Uno sguardo nelle pieghe ideologiche degli accordi tra i grandi poteri che governano l'Italia.
La Repubblica, 10 gennaio 2013
Esserecattolici e chiudere due occhi sull’immoralità del premier è stato possibile negli anni di egemonia berlusconiana. Oggi si assiste ad un altro connubio, forse meno impervio del precedente, quello tra cattolicesimo e liberismo. Così sembra di capire da queste prime battute della campagna elettorale. Da un lato un candidato premier, Mario Monti, che fa del liberismo la sua bandiera morale oltre che l’anima del suo programma politico, dall’altro la Chiesa di Roma che ne benedice la candidatura anche se intanto getta l’allarme sui poveri che aumentano di numero e auspica un governo più equo con i tagli e con le tasse. Questa tensione amichevole è un interessante esempio di quanto possa essere ricca di risvolti la relazione fra liberalismo e cattolicesimo
Ci sono certamente diversi tipi di liberalismo (come ci sono diverse declinazioni del cristianesimo cattolico), almeno tre: come filosofia liberale dei diritti civili, il liberalismo è affermazione della sovranità dell’individuo nelle decisioni morali e politiche, anche quando si tratta di valori ultimi, come la vita e la morte; come ordinamento costituzionale, stato di diritto e sistema di divisione e bilanciamento dei poteri o liberalismo politico; infine come dottrina economica centrata sull’interesse individuale e la libera competizione. In quest’ultimo caso, la visione liberale può diventare una vera e propria filosofia dell’autoregolamentazione del mercato e una dottrina compiuta secondo la quale la giustizia o è via mercato o non è, in quanto l’intervento statale di redistribuzione della ricchezza tende a disturbare il movimento economico invece di correggerlo per il meglio. Delle tre coniugazioni la prima e la terza sono le più interessanti per la questione che ci interessa. La prima è certamente quella che più preoccupa la Chiesa perché riduce vistosamente l’autorità del magistero pastorale. Ad una prima impressione potrebbe sembrare che anche la terza incontri resistenze, poiché la giustizia sociale è un’importante acquisizione della dottrina cattolica moderna. Eppure, le cose sono più complesse, perché tra le declinazioni del liberalismo che meno si adattano alle esigenze della Chiesa vi è proprio quella che ha partorito lo stato sociale. Prima di tutto perché ha accresciuto il potere dello Stato rispetto a tutte le fonti di solidarietà e di carità non statali: le tasse hanno per anni preso il posto della beneficenza privata, i servizi pubblici quello dei servizi erogati dalla rete delle associazioni solidaristiche, e principalmente religiose. Quindi meno stato e più società civile – il cuore del liberismo – incontra prevedibilmente l’interesse della Chiesa. Benché quindi ci possano essere diverse declinazioni di cristianesimo cattolico, una di queste può essere quella liberista. Il catto-liberismo (un termine non bello, ma efficace) tiene insieme il progetto di un dimagrimento dello stato sociale (a cui corrisponde una crescita delle funzioni dell’associazionismo cattolico, magari con l’incentivo pubblico) e la morale della misericordia per i poveri, i quali, dove la mano dello Stato non arriva, devono sapere di poter contare sulla carità cristiana. L’orgogliosa politica dei diritti sociali che si proponeva di emancipare i poveri facendone cittadini sembra non soddisfare né liberisti né cattolici, che così si trovano quasi naturalmente alleati, uniti dalla politica della sussidiarietà che rilancia (magari con l’aiuto del pubblico) la società civile. |