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Lodo Meneghetti
La vittoria degli immobiliaristi
16 Agosto 2005
Lodovico (Lodo) Meneghetti
Un apprezzamento di D’Alema ...

Un apprezzamento di D’Alema a proposito di lotte, intrighi, scalate attorno a banche e giornali in quest’ultime settimane ha sconcertato gl’ingenui. Il succo del suo giudizio è: …eppure ne conseguono anche effetti positivi poiché si producono in ogni caso plusvalenze (questa la parola magica!). Come se i moderni speculatori investissero le plusvalenze in progetti utili al paese anziché intascarle volgarmente, semmai impiegarle in ulteriori oscure manovre borsistiche (per non dire di borseggio dei risparmiatori) o direttamente nell’appropriazione territoriale e urbana. Magari pagassero il dovuto al fisco, ha osservato Guglielmo Epifani ricordando che, secondo le regole attuali, le plusvalenze, per qualsiasi ammontare, pagano solo il 12,5% mentre i redditi da lavoro sono tassati dal 20 % in su e quelli d’impresa del 33% (nell’Unità del 22 luglio). Ma allora: una volta la posizione della sinistra era chiara verso il peggior carattere dell’economia nazionale: abnorme peso delle rendite, soprattutto fondiarie ed edilizie, rispetto ai profitti da produzione industriale; ugualmente, squilibrio relativo fra eccessivi investimenti fondiari ed edilizi e scarsi investimenti industriali o ad ogni modo socialmente produttivi. Naturalmente non si dava sempre, nella realtà, una effettiva separazione fra i renditieri e i capitalisti in senso classico (coltivatori del solo profitto), anzi; sono ancora note, credo, le vecchie analisi relative all’alleanza fra rendita e profitto, spesso confuse in un’unica impresa industriale se non persona (non ne furono esenti la stessa Fiat e la famiglia di Gianni Agnelli, benché quest’ultimo venga ricordato ancor oggi da qualcuno abbastanza vecchio per il famoso – e falso – attacco ai rentier in un’intervista all’Espresso). Oggi, mentre la decadenza dell’industria italiana nel suo complesso è forse giunta al punto di non ritorno, sembra non esserci più alcun ostacolo alla completa presa del potere non tanto dei finanzieri duri e puri quanto, in un paese che la sa lunga quanto a terreni e “cemento”, degli immobiliaristi e dei costruttori di cose inutili e …distruttive (qualche esempio? L’Alta Velocità Milano-Torino, l’autostrada della Maremma, il ponte sullo Stretto, il Mose, le Nuove Milano firmate che grattano il cielo, le vecchie che ne distruggono la linea, le sfortunate opere torinesi per le Olimpiadi invernali, l’”antropizzazione” della Sardegna – Giorgio Todde nel sito, 25 luglio – , i cento porti e porticcioli turistici e i mille villaggi per vacanze…). Ci sono industriali residuali che ripetono a distanza di trent’anni l’anatema agnelliano, come Diego Della Valle, questa volta scatenato contro gli immobiliaristi (e la Consob): ma perché sconfitto nella turpe e noiosa contesa di scalate e annessi che ha riempito le pagine dei giornali per un mese, e dalla quale lucrerà comunque, come ha calcolato qualche attento commentatore, fior di plusvalenze (250 milioni di euro?). Li investirà nelle sue belle scarpe da bravo cultore, appunto, del profitto? Non sappiamo. Ma che ce ne importa delle Tod’s? Non un posto di lavoro in più è in causa. D’altra parte, sebbene il nostro non appaia membro ufficiale della nuova potente corporazione che ha nelle mani il destino del territorio e delle città italiane, non pare che abbia dedicato una qualche strofa del dichiarato disprezzo verso gli speculatori immobiliari alla difesa, appunto, dall’aggressività dei medesimi anche verso le restanti belle terre ascolane e, più in generale, terre costiere marchigiane.

Intanto gli avvenimenti si rincorrono, sembra che il settimo sigillo stia calando sugli ultimi atti in svolgimento da un quadriennio, a loro volta epigoni di una storia infinita di pene inflitte al territorio nazionale che pare essere stata orchestrata da diavoli e diavolesse. Stefano Fatarella mi ricorda che Edoardo Salzano l’ha già fatta quella inevitabile affermazione che ci siamo tenuti dentro, tutti quelli schierati sul fronte contro l’impero: “abbiamo perso”. Per Pasolini la situazione ambientale italiana era già disastrosa alla fine degli anni Cinquanta. Il film di FrancescoRosi Le mani sulla città, soggetto una Napoli già largamente massacrata dalla speculazione edilizia, risale al 1963. L’invettiva accorata dell’ingegner Martuscelli sullo stato del territorio nazionale compresa nel documento-denuncia relativo alla frana di Agrigento è del 1966. Antonio Cederna ha scritto La distruzione della natura in Italia esattamente trent’anni fa. Sappiamo il seguito. Tre decenni di continue accelerazioni quadratiche come nella caduta di gravità. Ne conosciamo le ragioni, i responsabili, in diversi campi. Negli anni recenti, quando è sembrato inutile o difficile contare sulla buona urbanistica del piano di sinistra (che poi era il piano tout court), abbiamo cercato di lottare con l’unica fornitura bellica che possediamo, le parole. Il gruppo che si ritrova in Eddyburg potrebbe verificare se è valsa la pena di combattere le buone battaglie verbali, almeno per gli effetti a lungo termine di tipo culturale e morale, anche quando si sapeva che si sarebbero perdute. Oggi ci sentiamo circondati da cose, istituzioni, persone, gesti come nemici mortali; siamo come il nostro territorio e le nostre città, il nostro paesaggio qua e là resistito.

Da un lato gli immobiliaristi stravincenti.

Al Tronchetti Provera spetta il primato storico per la gigantesca operazione immobiliare alla Bicocca milanese, ne abbiamo parlato spesso: caso emblematico del rovesciamento dei poteri a livello locale, ossia resa degli amministratori pubblici al nuovo magnate della città; attuazione in anteprima secondo i meccanismi del nuovo commercio urbanistico voluto dalla Legge nazionale Lupi; cinica dimostrazione del passaggio diretto dalla produzione industriale storica (le fabbriche Pirelli) alla rendita fondiaria. E gli spetta anche il primato della estrema modernizzazione, per così dire, dei comportamenti: acquisto della Telecom, abbandono dell’ultima “produzione strategica come i cavi” (Epifani), per approdare – ecco lo scopo finale – alla gestione e commercializzazione degli immobili a scala mondiale mediante la Pirelli Real Estat, cioè Pirelli Beni immobili. A seguire, altre mani si stendono sulla città (potreste rileggere qui Le Nuove Milano estranee. L’architettura servile, 30 ottobre 2004), quelle delle cosiddette cordate in cui ritroverete i Ligresti, le Generali, i Lanaro…, o dei parvenu tipo quel Luigi Zunino che agirà da grande affarista e “sviluppatore” (così lo hanno denominato) in una zona, Montecity-Rogoredo, più estesa della Bicocca, al quale inoltre spetterà la “giunta”, come quando compravamo il castagnaccio toscano, dello scalo ferroviario di Porta Vittoria. Ma c’è posto per tutti e dappertutto alla tavola per mangiare il dessert del suolo nazionale. Un Ricucci immobiliarista sconosciuto fino a meno di due anni fa: come può impegnarsi nello stesso momento a scalare Ambronveneta, Banca nazionale del lavoro, Rizzoli Corriere della sera? Chi e cosa c’è dietro, a parte certi presunti appoggi politici a sinistra di cui si è malignato in maniera anche troppo capziosa? Si legge dei sospetti in direzione del gruppo romano Caltagirone, il potentato nel campo delle costruzioni che, per chi possiede una discreta memoria, ha recitato per decenni la parte di protagonista nel film non girato e non diretto da Francesco Rosi intitolato Le mani sulla Capitale (e altrove) oppure Il penultimo sacco di Roma (vale a dire prima del prossimo che il nuovo piano regolatore permetterà, spiace per Campos Venuti).

Da un altro lato i politici e gli amministratori locali, loro amici.

La nuova legge urbanistica nazionale, ultraliberista, padronale, commerciale, classista, ce la siamo trovata di fronte dopo che quatti quatti la destra camerale e il centro margheritino del centrosinistra l’avevano ben disegnata (Lupi del resto è l’autore del modello milanese) nella totale, colpevole, stupida disattenzione (con punte di inespresso consenso tuttavia!) della sinistra, quasi che quest’ultima niente avesse mai avuto a che fare, almeno dal punto di vista culturale, con la miglior tradizione dell’urbanistica proveniente dalle fertili lontananze di un Adriano Olivetti e un Giovanni Astengo, ma pure dalle esperienze sul campo di quegli urbanisti che si erano duramente impegnati anche nell’amministrazione locale (come l’ultimo Astengo del resto). E vennero i nuovi presidenti di Regione e i nuovi sindaci e i nuovi presidenti di provincia, con le loro giunte costituite spesso da presunti tecnici non eletti e chiamati direttamente dal sindaco, a godere del potere personale e oligarchico concesso da una nuova legislazione (con quell’incredibile premio di maggioranza) che la sinistra avrebbe dovuto boicottare invece che avallare in omaggio al mito della stabilità governativa. I consigli degli eletti non contano nulla, le piccole minoranze diventano patetiche quando recitano l’opposizione già sapendo che il prodotto sottoposto alla falsa discussione per finzione democratica non potrà essere scalfito. Si dirà, ma ora che le amministrazioni sono in gran parte in mano al centrosinistra… Ebbene, quanto al nuovo decisionismo arrogante, quanto al fare e disfare nella città e nel territorio fuor di ogni piano, di ogni regola urbanistica, sulla base dei desideri e delle proposte del padroni dei terreni e delle aziende di costruzioni, le differenze di comportamento non sono sempre evidenti.

A Milano il sindaco e la giunta, dopo l’operazione Bicocca, con le Nuove Milano perseguono sempre la scelta delle aree indipendentemente da un disegno complessivo o quantomeno da un’idea generale della città. Ma credono di scagionarsi chiamando a progettare i “grandi” architetti, peraltro inerti personaggi succubi delle imprese: sono queste a vincere le pseudo-gare trascinando con sé il Nome, autore di rendering e modellini ineseguibili che sarà l’impresa, la cordata di imprese a interpretare e trasformare in tutt’altro progetto esecutivo. Architetti del mercato globale dell’architettura completamente estranei ai problemi di contesto, proprio a Milano dove la nozione e la realtà di contesto, ereditate dal Movimento moderno, è da sempre un punto d’onore della progettazione all’università. E a Firenze, cari miei, non abbiamo sentito mesi fa il potente sindaco Domenici proporre la stessa linea albertiniana quando ha perorato la chiamata, guarda caso, di grandi architetti (insieme alle altrettanto grandi imprese) per donare alla città nuovi luoghi di modernità e alto valore rappresentativo?

Gli immobiliaristi hanno colto il nuovo vento che soffia sulle maggiori città, costituiscono alleanze, si assicurano il legame con gli architetti internazionali, aspettano l’inevitabile chiamata ma spesso, ora confortati dalla legge urbanistica, si muovono prima e sottopongono agli amministratori il fare e l’affare. Dove, nella città? in qualsiasi punto, dove siano minori le difficoltà fondiarie e le prevedibili opposizioni dei cittadini. Dove, nel paese? Ovunque il territorio e il paesaggio sopravvissuti alla rovina generale presentino occasioni allettanti.

Il presidente Illy e la giunta friulana, in alleanza col sindaco di Duino-Aurisina (AN) non mollano la presa su Baia di Sistiana. I frequentatori di Eddyburg conoscono la vicenda più volte raccontata nei suoi sviluppi, conoscono il tentativo di influire sulle amministrazioni col noto documento critico proponente l’intangibilità del bellissimo luogo. Oggi il pericolo della spaventosa costruzione lì di “una nuova Portofino” sembra incombere sotto nuova luce. L’esempio duinese resta uno dei più chiari riguardo alla collusione del potere pubblico con imprese immobiliari particolarmente aggressive. Sono anni che l’impresa sottopone i suoi progetti. Gli amministratori li approvano quando l’ingannevole apparenza di qualche piccola modifica, specialmente parolaia, sembra onorarli quali saggi gestori del territorio.

Ricordate la nostra battaglia contro l’auditorium di Ravello? L’arroganza del sindaco, sprezzatore delle nostre ragioni e violatore delle regole vigenti sul “suo” territorio? Ha vinto, l’opera incompatibile sotto ogni riguardo si fa; quali imprese in campo non so, so che il vecchio Niemeyer è stato usato come un magatello.

Ho sollevato il caso delle regioni a statuto speciale nell’articolo del 15 settembre 2004. In una situazione già ricca di privilegi per gli abnormi trasferimenti dallo stato, l’autonomia ha svolto le sue fila in una indissolubile collusione fra amministratori e imprese immobiliari. Cosa ci ha dato di “speciale” la Sicilia è inutile ricordare, lì la mafia ha vinto, ma, per assurdo, non sarebbe occorsa nemmeno questa per denegare l’ambiente siciliano e massacrarlo tutto, città e coste; bastava la megalomania dei presidenti e la volontà popolare, penoso dirlo; bastavano le scorribande delle imprese in qualche modo redistributrici al popolo di pezzi dei trasferimenti statali e briciole delle enormi rendite immobiliari. Diversamente, ma non troppo, lo “speciale” che ci ha dato la Valle di Aosta serenamente amministrata ai due livelli, regionale e comunale, ci mostra che, trasferimenti a parte, per distruggere l’ambiente ereditato sano e bello, ha funzionato un perfetto meccanismo legale: piani regolatori molto compiacenti, relativi a terre sempre più ampie, hanno permesso a speculatori medi e piccoli, qualche volta grossi, di lucrare rendite e reddito edilizio enormi, anche qui redistribuibili par la parte che garantisse il sostegno alla persistenza del modello. Nella valle gli immobiliaristi avevano già vinto la corsa negli anni Sessanta: basta citare il caso di Cervinia, rovinoso e caotico manifesto di urbanistica borghese felice.

A Torino, notizia recentissima, gli enti locali acquistano dalla Fiat per settanta milioni circa trenta ettari di aree a Mirafiori. Ammirevole lo scopo di soccorrere l’azienda malata. Per che farne, di un territorio semi-vuoto? Per riempirlo, per edificarlo, naturalmente secondo le buone destinazioni d’oggigiorno (ricerca, università, rilocalizzazione di imprese, eccetera). Il sindaco Chiamparino ci vuol tranquillizzare: “Non è un’operazione immobiliare”, dichiara all’Unità (31 luglio). Forse per i dubbiosi, che fortunatamente mi sembrano abbondare nel castello di Edoardo, potrebbe essere proprio questo “non è” (perché dirlo?) a preoccupare.

Purtroppo si potrebbe continuare con un elenco lunghissimo di amministratori di ogni colore che, fiduciosi della propria cultura e come eccitati per voler e poter realizzare, edificare, modernizzare, adeguare, vendere spazi, si sono gettati o stanno per gettarsi in mano a imprese che propongono risposte chiavi in mano. In vece, a questo punto, vi invito, cari attivisti di Eddyburg, a rileggere il fantastico e doloroso articolo di Giorgio Todde citato all’inizio, Antropizziamoci, inerente al comportamento di certi sindaci della dimenticabile Sardegna.

Esiste certamente la possibilità di redigere un altro elenco, a scala nazionale, di sindaci et similia preparati, attenti, capaci perfino di difendere il proprio territorio dagli incantatori del fare. Temo che non potrebbe affatto rivaleggiare in lunghezza, benché probabilmente, spero e grazie a Dio, esporrebbe una maggioranza di amministratori della sinistra.

Da un terzo lato collusioni di istituti culturali.

L’Istituto nazionale di urbanistica, il suo presidente, i colleghi iscritti vecchi o recenti, portato a termine il tradimento delle funzioni storiche dell’istituto scendendo la scala della vergogna fino al basso della subalternità inequivoca al governo della destra e ai maestri della rendita fondiaria ed edilizia, sono felici. La legge liberista, che è anche una buona assicurazione per ottime commesse professionali agli urbanisti obbedienti, è stata approvata; manca il timbro del Senato, è vero, ma cosa volete temere dal Senato?

Intanto anche l’università si adegua al vento dello sviluppo inteso come espansione delle costruzioni di ogni tipo e, interattivamente, dell’occupazione di tutti i lotti urbani inedificati e dei terreni esterni aperti e liberi, obiettivo gl’incommensurabili guadagni del tutto indisponibili per reimpieghi socialmente significativi. Incredibile: la Bocconi e il Politecnico milanesi (ricopio dal modello ricevuto) “hanno preparato un programma dedicato al settore immobiliare e che si pone all’avanguardia nel livello internazionale: il “STRONG [sic] Master in Real Estate”, guarda la cinica spregiudicatezza. Proseguo. “Il programma vuole soddisfare la crescente domanda di figure professionali con competenze specifiche in un settore che ha conosciuto nell’ultimo quinquennio una forte espansione, non solo in termini economici, ma anche e soprattutto in termini di complessità delle operazioni in atto”. Ah! Tutto si tiene, i tre lati si riuniscono a formare un triangolo scaleno, come un simbolo gnostico buono per la minoranza di eletti designata all’autentica conoscenza del divino potente.

Lodovico Meneghetti

3 agosto 2005

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