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Gaetano Azzariti
L’accordo sulle riforme ha partorito un mostro giuridic
6 Maggio 2014
Articoli del 2014
«Si è venuta a determinare una situazione paradossale, costituzionalmente insostenibile. Se il Senato dovesse effettivamente approvare la legge elettorale prima della conclusione dell’incerto percorso di riforma del bicameralismo, ci troveremmo con due complessi normativi per l’elezione dei due rami del Parlamento tra loro totalmente incompatibili».

«Si è venuta a determinare una situazione paradossale, costituzionalmente insostenibile. Se il Senato dovesse effettivamente approvare la legge elettorale prima della conclusione dell’incerto percorso di riforma del bicameralismo, ci troveremmo con due complessi normativi per l’elezione dei due rami del Parlamento tra loro totalmente incompatibili».

Il manifesto, 6 maggio 20014
Sem­bra che l’«autonomia del poli­tico», dopo aver con­su­mato un forte distacco dalla società, stia ora cer­cando di affran­carsi anche dal diritto. Un’impressione che, da ultimo, trova con­ferma nel dibat­tito sulle riforme isti­tu­zio­nali, dove i prin­ci­pali com­pro­messi poli­tici sono stati rag­giunti tutti a sca­pito delle ragioni del diritto, delle sue regole di rigore e logica.

Basta pen­sare al deli­cato intrec­cio che tiene unite la riforma elet­to­rale e quella costi­tu­zio­nale, che rap­pre­senta — a quel che è dato sapere — la base del miste­rioso “patto del Naz­za­reno”. Da un lato le for­za­ture iper­mag­gio­ri­ta­rie e inco­sti­tu­zio­nali per favo­rire i due prin­ci­pali com­pe­ti­tori (il giorno della sot­to­scri­zione del “patto” Renzi e Ber­lu­sconi, oggi non è più così), dall’altro la scelta di non far più eleg­gere diret­ta­mente i sena­tori. Quest’accordo poli­tico — peral­tro assai pre­ca­rio — ha creato un mostro giu­ri­dico. Com’è noto, infatti, al fine di mani­fe­stare il “soste­gno” di tutti al com­plesso delle riforme pro­po­ste, nel corso della discus­sione alla Camera, è stato deciso (da Pd e FI, ma con il con­senso anche di varie mino­ranze interne) che l’approvazione delle norme elet­to­rali dovesse riguar­dare esclu­si­va­mente la Camera, dac­ché i mem­bri del Senato, dopo la riforma costi­tu­zio­nale e nel rispetto del “patto”, non saranno più eletti direttamente.

Dal punto di vista poli­tico a me sem­bra già un’aberrazione: come si può giu­sti­fi­care che prima di ogni discus­sione par­la­men­tare, prima ancora della pre­sen­ta­zione del dise­gno di legge costi­tu­zio­nale in mate­ria, si imponga una scelta obbli­gata di non elet­ti­vità della seconda Camera? I fatti di que­sti giorni, che hanno rimesso in discus­sione pro­prio i cri­teri di elet­ti­vità dei futuri sena­tori, stanno mostrando il fiato corto di que­sta così ardita e appa­ren­te­mente radi­cale scelta poli­tica. Ma è sul piano giu­ri­dico che si sono pro­dotti gli effetti più nega­tivi. Si è venuta, infatti, a deter­mi­nare una situa­zione para­dos­sale, costi­tu­zio­nal­mente inso­ste­ni­bile. Se il Senato dovesse effet­ti­va­mente appro­vare la legge elet­to­rale prima della con­clu­sione dell’incerto per­corso di riforma del bica­me­ra­li­smo, ci tro­ve­remmo con due com­plessi nor­ma­tivi per l’elezione dei due rami del Par­la­mento tra loro total­mente incom­pa­ti­bili che fareb­bero venir meno le stesse fina­lità di gover­na­bi­lità così arden­te­mente per­se­guite dalla mag­gio­ranza di lar­ghe intese. Quest’esito pale­se­mente irra­gio­ne­vole e, dun­que, inco­sti­tu­zio­nale non ver­rebbe meno nep­pure se, in seguito, si appro­vasse una riforma del bica­me­ra­li­smo per­fetto, fosse anche la più radi­cale, ma che non pre­ve­desse spe­ci­fi­ca­ta­mente l’esclusione dell’elettività diretta di tutti i senatori.

Dun­que, una blin­da­tura di un patto poli­tico (tra Renzi e Ber­lu­sconi) che appare fon­dato esclu­si­va­mente su fra­gili inte­ressi poli­tici per­so­nali, che si sono rive­lati imme­dia­ta­mente errati: Forza Ita­lia non è più il secondo par­tito e non può più spe­rare di sfrut­tare a suo van­tag­gio le distor­sioni mag­gio­ri­ta­rie (non le rimane che spe­rare nel gioco delle soglie di accesso per atti­rare alleati recal­ci­tranti) e il Par­tito demo­cra­tico non tro­verà una sin­tesi se non rin­ne­gando il prin­ci­pio della non elet­ti­vità dei sena­tori. Quel che rimane è però il mostri­ciat­tolo giu­ri­dico — che non sarà facile debel­lare — che è stato gene­rato da un accordo senza diritto. Non è que­sta vicenda un’espressione assai signi­fi­ca­tiva del divor­zio tra le ragioni della poli­tica e le logi­che del diritto?

D’altra parte, le fon­da­menta stesse su cui si sta costruendo l’autonomia della poli­tica dal diritto sono deboli. Non dovrebbe sfug­gire, infatti, che le «deci­sioni» del potere poli­tico, alla fine, dovranno tor­nare a fare i conti con la grande regola dello «stato di diritto». Nel nostro ordi­na­mento demo­cra­tico pro­prio al diritto costi­tu­zio­nale spetta l’«ultima parola». Nes­suno può allora illu­dersi che un accordo poli­tico – oltre­tutto con­te­stato — possa rap­pre­sen­tare un sal­va­con­dotto in sede di giu­di­zio di costi­tu­zio­na­lità. E l’incostituzionalità della legge elet­to­rale che si vuole appro­vare è palese. Non è dif­fi­cile pre­ve­dere sin da ora la sua sorte ove arri­vasse alla Con­sulta. Ma, ancor prima, c’è da con­si­de­rare che una legge fonte di gravi irra­zio­na­lità di sistema, ini­do­nea per­sino a rag­giun­gere l’obiettivo per­se­guito della sta­bi­lità delle mag­gio­ranze par­la­men­tari, foriera per­tanto di una pos­si­bile para­lisi del sistema poli­tico e par­la­men­tare, che fini­sce per con­di­zio­nare molti dei poteri pre­si­den­ziali, quello di scio­gli­mento in par­ti­co­lare, è ad alto rischio di non vedere mai la luce. Non scom­met­te­rei, infatti, sulla sua pro­mul­ga­zione da parte del capo dello Stato.

Viene natu­rale allora inter­ro­garsi sulla ragione di que­ste for­za­ture. È lo sguardo corto — sem­pre più corto, ormai quasi cieco — della poli­tica che spiega le spe­ri­co­late ope­ra­zioni cui stiamo assi­stendo. Esa­ge­ra­zioni moti­vate della debo­lezza in cui versa una poli­tica arro­gante. Quando non si sa cosa fare e non si hanno chiare stra­te­gie poli­ti­che da seguire, non si può far altro che alzare la voce per cer­care di far valere gli inte­ressi del momento.

Fra­gi­lità della poli­tica che è un carat­tere dei tempi nostri e sem­bra non sal­vare nessuno.

Se valu­tiamo quel che è suc­cesso sull’altro fronte delle riforme isti­tu­zio­nali, quello della tra­sfor­ma­zione del nostro sistema bica­me­rale, ritro­viamo, pur­troppo, con­ferme dram­ma­ti­che di come le ragioni della poli­tica ormai non rie­scano più a con­ci­liarsi con le logi­che del diritto.

Se può dirsi che il dibat­tito sulla legge elet­to­rale è stato pres­so­ché ine­si­stente e in sede par­la­men­tare tutte le richie­ste di cam­bia­mento sono state fru­strate, non altret­tanto è avve­nuto con rife­ri­mento al dise­gno di legge costi­tu­zio­nale pre­sen­tato dal governo sulla tra­sfor­ma­zione del Senato. Anzi, com’è noto, alla com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali il pro­getto del governo era a un passo dal fal­li­mento, non avendo tro­vato il con­senso neces­sa­rio pro­prio la richie­sta con­cer­nente la non elet­ti­vità diretta dei sena­tori. Ebbene, nel vuoto del diritto, è stato pos­si­bile assi­stere ad un colpo di tea­tro, che ha otte­nuto un con­senso poli­tico pres­so­ché una­nime. Mat­teo Renzi, al quale nes­suno può negare capa­cità spet­ta­co­lari e velo­cità di movi­mento, ha spa­ri­gliato, pro­po­nendo egli stesso un sistema di ele­zione diverso. Ha soste­nuto di voler lasciare che ogni Regione possa sta­bi­lire le moda­lità d’elezione dei pro­pri sena­tori, aggiun­gendo che in fondo non c’era da impic­carsi sulla data di appro­va­zione (ancor­ché — s’intende — nes­suno potesse met­tere in discus­sione la “velo­cità” come mito fon­dante l’immaginario del nuovo governo). Un coro di con­sensi ha accom­pa­gnato la bril­lante ope­ra­zione poli­tica, ed anche i com­men­ta­tori più distanti hanno apprez­zato l’apertura, men­tre solo gli “irri­du­ci­bili” hanno auspi­cato ulte­riori aperture.

Non ho udito nes­suno dire quel che a tutti è chiaro: il sistema sug­ge­rito non ha nes­sun senso giu­ri­dico e non potrà mai tro­vare una sua coe­rente appli­ca­zione. A pren­dere sul serio il com­pro­messo poli­tico enun­ciato — ma non chia­rito — dal pre­si­dente del con­si­glio biso­gne­rebbe rite­nere che l’organo sena­to­riale potrebbe essere com­po­sto, del tutto irra­zio­nal­mente, a seguito delle dif­fe­renti scelte di ogni ente ter­ri­to­riale, magari met­tendo cao­ti­ca­mente assieme elet­ti­vità diretta e indi­retta, rap­pre­sen­tanza isti­tu­zio­nale e popo­lare. Ovvia­mente nes­suno ritiene che que­sto possa essere l’esito. L’ipotesi che cir­cola in que­ste ore di non modi­fi­care il testo base, ma di affian­car­gli l’approvazione di un ordine del giorno di segno oppo­sto, oltre ad essere un’innovazione assai spre­giu­di­cata dei pre­ce­denti par­la­men­tari, segnala l’indeterminatezza della pro­po­sta, ovvero la sua impra­ti­ca­bi­lità costi­tu­zio­nale. Mal­grado ciò, si tende ad apprez­zare la ragione poli­tica che ha indotto a fare una pro­po­sta di aper­tura alle oppo­si­zioni. Poi si vedrà. Forse si riu­scirà in seguito a dare un senso alla riforma costi­tu­zio­nale che, per ora, un senso non ne ha.

Sono in molti a soste­nere che sia que­sto un atteg­gia­mento prag­ma­tico, poli­ti­ca­mente oppor­tuno in tempi dif­fi­cili in cui non ci si vuole o può opporre al vento tem­pe­stoso e con­fuso del cam­bia­mento. Non voglio espri­mere giu­dizi di natura pro­pria­mente poli­tica, ritengo tut­ta­via, sem­pli­ce­mente, che se il costo dovesse essere rap­pre­sen­tato dalla nega­zione della logica del diritto e della costi­tu­zione, non credo sia un prezzo che si possa pagare a nes­suna ragione politica

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