.il manifesto, 15 ottobre 2016 (c.m.c.)
Se il nostro presidente del Consiglio fosse uno statista potrebbe sparigliare le carte, con una mossa che toglierebbe il sonno a non pochi governi. Il ritiro unilaterale dei nostri soldati, circa 4.500, dai vari teatri di guerra e il disimpegno economico del nostro stato in spese belliche: oltre 29 miliardi di euro nell’anno 2015, circa 80 milioni al giorno, secondo i dati dell’agenzia indipendente Stockolm International Peace Research.
Tutto il contrario di quel che sta accadendo con lo schieramento dei paesi Nato ai confini della Russia, e con un contingente di nostri militari che andrà in Lettonia. Uno sperpero di denaro pubblico con cui potremmo organizzare una dignitosa accoglienza dei migranti.
Non solo, e sarebbe già moltissimo. Ma potremmo fare di questo fiume di denaro la leva demografica e sociale per la riorganizzazione del nostro territorio, dando un nuovo slancio alla vita economica e sociale dell’intero paese. Lo sforzo che oggi l’Italia sostiene per fare guerre camuffate dovrebbe essere interamente rivolto all’interno, a fronteggiare la più grande sfida che il paese ha davanti a sé nel suo immediato futuro. Dovrebbe apparire chiaro, infatti, che le chiusure sempre più ottuse e feroci degli stati del Nord Europa ai disperati che fuggono da guerra e miseria, trasformeranno l’Italia da paese di transito in meta finale e permanente.
Il passo che un vero statista dovrebbe compiere è uscire dalla Nato. Oggi esistono buone ragioni per disfare la struttura dell’Alleanza atlantica. Essa non aveva più ragioni di esistere dopo il tracollo del Patto di Varsavia. Eppure sotto il dominio americano essa ha continuato la sua opera, provocando danni immensi e incalcolabili all’umanità intera.
Rammentiamo qui brevemente, tralasciando le guerre balcaniche, che sotto lo scudo statunitense, almeno una parte di paesi Nato ha invaso l’Afghanistan, intrapreso la rovinosa guerra in Iraq ( dalle cui macerie è sorta l’Isis, il più sanguinario fenomeno di terrorismo internazionale dei nostri tempi), ha invaso e devastato la Libia. Ma anche in Europa, la politica americana della Nato è fonte di tensioni crescenti e di conflitti armati (Ucraina e i confini del Baltico). Rinfocolando i risentimenti antirussi di molti paesi dell’Est, ha fatto rinascere antichi nazionalismi e spinto la Russia verso un irrigidimento sempre più autoritario, favorendo platealmente il potere personale di Putin.
Chi possiede intelligenza delle cose del mondo deve riconoscere che gli Usa hanno necessità di ricreare la figura di un grande Nemico esterno, venuto a mancare dopo il crollo dell’Urss. Ne hanno bisogno per ragioni di politica interna, per mantenere il consenso tra il popolo americano, sempre più deluso e lacerato. E per conservare il loro blocco di alleanze internazionali.
Ma anche per ragioni economiche: la costosissima macchina industriale-militare degli Usa ha bisogno di utilizzare, con guerre locali, ma anche di vendere i suoi prodotti. E i paesi Nato costituiscono la sua migliore (anche se non unica) clientela. Il caso degli acquisti dei caccia F35 da parte dell’Italia – paese che per norma costituzionale ripudia la guerra – è la spia più clamorosa della disposizione e della pratica servile dei nostri governanti verso questo potere opaco e dispendioso che sfugge a ogni controllo democratico.
L’uscita dalla Nato potrebbe favorire il processo di unificazione dell’Europa. Dopo la Brexit sarebbe più agevole la costituzione di una difesa europea comune, una difesa leggera, assai meno dispendiosa di quella affidata ai singoli stati, non soggetta agli interessi commerciali Usa. L’Italia, insieme alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia potrebbe mettersi alla testa di questa coraggiosa svolta politica, in grado di trascinare anche la Francia, se il senso del bene comune tornasse a brillare tra i socialisti di quel paese. Noi ne abbiamo necessità vitale.
Il modo in cui evolverà il continente africano deciderà molte cose dell’avvenire del nostro Paese. Occorre una grande politica verso i paesi del Mediterraneo e non la si può realizzare con i dogmi fallimentari dell’ordoliberalismo tedesco. Mentre su questo blocco di paesi si potrebbe progettare un euro.2, una moneta euromediterranea, che segni una via d’uscita dal più grave errore fondativo dell’Unione europea.