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Mario Pirani
L’arma letale per distruggere Venezia
16 Luglio 2012
Vivere a Venezia
Peccato che l’autore di questo appello alla difesa dalle Grandi navi abbia applaudito l’altra arma letale, il MoSe.La Repubblica, 16 luglio 2012

Il 13 luglio all’Isola del Giglio si è svolta a 6 mesi di distanza la cerimonia di ricordo delle 32 vittime che persero la vita nel naufragio della Costa Concordia, un ricordo che non svanisce ma tende a replicarsi nella fantasia dei superstiti, quasi incombesse su di essa una coazione a ripetere, iscritta nella stupidità umana, come ha detto uno dei testimoni. In realtà è un fenomeno tutt’altro che irrazionale, sol che si rifletta alla motivazione del tutto frivola, ancorché fruttuosa dal punto di vista pecuniario, che ha suggerito al comandante come ai suoi predecessori, di far correre un rischio tutt’altro che imprevedibile ai suoi passeggeri pur di offrir loro il brividodi sfiorare le rocce.

La verità agghiacciante di questo rischio mi è apparsa all’improvviso ripercorrendo, con una diversa attenzione che nel passato, un luogo assai lontano dall’arcipelago toscano e, cioè, il Bacino San Marco e i canali lagunari che gli fanno corona. Un paesaggio visto più volte con ammirata emozione, ma ormai senza sorpresa, all’improvviso mi generava un senso di assurdità, di inconcepibile provocazione, di ridicola sceneggiatura messa in piedi da un pazzo con pieni poteri cui fosse stata affidata la sorte della Città dei Dogi, secondo un modello allucinatorio, che riprendeva su scala lagunare il raid della Costa Concordia riprodotto nella sua follia dalla sproporzione tra il minuscolo borgo marittimo e la gigantografia della maxi-nave che ne sfiorava gli scogli. Una cronaca realistica che va oltre l’evento mi è stata fornita da un sapiente resocontista, Silvio Testa, con un incipit meritevole del Campiello: «Immensi scatoloni galleggianti passano per il Bacino di San Marco: sono bianchi, li chiamano navi, e in effetti lo dovrebbero essere, ma delle splendide navi di un tempo hanno solo la funzione di portare passeggeri, tanti, il più possibile. Queste navi non hanno né raffinatezza né buon gusto, sono ispirate ai Casinò di Las Vegas, a bordo mantengono quel che promettono: una vacanza davillaggio turistico per quei croceristi che fan parte di quei 30 e più milioni di visitatori all’anno che soffocano Venezia».

La Stazione marittima è uno dei principali varchi d’entrata e di passaggio “mordi e fuggi” che permettono a questi viaggiatori una “toccata e fuga” a qualche metro dai tetti dei palazzi e delle chiese. Così uno dei luoghi più belli del mondo si trasforma da un minuto all’altro in uno dei più brutti dell’universo, La fonte dello scempio nasce dall’idea diabolica del “fuori scala”. Le cosiddette navi-giganti non hanno linea, si ergono per oltre 60 metri di altezza mentre le case della città non superano in media i 15 m. I passeggeri inerpicati sui punti più alti delle navi guardano dall’alto in basso campi, campielli, case, calli perdendo ogni cognizione della città, della sua fragilità, del suo bisogno di rispetto. Le autorità e i gruppi d’interesse inneggiano comunque al moltiplicarsi delle presenze . Nel 2009 i passaggi o le “toccate” (tipo Isola del Giglio) delle grandi navi nel Bacino di San Marco sono stati 1300 (metà all’andata, altrettante al ritorno). Sovente approdano in un giorno 12 condomini galleggianti e le banchine portuali non bastano; si ricorre alla Riva dei Sette Martiri. Nella zona i motori sono accesi giorno e notte, vibrazioni, fumi inquinanti, avvelenamenti elettromagnetici si susseguono. Le proteste dei cittadini che chiedono una struttura portuale in mare aperto con un sistema di ormeggio compatibile con la sopravvivenza di Venezia non vengono ascoltate. Ma è soprattutto l’ipotesi che una mega-nave in transito nel Bacino di San Marco finisca per infilarsi nella facciata di San Giorgio o in quella di Palazzo Ducale viene liquidata in poche righe da un rassicurante studio affidato dalla Autorità portuale a una società locale la quale afferma che basta usare in modo corretto la strumentazione esistente per raggiungere gli standard di sicurezza necessari. In altri termini, se non ci sono errori non ci sono incidenti.

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