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Ernesto Galli della Loggia
L'archivio? Ogni governo avrà il suo
11 Agosto 2005
Beni culturali
A destra qualcuno si accorge della “frantumazione della memoria storica del paese”, sul Corriere della sera del 5 agosto 2005. Altrove no

Uno Stato, come qualunque altra cosa, vive anche di simboli. Che non sono solo lo stemma, l'inno o la bandiera. Sono pure alcune istituzioni nazionali che con la loro sola esistenza esprimono, simbolicamente appunto, la consapevolezza dei cittadini di avere un retroterra e un destino comuni: un sistema scolastico unitario, per esempio, una radio pubblica, una polizia di Stato. O anche un archivio centrale dello Stato.

Di tutto ciò, però, la destra italiana si direbbe che non gliene potrebbe importare di meno. Mentre è la destra in particolare, infatti, che dovunque mira a rappresentare e a difendere i valori e le istituzioni nazionali, nel nostro Paese invece no. Nel nostro Paese essa li difende solo finché le fa comodo (o, il che fa quasi lo stesso, finché lo permette la Lega). Non si spiega altrimenti l'introduzione, passata fin qui inosservata, di un brevissimo comma all'interno di un lungo ed eterogeneo decreto legislativo approvato qualche mese fa e che sarà pubblicato nei prossimi giorni nella Gazzetta Ufficiale, entrando così in vigore. Un piccolo comma grazie al quale si otterrà un effetto, però, di rilievo: né più né meno che la cancellazione di un ganglio decisivo dell'attuale sistema archivistico nazionale e di documentazione dello Stato unitario.

Il comma di cui sopra prevede, infatti, che d'ora in avanti tutte le carte della Presidenza del Consiglio dei ministri non saranno più versate all'Archivio centrale dello Stato, bensì conservate in un apposito, neocostituito, archivio storico della stessa Presidenza «secondo le determinazioni assunte dal presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto».Con il medesimo decreto, si aggiunge, «sono stabilite le modalità di conservazione, di consultazione e di accesso agli atti presso l'archivio».

Insomma, d'ora in avanti, almeno in teoria, sarà lo stesso Berlusconi, e domani Prodi o chi per lui, a decidere non solo che cosa dovrà o non dovrà essere conservato degli atti che documentano l'azione del proprio governo, ma anche chi come e quando potrà consultare e studiare i documenti in questione.

Per capire la crucialità e l'entità del fondo archivistico di cui si tratta, basterà dire che dagli uffici del presidente del Consiglio passano, come è ovvio, tutte le decisioni più importanti sia del vertice politico del Paese, sia di tutte le amministrazioni centrali e spesso anche periferiche dello Stato. Tanto è vero che attualmente sono ben 9 mila circa i faldoni contenenti tale documentazione versati presso l'Archivio centrale dello Stato, faldoni la cui consultazione è stata resa sempre disponibile con larghezza e professionalità inappuntabili dai funzionari che vi lavorano, in obbedienza alle norme generali che regolano la materia.

D'ora in poi, invece, tali norme non varranno più. Tutto dipenderà dal buonvolere dell'inquilino di Palazzo Chigi o di qualche suo dipendente. E tutto questo semplicemente perché dopo le due Camere, dopo la Corte Costituzionale, dopo la presidenza della Repubblica — che almeno tuttavia possono accampare la ragione di essere organi costituzionali — ora anche la presidenza del Consiglio, che tale non è, ha voluto il suo archivio particolare: esempio di una frantumazione della memoria storica del Paese e di una sorta di feudalizzazione della stessa a cui è difficile non attribuire il significato di un piccolo-grande segno dei tempi.

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