La Repubblica, 22 febbraio 2013
In una campagna elettorale quasi completamente appaltata alla “scienza triste” (l’economia, così definita da Thomas Carlyle), e percorsa da agende talora improponibili, si è in questi giorni concretamente manifestata un’altra proposta programmatica, segno tangibile di una società vitale, capace di indicare con precisione e rigore i modi per affrontare questioni che altrimenti rischiano di rimanere sullo sfondo. Quel che va segnalato, tuttavia, non è soltanto l’esistenza di molte proposte, ma il modo in cui sono state elaborate. Migliaia di persone, centinaia di associazioni si sono impegnate nella preparazione di specifiche proposte di legge, intorno alle quali sono state poi sollecitate l’attenzione e la partecipazione dei cittadini. Più di cinquantamila firme accompagnano una proposta di legge d’iniziativa popolare sul reddito minimo garantito, più di un milione di firme sono state già raccolte in Europa perché l’accesso all’acqua sia riconosciuto come diritto fondamentale della persona.
Non siamo di fronte all’improvvisa emersione di una “cittadinanza attiva”. Scopriamo piuttosto che non è scomparso quel risveglio della società suscitato, tra la fine del 2010 e la prima parte del 2011, da grandi manifestazioni pubbliche che hanno creato le condizioni propizie ai successi della sinistra nelle elezioni amministrative della primavera del 2011 e al risultato strepitoso del referendum del giugno di quell’anno, quando ventisette milioni di persone dissero no al profitto nella gestione dei servizi idrici. Quello spirito è ancora vitale. Ignorato dalle forze politiche ufficiali, produce nuovi frutti e si rivolge fiduciosamente al nuovo Parlamento, mettendo a sua disposizione disegni di legge definiti in ogni dettaglio, che possono essere immediatamente presentati e che possono alimentare discussioni diverse da quelle monocordi e approssimative che ci hanno afflitto negli ultimi anni.
Lo spettro delle proposte è largo, come lo è il mondo dal quale provengono. Non hanno la pretesa della completezza, ma identificano temi ineludibili quando si vogliono affrontare le grandi questioni che abbiamo di fronte. Non nascono da un lavoro coordinato, ma dall’operosa iniziativa di molte reti informali che hanno via via trovato punti di convergenza. Presentate in una conferenza stampa, hanno rivelato un grado sorprendente di coerenza, che nasce dalla consapevolezza che stiamo vivendo un mutamento strutturale profondo, che esige un rinnovamento altrettanto profondo delle categorie politiche e giuridiche. Ed è importante sottolineare che questo lavoro è stato possibile grazie ad una collaborazione stretta tra studiosi e movimenti, che hanno riaperto l’indispensabile canale di comunicazione tra politica e cultura.
Si manifestano così i nessi nuovi tra lavoro e vita, tra diritti delle persone e beni che li rendono effettivi. Si scopre la dimensione del “comune”, che obbliga a ripensare il rapporto tra pubblico e privato. Si guarda a Internet non solo come a una opportunità tecnologica.
Non è un caso che il tema ormai drammatico del lavoro sia affrontato dal punto di vista del reddito minimo garantito. Di questo si parla in modo assai fumoso in alcune tra le “agende” in circolazione. Ora è disponibile una proposta di legge realistica, attenta ai dettagli, frutto di un lavoro che ha coinvolto 170 associazioni e che è stato coordinato dal Bin Italia (Basic economic network).
Vale la pena di aggiungere che l’Italia, in questa come in troppe altre materie, è inadempiente rispetto ad una direttiva europea del 1992, che prevedeva appunto che i paesi dell’Unione si dotassero di meccanismi idonei ad offrire garanzie a chi si trovi in situazioni di disoccupazione o di estrema precarietà. Un principio, questo, ribadito dall’articolo 34 della Carta europea dei diritti fondamentali, dove si parla della necessità di garantire una “esistenza dignitosa”. “Ce lo chiede l’Europa”, dunque. Una espressione, questa, che assume forza normativa quando si tratta di vincoli economici, ma che viene del tutto ignorata quando si tratta di diritti. Si sta consolidando una vera schizofrenia istituzionale, che fa crescere uno “spread” di civiltà che ormai affligge il nostro paese.
Sono proprio i diritti il cuore delle proposte appena illustrate. E dalla loro considerazione si muove per individuare i beni necessari perché l’esistenza, nel suo complesso, sia davvero dignitosa. L’esistenza materiale ci porta all’acqua, all’uso non predatorio del territorio, alla tutela del paesaggio; la costruzione libera della personalità evoca la conoscenza. Si stabilisce così una connessione profonda tra la condizione umana e i diritti fondamentali, che è poi un tratto essenziale della stessa democrazia. Il diritto all’esistenza libera e dignitosa è tutto questo. Reddito, certamente. Ma, insieme e talora soprattutto, condizioni del vivere, dove l’immateriale dà il tono a tutto il resto, determina la qualità stessa della vita.
Si dà così la giusta prospettiva ad una elaborazione che deve uscire dalle strettoie del breve periodo, dalle grettezze culturali. Ma non si perde la concretezza. Per la ricostruzione complessiva del sistema della proprietà – articolato intorno a pubblico, privato, comune – è disponibile un disegno di legge preparato da una Commissione ministeriale, già presentato senza fortuna al Senato nella passata legislatura, ma che ha dato l’avvio a nuove pratiche sociali nell’uso dei beni. E sempre al Senato era presente la proposta di affrontare la questione del rapporto tra diritti e nuove tecnologie, integrando l’articolo 21 della Costituzione con le parole “tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale”, ponendo così la premessa per regolare la conoscenza in rete come bene comune. Una linea, questa, già seguita da molti Paesi e adottata in diversi documenti internazionali. A queste si aggiunge un’altra proposta analitica sul testamento biologico, che consentirebbe di affrontare un tema “eticamente sensibile” al riparo da furori ideologici e sgrammaticature giuridiche. Inoltre, subito dopo il voto verrà diffusa una ipotesi di nuova disciplina dell’iniziativa legislativa popolare, che prevede l’obbligo delle Camere di prendere in considerazione le proposte dei cittadini, consentendo a rappresentanti dei firmatari di essere presenti ai lavori nelle commissioni parlamentari.
Volendo azzardare una battuta, o dare un suggerimento, si potrebbe dire che i futuri parlamentari dispongono già di una dote programmatica, o di un pacchetto di proposte “chiavi in mano”, da sfruttare immediatamente. E infatti i promotori dell’iniziativa, simbolicamente riuniti nel Teatro Valle occupato, hanno deciso di inviare per posta elettronica ai nuovi eletti tutti i documenti disponibili.
Ma è avvenuto qualcosa di più. Non vi è stato solo il sommarsi di iniziative diverse. Si sono poste le premesse per continuare un lavoro comune di elaborazione che possa colmare molti vuoti aperti dalla crisi della rappresentanza e dalla perdita di legittimazione derivante dal fatto che stiamo andando a votare con una legge la cui incostituzionalità era stata segnalata dai giudici della Consulta senza che i parlamentari seguissero una indicazione così importante. Sta nascendo una “rete delle reti”, una struttura sociale capace non solo di produrre proposte, ma di scoprire le strade che possono renderle effettive.