La politologa fa parte del Comitato per le riforme: non sono intransigente, ma non potrei tollerare una sfida alla Cassazione.
La Repubblica, 13 luglio 2013
Si è trovata d’accordo con la decisione della sua collega?
«Ci siamo parlate e scambiate delle mail. Sin dall’inizio la Carlassare aveva mostrato delle insicurezze e delle tensioni circa il nostro lavoro. Che in parte vivo anche io. Però penso che andarsene adesso significhi lasciare maggiori spazi e margini di manovra a chi nel comitato ha delle visioni diverse dalla nostra».
Quindi lei per ora resiste...«Mi faccio questa domanda: lasciare il campo oppure presidiarlo? Non è il momento dell’intransigenza, almeno per me. Nonostante viva un tumulto interiore, in mezzo a due fuochi: i miei principi da una parte, il dovere di difenderli dall’altro».
Il gesto della Carlassare ha più che altro un valore simbolico. Lei dice: “I saggi sono frutto di questa maggioranza. E io in questa maggioranza non voglio più starci”. Cosa ne pensa?«Vivo la stessa sofferenza. Mi sento un’anima in pena. C’è un Pd che non ci aiuta nell’essere coerenti con le nostre idee. Ci rende la vita difficile, non ci dà alcun supporto. È un partito diviso in bande armate, con milizie contrapposte in lotta. Si comporta nel peggior modo possibile. Proprio per questo non dobbiamo lasciare il campo a chi vorrebbe una riforma presidenziale».
Nel vostro gruppo in quanti pensano più o meno le sue, le vostre, stesse cose?«Sa, non mi metto a contare... L’impressione comunque è che ci siano due dialettiche ben definite. Due schieramenti. Uno in difesa del parlamentarismo, che pure può essere migliorato e siamo lì apposta. Un altro, invece, per il semipresidenzialismo. I primi faticano molto, in questo contesto».
Qual è il limite che lei si pone, una linea oltre la quale non si va?«Aspetto di vedere cosa succede con il pronunciamento della Cassazione. Se Berlusconi venisse condannato e se il Pd finisse per salvarlo, allora davvero basta. Sarebbe un atto di sfida ad un altro organo costituzionale senza precedenti».
Intanto il Pd ha presentato un disegno di legge per superare la legge 361 del 1957: sostituendo il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità. Così Berlusconi avrebbe un anno di tempo per decidere cosa fare, se restare senatore o se tenersi le aziende. Come giudica questa iniziativa?«È una forma pilatesca che cerca di mettere insieme tutto e il suo contrario. Che sia il Pd a proporre scappatoie a misura per il potente di turno è assurdo».