Il manifesto, 25 luglio 2014 (m.p.r.)
In un regime parlamentare, l’ultima carta di una democrazia è l’ostruzionismo e la storia della nostra repubblica è ricca di pagine che raccontano personaggi e interpreti del filibustering nei momenti di maggior contrasto politico. Con i nuovi regolamenti oggi è molto più difficile praticarlo, ma decidere di troncare il dibattito sulla più profonda trasformazione dell’assetto costituzionale mai realizzata dal dopoguerra, scegliendo un rigido contingentamento dei tempi perché l’8 di agosto il presidente del consiglio deve portare a palazzo Chigi il bottino di guerra è, innanzitutto per lui, il segno di una vittoria di Pirro.
Chi vuole vincere senza convincere, chi mostra i muscoli per nascondere la confusione, in realtà rivela la propria debolezza. Non si possono approvare riforme cruciali senza il necessario, faticoso, esercizio del compromesso e della mediazione politica…
Se ancora c’era qualche dubbio sulla natura post-democratica del leader che ci governa, da ieri sarà più difficile sostenerlo. E del resto queste pessime riforme costituzionali per come erano originate, appunto da un’iniziativa legislativa del governo anziché del parlamento, non potevano che precipitare in una esautorazione del parlamento stesso.
Con il sostegno e l’approvazione del Presidente della Repubblica che così espone l’alta carica che rappresenta al ruolo di giocatore anziché di arbitro. Il Capo dello Stato non ha neppure ricevuto personalmente la delegazione di deputati e senatori che ieri sera, in corteo, si è recata al Quirinale per rappresentargli la contrarietà verso una decisione sconcertante.
Napolitano è ancora il rappresentante di tutti gli italiani?