere letale per le destre che attual­mente li gover­nano. Il rife­ri­mento alla Spa­gna è d’obbligo.

Tut­ta­via, vale anche il ragio­na­mento con­tra­rio. Se la Gre­cia finisse in default, se - mal­grado le ultime dichia­ra­zioni più pru­denti della Mer­kel sulla per­ma­nenza greca nella Ue - ciò com­por­tasse una fuo­riu­scita dall’euro e quindi dalla Ue, non è affatto detto che per la finanza sarebbe pura godu­ria. Spe­rare infatti - scrive un edi­to­ria­li­sta del Sole24Ore - che il Gre­xit non abbia alcun impatto sui mer­cati finan­ziari e sull’economia degli paesi della Ue è come pre­ten­dere che una bomba esplo­dendo non fac­cia danni.

Per quanto la Bce abbia inon­dato di liqui­dità i mer­cati finan­ziari euro­pei, con esclu­sione come sap­piamo della Gre­cia e di Cipro, que­sti restano sen­si­bili a ogni minimo movi­mento. La situa­zione in Europa è migliore del 2011–2012, ma il peri­colo di un con­ta­gio finan­zia­rio del Gre­xit è tutt’altro che scongiurato.

E’ vero che le ban­che hanno ormai un’esposizione minima con la Gre­cia: da 200 miliardi di dol­lari del 2008 agli attuali 18,6. Ma que­sto non eli­mina il peri­colo del ritiro dei depo­siti dagli isti­tuti finan­ziari dei paesi della catena debole dell’euro, fra cui anche l’Italia, come rivela Gold­man Sachs. Se la Gre­cia se ne va, crolla il mito della irre­vo­ca­bi­lità dell’ingresso nell’Euro e altri paesi potreb­bero seguire la stessa strada. Quindi sarebbe meglio per chi ha depo­siti con­si­stenti in que­sti paesi por­tarli pre­ven­ti­va­mente altrove.

Le con­se­guenze di un Gre­xit sareb­bero ancora più gravi sugli Stati. Com­ples­si­va­mente l’esposizione di que­sti ultimi sul fronte greco è cre­sciuta, sia in modo diretto che indi­retto, attra­verso il cosid­detto fondo salva stati, giun­gendo a 194,7 miliardi di euro. Se da noi Renzi mena vanto per avere tro­vato un “teso­retto” di 1,6 miliardi, si può bene capire quale impatto nega­tivo avrebbe sulla nostra eco­no­mia e sull’opinione pub­blica dovere dire pro­ba­bil­mente addio ai quasi 41 miliardi di euro pre­stati dall’Italia alla Grecia.

Quindi, mar­gini per gio­care la par­tita il governo greco ne ha ancora. Com­presi quelli di aprire migliori rap­porti con Cina, Rus­sia e la Chiesa Orto­dossa. Ma non c’è da fidarsi, per­ché non sem­pre i poteri eco­no­mici si com­por­tano secondo logica e una dina­mica poli­tica puni­tiva potrebbe pre­va­lere. La carta migliore che Tsi­pras ha in mano resta l’appoggio del popolo greco che, nono­stante i boa­tos arta­ta­mente ingi­gan­titi su una cre­scente oppo­si­zione da sini­stra, con­ti­nua a con­so­li­darsi. Se a que­sto si aggiunge – come potrebbe in occa­sione del pros­simo Primo Mag­gio - la soli­da­rietà dei popoli euro­pei, si può capire che i nervi distesi di Tsi­pras e Varou­fa­kis non sono propaganda.
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