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Alberto Magnaghi
L’arte degli scenari nella costruzione del progetto locale
6 Febbraio 2008
Recensioni e segnalazioni
La presentazione di un libro e di un percorso di ricerca di grande interesse, per chi crede che il riscatto del territorio avverrà compiutamente quando vi collaborerà la maggioranza dei cittadini

Introduzione al volume collettaneo Scenari strategici. Visioni identitarie per il progetto di territorio, a cura di Alberto Magnaghi, Alinea, Firenze 2007

Questo volume si presenta come “quarto movimento” di un percorso di ricerca che la scuola territorialista ha compiuto a partire dal 1986; percorso riassunto nel volume precedente “La rappresentazione identitaria del territorio”, [1] e che traccia le coordinate di una metodologia di pianificazione e progettazione del territorio di cui la produzione di scenari costituisce una tappa.

La peculiarità degli scenari che proponiamo [2] si alimenta e si definisce all’interno di questo percorso. Rimando interamente ai saggi del primo capitolo (“Gli scenari strategici nelle pratiche di pianificazione”) per una trattazione sistematica dell’approccio territorialista alla costruzione degli scenari (saggio di Rossi Doria e Ferraresi) e per lo sviluppo dei suoi aspetti disciplinari, culturali, metodologici e tecnici (saggi di Fanfani, Lucchesi e Besio).

Gli scenari strategici che esemplificano questo percorso sono trattati nel secondo capitolo (“Progetti di territorio, temi tecniche e metodi: alcuni casi di studio”) ordinato secondo gli approcci e le esperienze delle diverse unità di ricerca.

Questi scenari traggono la loro forza e le loro coordinate dalle teorie sullo sviluppo locale autosostenibile, che applichiamo a progetti di trasformazione socioeconomica e territoriale; i quali assumono a loro volta i giacimenti patrimoniali locali e i soggetti sociali che se ne prendono cura come riferimenti fondativi dei progetti stessi. La sinergia fra i soggetti della trasformazione e la messa in valore dei giacimenti patrimoniali comporta la costruzione di regole virtuose, socialmente condivise, per il trattamento dei giacimenti stessi finalizzato a produrre benessere, ricchezza durevole, riproducibilità delle risorse e valore aggiunto territoriale. Queste regole (“statuti del territorio” socialmente prodotti), configurano dunque un corpus pianificatorio che precede e condiziona i progetti e gli atti di trasformazione, nel senso che qualsivoglia progetto o piano da una parte si alimenta dei valori patrimoniali denotati nel quadro conoscitivo (atlanti del patrimonio) e dall’altra tiene conto delle regole di riproducibilità e di crescita durevole del patrimonio stesso contenute dallo statuto.

Emerge con chiarezza una visione pianificatoria in cui si separa in modo radicale la partestatutaria del piano (sia che essa si configuri come parte istituzionale dei piani come nel caso della Toscana, sia che emerga come risultato dei processi partecipativi e di definizione identitaria dei luoghi, in altri contesti), dalla parte strategica che riguarda i progetti di trasformazione), pur alimentandosi le due parti della medesima cultura dello sviluppo locale autosostenibile.

Gli scenari che esemplifichiamo nel volume, che si collocano nellaparte strategica della pianificazione, assumono in questo percorso metodologico declinazioni puntuali e in parte differenziate nei lavori delle unità di ricerca di Firenze (legata in gran parte a sperimentazioni del modello toscano “statutario” di pianificazione), di Milano (che mette l’accento sulla ricostruzione di territorio nella città postfordista), di Genova (che sviluppa in diversi contesti il tema dell’ecoregione urbana), di Bologna (che ipotizza un valore aggiunto dei migranti nella costruzione di scenari sociali), di Palermo (che evidenzia le potenzialità della costruzione di scenari preliminari a fronte di un deficit di pianificazione territoriale).

Queste declinazioni sono sviluppate metodologicamente nei saggi introduttivi dei lavori di sede rispettivamente da David Fanfani, Giorgio Ferraresi, Mariolina Besio e Bernardo Rossi Doria. Se si esclude il saggio della sede di Bologna (Pizzolati, Tarozzi) che propone uno scenario alternativo eminentemente a carattere sociologico, fondato sul potenziale valore aggiunto dei migranti per il sistema territoriale, per le altre unità si possono individuare i seguenti caratteri peculiari degli scenari proposti:

- innanzitutto essi sono disegnati: è logico che essendo interpretazioni al futuro dei giacimenti patrimoniali (ambientali, territoriali, paesistici, sociali, culturali) e della loro messa in valore durevole, gli scenari diano conto del trattamento che riservano ai giacimenti stessi, prefigurando assetti futuri del territorio, conseguenti alla loro messa in valore;

- non è un caso che molti scenari riflettano, nel disegno, le carte patrimoniali da cui traggono alimento. Si tratta in ogni caso di un disegno non normativo, ma di valore euristico, che non esaurisce la complessità della visione strategica (fatta anche di altri materiali non grafici), ma ne costituisce una sorta di manifesto, di “logo” di carattere paesistico che tiene insieme e funge da guida a progetti di trasformazione di diversa natura e scala da attuarsi in un processo temporale di lunga durata;

- gli scenari propongono “visioni” del territorio che esprimono una tensione utopica: dal momento che il concetto di autosostenibilità si discosta radicalmente dai modelli di sviluppo fondati sulla crescita economica competitiva nell’ambito dei processi di globalizzazione, i nostri scenari assumono come orizzonte un forte cambiamento nei modelli di sviluppo che si riflette nei progetti di territorio: blocco del consumo di suolo, valorizzazione multifunzionale degli spazi aperti e dei sistemi agroambientali, scenari infrastrutturali finalizzati alla valorizzazione dei sistemi territoriali locali, sistemi bioregionali policentrici costituiti da reti non gerarchiche di città, ecc). Tuttavia si propongono come utopie concrete, dal momento che individuano nei movimenti e in comportamenti collettivi presenti nella società locale le energie insorgenti e da contraddizione in grado di produrre trasformazioni nella direzione degli scenari stessi. In ogni caso gli scenari che proponiamo esprimono una tensione fra la visione di un futuro di un luogo, collocabile in tempi lunghi, e pratiche quotidiane degli abitanti che contribuiscono alla crescita di “coscienza di luogo” [3], che induce a sua volta azioni e saperi per la cura del territorio e dell’ambiente: saperi ambientali, produttivi, artigiani, artistici, comunicativi, relazionali, e cosi via;

- gli scenari contengono, oltre ad una valenza progettuale, una valenza comunicativa: la loro forma, il loro linguaggio devono aiutare l’attivazione di processi partecipativi per la costruzione di patti locali di sviluppo rendendo percepibile ai diversi attori del processo, istituzionali e non, il valore del territorio come bene comune che lo scenario tratta nelle sue visioni di trasformazione autosostenibile; la funzione comunicativa deve innanzitutto aiutare a decolonizzare l’immaginario dagli stereotipi della de-territorializzazione e del cyberspazio e a spostare in avanti gli orizzonti dei futuri possibili della ricostruzione dei luoghi della convivialità, dello scambio solidale, dello spazio pubblico, della qualità estetica dell’ambiente di vita;

- gli scenari sono multiscalari e multisettoriali: la multiscalarità è legata ad una visione non gerarchica ma sussidiale e partecipativa fra diversi livelli della pianificazione, dalla chiusura tendenziale dei cicli ecologici, alimentari, funzionali della bioregione urbana alla attivazione dei saperi locali nelle peculiarità dei materiali da costruzione; un sistema “multilivello” che assume come orizzonte politico il federalismo municipale solidale [4] e come orizzonte progettuale la riattivazione di saperi contestuali nella cura del territorio e dell’ambiente; la multisettorialità è connessa all’esigenza di produrre visioni olistiche del futuro di una regione o di una città, che consenta al processo partecipativo di una comunità locale di ragionare sul proprio futuro e non solo su singoli effetti settoriali di futuri generali decisi altrove; e che consenta allo scenario strategico di comprendere e ricondurre a coerenza nel processo di piano le azioni settoriali e i poteri ad esse riferiti.

A commento e integrazione di questa impostazione e dei casi di studio presentati portano un importante contributo di discussione due studiose esperte di scenari strategici come Maria Cristina Gibelli e Patrizia Gabellini (capitolo terzo “Scenari strategici tra valori territoriali, rappresentazioni e politiche”): la prima commentando gli esiti della ricerca alla luce delle esperienze europee di scenari strategici di “terza generazione” in particolare sui temi dell’approccio cognitivo, delle convergenze economia/territorio e del crescente ruolo dei processi partecipativi nel passaggio dal visioning all’ envisioning; la seconda introducendo una riflessione sulla forza costruttiva della raffigurazione, sul ruolo del messaggio visivo da articolare per i diversi interlocutori degli scenari, sviluppando il problema dell’importanza della dimensione estetica del messaggio nelle sue declinazioni figurative e astratte e sul tema delle relazioni fra rappresentazione “esperta” e “vision ability” che î fruitori della rappresentazione stessa sono in grado di esprimere.

Il volume si chiude con una rassegna curata da Francesco Monacci sullo stato dell’arte degli scenari strategici e delle loro forme di rappresentazione.

Vorrei per concludere accennare al seguente quesito: i caratteri degli scenari territoriali che ho sintetizzato (il configurarsi come progetti disegnati, utopici, attenti alla comunicazione, partecipati, olistici, multiscalari e multisettoriali) alludono all’esistenza di una poetica degli scenari stessi? Si da un loro carattere artistico, come per il progetto di architettura? E’ un problema (in parte introdotto da Patrizia Gabellini)che non è stato posto durante i lavori della ricerca che hanno dato luogo a questo volume, ma che accenno qui per una riflessione futura sul “progetto di territorio” cui ci applicheremo nel prossimo futuro.

E’ evidente che i materiali (disciplinari, tecnici, costruttivi) di un progetto di territorio sono diversi da quelli di un progetto di architettura: per esempio, la firmitas di un bacino idrografico richiede il concorso di discipline (idrogeologia, idraulica, scienze agroforestali, scienze ecologiche, pianificazione territoriale e del paesaggio, ecc) differenti da quelle che compongono la firmitas di un edificio (geolitomorfologia, scienza e tecnica delle costruzioni, fisica tecnica, tecnologia dei materiali,ecc).

Ma in entrambi i casi esse dovrebbero essere messe in relazione non gerarchica, ma di complementarietà con l’utilitas e la venustas. Operazione più usuale nel progetto di architettura (quando non diventa pubblicità delle grandi opere, marketing d’impresa, valore di scambio nella seduzione del “marchio”, del segno, ecc), molto meno nei progetti di territorio, dove le componenti settoriali (progetti infrastrutturali, di riduzione del rischio idraulico, di localizzazione di attività commerciali, produttive, abitative , ecc) tendono a autonomizzarsi seguendo logiche economiche settoriali e producendo una risultante territoriale la cui morfologia e il cui paesaggio risultano come sommatoria di interventi e non come frutto di un progetto complessivo, consapevole e socialmente controllato.

Ma veniamo al nostro approccio. I nostri scenari procedono da rappresentazioni patrimoniali che sono costituite, se pur con il concorso di discipline “scientifiche” e con la piena utilizzazione di strumenti informatici, da segni selezionati in parte con criteri soggettivi per enfatizzare la rappresentazione e raffigurazione identitaria dei luoghi; segni che evidenziano la significatività anche estetica (la “bellezza” ) della permanenza di una trama agraria storica, di una figura territoriale, di un tipo paesistico, di un reticolo di città e cosi via. C’è un percorso di evocazione di ciò che è invisibile, le regole di lunga durata che definiscono la “personalità” del luogo, inteso come sistema vivente ad alta complessità, che lo scenario rende visibile come tensione progettuale, operando quella distanza critica dalla realtà che è connaturata alla qualità essenziale dell’opera d’arte.

Ma c’è di più: nel passaggio di scala dal design industriale e dall’architettura al territorio, si delinea un passaggio da relazioni prevalenti del progetto con il mercato o con specifiche committenze alle relazioni dirette del progetto con l’interesse pubblico e con i beni comuni; in primo luogo il territorio stesso, inteso come bene comune in quanto ambiente essenziale alla riproduzione della vita: l’acqua, l’alimentazione, l’aria, i fiumi, le coste il verde e le foreste, il paesaggio, ma anche l’ambiente urbano essenziale alla realizzazione delle relazioni sociali e della vita pubblica, gli spazi pubblici e di relazione nella città, le infrastrutture, le reti di comunicazione, i nuovi rapporti fra città e mondo rurale, etc.: beni materiali e immateriali che garantiscono la riproduzione della vita. In questo caso la poetica dello scenario sta nel disvelare, riconoscere, produrre discostamenti fra le concezioni dissolutive dei beni comuni nell’appropriazione privatistica del territorio e una loro nuova visibilità, mettendo in contatto paesaggi futuri con la nascente coscienza di luogo (interpretando l’inconscio collettivo di junghiana memoria).

Dunque negli scenari territoriali disegnati, a carattere non predittivo, ma cognitivo e progettuale, a carattere euristico per la sollecitazione dell’immaginario collettivo, a partire dall’incontro fra saperi tecnici e saperi contestuali si può verificare un atto creativo olistico, tipico del procedimento artistico.

Nella visione contemporanea l’urbanistica e la pianificazione territoriale sono viste dai più come noiose pratiche normative o tecniche e, nei casi migliori, come defatiganti pratiche partecipative che scivolano nel dominio delle scienze politiche.

Credo che in questo contesto lavorare alla costruzione di poetiche del “progetto di territorio” attraverso lo sviluppo di linguaggi visivi capaci di produrre qualità estetiche del messaggio sia fondamentale per ristabilire nel progetto di futuro delle comunità locali le giuste proporzioni fra funzioni di utilità, sicurezza e qualità ambientale, bellezza e benessere.

Quarta di copertina

Nella visione contemporanea, l’urbanistica e la pianificazione territoriale sono considerate dai più come noiose discipline tecnico-normative o, nei casi migliori, come faticose pratiche partecipative che scivolano nel dominio della scienza politica. In questo contesto, lavorare alla costruzione di poetiche del “progetto di territorio” attraverso lo sviluppo di linguaggi visivi capaci di produrre qualità estetiche nella comunicazione è fondamentale per ristabilire, nel progetto di futuro delle comunità locali, le giuste proporzioni fra funzioni di utilità, sicurezza e qualità ambientale, bellezza e benessere.

Negli scenari territoriali disegnati che popolano questo volume - scenari a carattere non predittivo, ma cognitivo e progettuale, sviluppati con modalità euristiche per la sollecitazione dell’immaginario collettivo, e che si pongono come snodo strategico fra la ricognizione rappresentativa del patrimonio territoriale ed il progetto di territorio - a partire dall’incontro delicato fra saperi tecnici e conoscenze contestuali si può forse verificare un atto creativo olistico, tipico del procedimento artistico.

Alberto Magnaghi è ordinario di Pianificazione Territoriale presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, dove presiede il Corso di Laurea in Urbanistica e Pianificazione Territoriale ed Ambientale (sede di Empoli) e dirige il Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti (LaPEI). Coordina da oltre vent’anni ricerche interuniversitarie nazionali ed europee, di una delle quali questo volume rappresenta il report finale. Il suo testo più noto, manifesto della scuola territorialista, è Il progetto locale (Torino, 2000), edito in quattro lingue e distribuito in decine di Paesi nel mondo; per Alinea ha curato Rappresentare i luoghi. Metodi e tecniche (2001) e La rappresentazione identitaria del territorio. Atlanti, codici, figure, paradigmi per il progetto locale (2005), entrambi pubblicati in questa stessa collana.

[1] “- Il primo movimento è consistito nel definire a livello teorico e metodologico il significato del concetto di sviluppo locale autosostenibile che ha visto impegnati dieci anni in ricerche e progetti e piani;

- il secondo ha avviato un lavoro di definizione di metodologie e tecniche di rappresentazione identitaria dei luoghi e dei loro giacimenti patrimoniali organizzata in atlanti, codici, figure territoriali, descrizioni fondative;

- il terzo consiste nell’elaborazione di statuti dei luoghi (invarianti strutturali, regole per la trasformazione) di cui la rappresentazione identitaria costituisce il capitolo fondativo;

- il quarto consiste nell’elaborazione di visioni strategiche di futuro (scenari) fondate sulla valorizzazione dei giacimenti patrimoniali locali secondo le regole definite dallo statuto dei luoghi;

- il quinto consiste nel ridefinire i compiti, gli strumenti e i processi della pianificazione a partire dalle innovazioni presenti nei primi quattro movimenti”.

Vedasi A. Magnaghi, “Il ritorno dei luoghi nel progetto” in: Id. (a cura di), La rappresentazione identitaria del territorio. Atlanti, codici, figure, paradigmi per il progetto locale, Alinea, Firenze 2005.

[2] Il volume costituisce la restituzione delle ricerche condotte nell’ambito della Ricerca PRIN: La costruzione di scenari strategici per la pianificazione territoriale: metodi e tecniche (2004-2005), Coordinatore nazionale Alberto Magnaghi. Unità di ricerca: Facoltà di Architettura di Firenze (responsabile Alberto Magnaghi); Politecnico di Milano - DiAP (responsabile Giorgio Ferraresi); Facoltà di Scienze Politiche di Bologna (responsabile Alberto Tarozzi); Facoltà di Architettura di Genova (responsabile Mariolina Besio); Facoltà di Architettura di Palermo (responsabile Bernardo Rossi Doria).

[3] “La coscienza di luogo si può in sintesi definire comela consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale degli abitanti, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali (materiali e relazionali), in quanto elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale e collettiva, biologica e culturale. In questa presa di coscienza, il percorso da individuale a collettivo connota l’elemento caratterizzante la ricostruzione di elementi di comunità, in forme aperte, relazionali, solidali.

La definizione è sviluppata analiticamente in: A. Magnaghi, “Il territorio come soggetto di sviluppo delle società locali”, Etica ed economia, vol. IX, n° 1/2007.

[4] Il tema, introdotto nella Conferenza di Bari del novembre 2005 della Rete del Nuovo Municipio, è stato sviluppato nella mia relazione introduttiva alla Conferenza di Milano del novembre 2006. Vedasi in proposito:

A. Magnaghi, “Dalla partecipazione all’autogoverno della comunità locale: verso il federalismo municipale solidale”, Democrazia e Diritto, n° 3/ 2006.

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