La Repubblica, 28 marzo 2015
Spaccarsi per una piazza che non ti vuole. È il paradosso che imbriglia il Pd di lotta, in corteo con la Fiom e contro i democratici di governo. Toccherà a Stefano Fassina, Rosy Bindi, Pippo Civati e forse Gianni Cuperlo manifestare oggi per le vie di Roma, fino al comizio finale di Maurizio Landini. Dichiarerà guerra a Palazzo Chigi, si intesterà la battaglia per abolire il Jobs act con un referendum. Ma i riflettori sono già puntati sul futuro, quando la Coalizione sociale tenterà di scalare la Cgil e, chissà, anche la sinistra.
Due settimane dopo la prima riunione a porte chiuse in un seminterrato di corso Trieste, la struttura di Landini inizia a prendere forma in piazza del Popolo. Arriveranno in migliaia. Trecento pullman, bandiere dei metalmeccanici e i colori dei poster della prima campagna presidenziale di Obama. L’obiettivo è radunare cinquantamila persone, provando a immaginare nuove “Unions”, che è anche lo slogan dell’evento. La colonna sonora, neanche a dirlo, seguirà lo spartito degli storici canti operai del gruppo “Il muro del Canto”. Sul palco interverranno rappresentanti di Libera (con il suo “reddito di dignità”) e delegati Fiom, insegnanti della Cgil, studenti e i movimenti per la casa. Sarà proiettato un saluto di Gino Strada (Emergency) e letto un messaggio di Gustavo Zagrebelsky. E parlerà anche Stefano Rodotà.
Su un punto, però, il leader non transige: braccia aperte ad associazioni e movimenti (Arci, Giustizia e libertà) porte sprangate per le vecchie sigle. Certo, ci sarà Nichi Vendola nonostante il gelo degli ultimi mesi. E pure, come detto, frammenti della minoranza dem. «Visti da fuori - li ha massacrati Landini sull’Espresso - alcuni esponenti sembrano interessati soprattutto alla ricandidatura». Previsioni impietose. L’altra faccia della medaglia, quella renziana: «Hanno visto i dati positivi sull’occupazione? - domanda il vicesegretario dem Lorenzo Guerini - Quanto ai nostri, manifestano con chi si oppone al governo guidato dal loro segretario... Fatico a comprendere, lo ammetto».
Fuori dalla Coalizione sociale, in effetti, è tutto un rebus targato Pd. Con Matteo Renzi che ridimensiona - «è una manifestazione contro il governo, “no news”, non c’è titolo» -, la pattuglia bersaniana che si sfila e un altro pezzo di minoranza dem che spera di costruire un ponte. «Sarò lì per ascoltare - spiega Bindi - E anche un grande partito di centrosinistra dovrebbe ascoltare». Non che tutto fili liscio, anzi: «Sento la contraddizione - ammette Stefano Fassina - e mi preoccupa che tanti lavoratori avvertono il Pd lontano».
La tabella di marcia delle “Unions” di Landini è serrata: ad aprile un appuntamento per stilare il programma, poi le prime sedi territoriali e a maggio la convention nazionale. Una corsa senza respiro, mentre la sinistra politica antirenziana arranca. Fino a dove? Fino all’opa sulla Cgil, che Susanna Camusso proverà a contrastare affacciandosi in piazza del Popolo (l’intervento dal palco, invece, è ancora in bilico). E soprattutto fino a una nuova forza politica, nonostante l’estenuante pretattica: «Io resterò nel sindacato - giura Landini - ma chi partecipa al percorso risponderà al vuoto di rappresentanza ». Un partito, appunto. «Il dilemma lo risolverà Maurizio», taglia corto Civati. «Noi sforziamoci di non dividere la sinistra».