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Carlo Vittone
La Villa Reale rischia di diventare un hotel di lusso
21 Giugno 2010
Beni culturali
Un futuro da shopping resort a funzioni multiple, quello che si intravede nelle “strategie” private per lo storico monumento. Intervista di Antonio Cornacchia da Vorrei online, 21 giugno 2010 con postilla (f.b.)

Cosa sta succedendo alla Villa Reale di Monza?

Stanno succedendo diverse cose dal cui svolgimento dipende il futuro anche a lunga scadenza della Villa. Anzitutto la nascita del consorzio tra gli enti proprietari (Comune di Monza, Comune di Milano, Regione Lombardia, Stato), uno strumento invocato da anni per snellire la gestione del patrimonio di Parco e Villa. Il consorzio nasce monco (non ha ancora aderito il Comune di Milano) e con uno statuto che penalizza Monza, la quale vede una sua rappresentanza inferiore alle quote di proprietà. Tuttavia la nascita del consorzio è un passo importante e occorreranno alcuni anni prima di poter dare un giudizio equilibrato sulla sua efficacia. In secondo luogo il concorso bandito da Infrastrutture Lombarde (braccio operativo della Regione Lombardia) per identificare un gestore privato della Villa per ben 30 anni. E qui le cose si complicano: perché creare un consorzio per la gestione della Villa per poi cercare un privato che la gestisca? È evidente a chiunque che c’è un passaggio di troppo e che se si voleva far gestire la Villa a un soggetto privato ciò poteva essere fatto direttamente dai proprietari, senza creare un consorzio che rischia di essere inutile e privo di reale potere. Non ci vedo molta logica in questi passaggi.



In che condizioni è oggi la Villa?

Le condizioni della Villa oggi sono grosso modo simili a quelle degli ultimi dieci anni. Il primo piano nobile del corpo centrale è interamente restaurato, mentre permane lo stato di abbandono del secondo piano nobile e di tutta l’ala nord. Ci sono state lodevoli iniziative di apertura al pubblico della Villa nelle ultime estati, ma ancora limitate e poco incisive (pare non si riesca a far aprire al pubblico gli appartamenti della regina Margherita e di re Umberto) e nel 2009 la Villa ha ospitato il forum dell’Unesco sulla cultura, un evento che tuttavia non ha coinvolto la città ed è rimasto interamente confinato agli addetti ai lavori.

Ci parli del bando di Infrastrutture Lombarde?

Ormai, dopo l’intervento del dirigente di Infrastrutture Lombarde al consiglio comunale di Monza, i contenuti del bando sono chiari. Il bando prevede di identificare un soggetto privato che restauri e gestisca la Villa per 30 anni, a fronte di un esborso iniziale di 5 milioni di euro (altri 18 li metterà la mano pubblica) e di un canone annuo di 30mila euro. Si fanno poi precise previsioni sulla destinazione d’uso di alcune parti della Villa: l’intero piano terra verrebbe ad ospitare non meglio precisati “negozi” e “laboratori”, mentre il Belvedere verrebbe trasformato in un ristorante. Nulla si dice sulle modalità dell’intervento di restauro né sulle attività che dovrebbero svolgersi in Villa e a chiunque appare evidente che sarà il privato a cercare il modo migliore di tutelare i propri interessi e investimenti.

Che rischi si corrono?

Per capire quello che accade oggi occorre tornare indietro di qualche anno e cioè al cosiddetto progetto Carbonara, vincitore del concorso internazionale bandito dalla Regione Lombardia sulla base di un dettagliato documento preliminare. Pochi lo sanno, perché si trattava di un progetto oggettivamente imbarazzante e che perciò venne quasi secretato, ma il progetto Carbonara prevedeva la trasformazione della Villa in un colossale residence di lusso al secondo piano nobile e nell’ala Nord, mentre le stanze piermariniane del primo piano nobile sarebbero diventate uffici di rappresentanza del governatore regionale. Con in più l’idea – buffa di per sé ma perfettamente compatibile con l’impostazione del progetto – della beauty farm nei giardini reali. Insomma, è allora che nasce la strategia di rinunciare al ruolo prettamente storico-culturale della Villa in favore di una Villa “produttrice di reddito”. Quello che accade oggi è solo la logica conseguenza di quella sciagurata impostazione. Per “produrre un reddito” conviene la si affidi ad un privato che sappia fare bene il suo mestiere e chiudere un occhio (e magari due) sulla destinazione culturale del complesso. E qui faccio una previsione: il privato manterrà intatto il primo piano nobile – già restaurato - destinandolo alla più svariate attività convegnistiche e di rappresentanza, mentre darà seguito al progetto Carbonara sul secondo piano nobile, trasformandolo in hotel di lusso, col ristorante annesso nel Belvedere, negozi al piano terra e magari anche la beauty farm. Tutto ciò verrà giustificato dalla necessità di rientrare nei costi e non è impedito dal bando. E così la Villa verrebbe trasformata in un gigantesco chateau relais sul modello francese per ricconi desiderosi di un prestigioso soggiorno: una fine molto triste e contro la quale occorre battersi con ogni mezzo.

La presenza del privato è indispensabile?

La domanda è mal posta. In tutto il mondo civile i privati vengono chiamati a collaborare alla gestione di patrimoni artistico-storici laddove ne nasca la necessità. Ma sempre in posizione subordinata e dipendente dalla mano pubblica, che ha come compito istituzionale la tutela del patrimonio storico-artistico nazionale. Qui invece le parti si sono invertite e la filosofia del bando di Infrastrutture Lombarde è quella di “toh, prenditi questa cosa, fanne quello che vuoi, basta che mi paghi il canone a fine anno”. Tanto per chiarire: è mai possibile che il bando - in molte parti assai dettagliato - non intervenga nel merito della gestione della Villa, indicando e specificando le attività che vi si dovrebbero svolgere, le destinazioni d’uso, le finalità dell’intervento sotto il profilo culturale? Nulla è detto di tutto ciò. Tutto è lasciato alle scelte e alla volontà del privato. E in questo quadro appare sconcertante anche la clausola del bando che prevede che gli enti pubblici proprietari possano impiegare la villa 36 giorni l’anno per loro scopi: come a dire, per un mese l’anno cerchiamo di fare qualcosa noi in Villa, per i restanti 11 tu privato hai mano libera.



Cosa pensi delle manifestazioni delle scorse settimane all'interno e nel cortile?

Sono sempre stato favorevole a che la Villa e il suo cortile ospitassero manifestazioni musicali, cinematografiche o altro. È un modo concreto per farla vivere. Però anche qui occorre capire che un conto è se queste manifestazioni sono a compendio di un progetto culturale di una Villa viva e aperta al pubblico, un conto se la Villa deve solo servire da muta scenografia ad un concerto che potrebbe anche svolgersi altrove. A questo proposito sarei molto favorevole a spettacoli son et lumière, che potrebbero collegare una manifestazione spettacolare con la storia della Villa stessa e attirare molto pubblico.

Davvero l'ISA è incompatibile con il futuro della Villa?

Se parliamo in generale niente impedirebbe in linea di principio che un complesso come la Villa ospiti in una sua porzione secondaria una struttura educativa per di più di tipo artistico. E che potrebbe peraltro collaborare fattivamente ad una positiva gestione della Villa progettandone l’immagine coordinata, il materiale informativo, fotografico, filmico, ecc. A mio parere occorrerebbe però che l’ISA diventasse davvero una scuola d’eccellenza, a numero chiuso e con esame d’ammissione attitudinale e magari chiamata nominativa degli insegnanti. Tutto ciò per valorizzarne gli scopi e la funzione, giustificando la sua permanenza negli attuali spazi. Non so dire se ciò sia possibile stante l’ordinamento scolastico vigente, ma certo sarebbe una prospettiva interessante ed affascinante.

postilla

privatizzazione dello spazio pubblico aggravata: suona come un reato, e lo è, soprattutto da parte di chi il “pubblico” dovrebbe rappresentarlo perché a ciò delegato dal voto popolare, e invece ritiene che il proprio mandato sia far rendere la bottega, e magari far qualche piacerino agli amichetti più uguali degli altri. Già si è detto e stradetto del discutibile modello di riqualificazione urbana in cui con la scusa di bonifiche ambientali, sicurezza, economicità gestione e compagnia bella, si producono tessuti urbani di fatto meno permeabili delle attività ex nocive che vanno a sostituire, e accessibili solo a chi paga: proprietario o cliente che sia. Almeno però (non è una scusante, ma facciamo conto che lo sia per scopi retorici) lì c’è un investimento, le aspettative di resa, il rischio, il fatto che in fondo la città si riqualifica, magari i posti di lavoro ecc. ecc.

Ma nel caso di un monumento storico, pubblico da sempre (o quasi), con una collocazione prestigiosa, centrale, perfetta per funzioni di alto profilo culturale e rappresentativo … farne l’ennesimo baraccone “esclusivo” per shopping, massaggi, insomma quella roba che si vede nei film coi nababbi evasori asiatici-caucasici persi nei vapori o spupazzati da geishe plurilaureate poliglotte … quello è spudoratezza pura. Ovvero la cosa a cui stanno cercando di farci abituare, facendo la classica faccina come il culo e spiegandoci pazienti che è il mercato. Concetto cangiante il cui senso è deciso volta per volta, arbitrariamente, da lorsignori, of course (f.b.)

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