Lo scorso 21 novembre il Centro per la riforma dello stato (Crs) ha promosso un incontro pubblico su Claudio Napoleoni a venti anni dalla sua scomparsa. Del suo straordinario contributo teorico e politico ne hanno discusso Mario Tronti, Raniero La Valle, Fausto Bertinotti, Luciana Castellina, Gian Luigi Vaccarino. Lavoro teorico e impegno politico: due campi difficilmente separabili per Claudio Napoleoni che, infatti, diceva «Io non avrei mai affrontato in vita mia una questione teoretica se non fossi stato spinto a farlo da un interesse politico». La politica, quindi, vista come attività verso la quale finalizzare lo studio e la ricerca, ma anche come «lo strumento di una liberazione».
Perché è importante riprendere la linea di ricerca di Claudio Napoleoni e provare a scavare attorno alle sue ultime e drammatiche domande? Proprio su questo sono stati diversi gli spunti di riflessione emersi nel corso del convegno. Qui ci soffermiamo solo su una questione. È possibile individuare un filo conduttore nella ricerca teorica e nel lavoro politico di Claudio Napoleoni? Rispondendo a tale quesito, infatti, è possibile capire meglio la sua attualità. Ci sono studiosi che individuano quale possibile filo conduttore della sua opera la polemica costante e ricorrente di Napoleoni contro la rendita e il parassitismo visti come tratti peculiari del capitalismo italiano. Lotta alla rendita, quindi, come terreno di iniziativa della stessa sinistra e del movimento operaio. Questo tema nel lavoro di Napoleoni indubbiamente c'è. Come però ci ricorda Lucio Magri nell'intervento al convegno di Biella (pubblicato poi su Critica Marxista), a 10 anni dalla scomparsa di Napoleoni, il suo contributo non può essere racchiuso in questo ambito. E infatti ciò è del tutto evidente se si riflette su alcune tappe importanti del suo lavoro teorico e del suo impegno politico. Già nella Rivista Trimestrale fondata con Franco Rodano (fine anni '50) prende corpo un'analisi critica del consumismo quale tratto saliente del nuovo capitalismo. A questa critica si coniuga una proposta di politica economica che, a partire dai bisogni sociali e collettivi, possa determinare nuove scelte e opportunità di investimento. Già allora, quindi, emergeva la critica alle nuove forme che il capitalismo veniva assumendo e l'esigenza di battersi per un diverso sviluppo e una diversa programmazione dell'economia. Questione, questa, che si riproporrà alla fine degli anni '60, arricchita da un elemento decisivo: proprio i contenuti avanzati delle lotte operaie di quegli anni e le forme di democrazia diretta davano la possibilità di fondare la programmazione e l'intervento pubblico nel vivo della società e dei suoi conflitti.
Nel 1978 - con Luciana Castellina e Stefano Rodotà - dà vita alla rivista Pace e Guerra. E proprio sul primo numero della rivista, riflettendo sul tema dell'austerità, Napoleoni scrive che quanto si aspettano «i destinatari» di quella proposta (cioè i soggetti sociali protagonisti delle lotte in particolare degli anni '60-'70) «non è soltanto una migliore amministrazione dell'esistente ma un inizio di superamento sia della condizione implicita del lavoro salariale sia dei modi di consumo impliciti nella produzione mercantile». Come si vede, anche da questo passo emerge una critica al modello capitalistico di sviluppo e l'esigenza del suo superamento. Negli anni '80 la riflessione di Claudio Napoleoni si trova di fronte due questioni assai delicate e gravide di conseguenze: cominciano a dispiegarsi le politiche neoconservatrici con i loro effetti sull'economia ma anche su quei soggetti protagonisti delle lotte degli anni '60-'70; in secondo luogo, si apre una discussione nel Pci proprio su come affrontare e contrastare quelle politiche. Nel 1986 in un seminario promosso dal Cespe e dal Crs Napoleoni si chiedeva perché mai la sinistra dovesse assumere come propri gli obiettivi del risanamento finanziario e della «stabilizzazione del ciclo economico intorno a un trend positivo». La leva del bilancio pubblico andava utilizzata, secondo Napoleoni, non per produrre una spesa inflazionistica ma per «dirigere risorse verso quei settori che sono più suscettibili di allentare la nostra dipendenza dall'estero». O verso una politica di investimenti «per grandi programmi di modificazione del territorio che hanno valore in se stessi e che possono essere giudicati dei beni finali e non dei beni strumentali a altro». Investimenti, quindi, per ridurre l'inquinamento, produrre servizi, risanare le città e le aree urbane.
Sappiamo come questa discussione si è conclusa. La domanda radicale che Napoleoni si pone negli ultimi anni della sua vita porta forse il segno di una riflessione che risente molto della sconfitta che la sinistra subisce proprio a partire degli anni '80. Si chiede infatti Napoleoni «posto che la storia contemporanea culmina in una società dominata da uno sviluppo nuovo del capitalismo che per l'uomo ha un carattere distributivo, è possibile una uscita da essa per via puramente politica?». È il dubbio che lo assillava negli ultimi anni della sua vita. E proprio a fronte di questo dubbio sollecitava, nel suo ultimo libro, «cercate ancora».
Quel filo conduttore di cui abbiamo parlato all'inizio e che troviamo in tante parti della sua riflessione teorica e politica sta proprio nella critica radicale del moderno capitalismo a cui si associa una costante ricerca delle strategie che - pure in presenza di vincoli e condizionamenti che il sistema produce - portino a un suo superamento. L'attualità del suo lavoro e dei problemi che esso pone sta proprio qui. E infatti guardiamo a ciò che oggi sta avvenendo. Quel capitalismo così «pervasivo» che distrugge l'ambiente e ingenti risorse è nel pieno di una crisi drammatica non solo della finanza. È una crisi che tocca e riguarda in primo luogo l'economia reale. Così il tema della redistribuzione del reddito verso il lavoro torna a essere centrale. Ma c'è di più. Paradossalmente la necessità dell'intervento pubblico in economia viene riconosciuta da tutti. Ma, ecco il punto, l'intervento pubblico non può limitarsi a tamponare gli effetti più devastanti della crisi per poi tornare alla condizione precedente. C'è l'esigenza, invece, che quell'intervento sia funzionale a un progetto capace di modificare la qualità della produzione e dell'occupazione. E ciò è possibile se si risponde alle tante domande inevase che ci sono nella società e su di esse si orienta uno sviluppo diverso: risanamento del territorio e delle aree urbane, nuove politiche energetiche e nuove politiche industriali, progetti per una mobilità sostenibile etc. Non sta anche in questo l'attualità del pensiero di Claudio Napoleoni? Forse una costituente per un nuovo soggetto della sinistra dovrebbe partire anche da lì.