«Nell'occidente secolarizzato dalla modernità, i concetti potenzialmente sovversivi sono legati al mondo dell'economia, la attraversano e la collegano con la politica, il diritto e la filosofia, costruendo così un senso comune istituzionale. Due esempi: privatizzazione e sostenibilità. Nel primo il concetto sovverte. Nel secondo, addomesticato, poco a poco si spegne. Quale sorte toccherà ai "beni comuni"»?
Il manifesto, 8 dicembre 2012
Leparole manifestano, a volte, un affascinante potere performativo. Accade ancheai concetti. Talvolta, sono infatti capaci di sovvertire un sensoapparentemente immutabile, stabilito, istituzionalizzato, mutando così iprocessi storici; altre volte rientrano nel cassetto delle occasioni perdute.Nell'occidente secolarizzato dalla modernità, i concetti potenzialmentesovversivi sono legati al mondo dell'economia, la attraversano e la colleganocon la politica, il diritto e la filosofia, costruendo così un senso comuneistituzionale. Due esempi per intenderci, tratti dalla storia recente:privatizzazione e sostenibilità. Nel primo il concetto sovverte. Nel secondo,addomesticato, poco a poco si spegne. Quale sorte toccherà ai «beni comuni»?
Laprivatizzazione domina il senso comune in cui oggi viviamo. Rompe con un interocammino di civiltà in cui la speranza era riposta nello Stato sociale.L'assetto fondato su uno Stato sovrano mediatore fra capitale e lavoro durafino alla metà degli anni Settanta del Novecento. Nel frattempo, gli anticorpia quell'assetto sociale e politico covavano sotto le ceneri. La MontpellerinSociety e la Trilaterale stavano infatti affinanando un ordine del discorso chealimentasse un rigetto allo Stato sociale. Protagonisti di tale reazione ladiffusione e i think thank delle tesi elaborati dagli economisti FriedrichAugust Von Hayek, Ludwig Von Mises, Milton Friedman. L'idea forte è laprivatizzazione. L'esito è ormai noto: lo stato sociale viene cancellato oridimensionato con più facilità del previsto. Il concetto di privatizzazione hamesso in soffitta John Maynard Keynes, cambiando così il mondo.
L'ipocritasostenibilità
Sul fronte opposto, al tramonto del modellokeynesiano, nella seconda parte degli anni Sessanta dello stesso secolo, emergeil pensiero ecologista profondo. Raquel Carson lancia l'allarme. FritzShumacher lo traduce in ricette economiche dotate del prestigio di essersostenute da un allievo prediletto di Lord Keynes. Nasce il concetto economicodi «sostenibilità», splendido nella sua semplicità. Un sistema economico èsostenibile se non consuma più risorse di quante ne sappia rigenerare. Ilpianeta non va consegnato alle generazioni future in condizioni peggiori diquelle in cui ci è stato consegnato dalle generazioni passate. L'idea fonda unapproccio intellettuale volto ad allontanare l'economia dai paradigmimeccanicistici del positivismo scientifico. Si cerca la sufficienza, non lacrescita. La sostenibilità si articola in un contesto di «conversione»ecologica dell'economia.
Neisuoi scritti, Alex Langer ha enfatizzato la natura non solo materiale epolitica ma allo stesso tempo spirituale e personale di questo processo. Larottura con l'ortodossia economica, con lo stesso senso comune fondante lamodernità non potrebbe essere più radicale. Shumacher resterà sempre unpensatore eterodosso, fortemente critico della concezione dominate dello«sviluppo» su cui si fondano le ricette imperialiste, promosse in tutto ilmondo come «globalizzazione dei mercati» dopo la decolonizzazione. Il suolibro, Small is beautiful è tornato a essere un cult nella attuale economiadella transizione, ma la locuzione «sostenibilità», dopo una prima faseradicalmente sovversiva, é progressivamente normalizzata dai dispositiviideologici del capitalismo. «Sviluppo sostenibile», un vero ossimoro diventanozione dominante nei programmi di aggiustamento strutturale della BancaMondiale e del Fondo Monetario. Un'idea truffaldina di green economy serve dafoglia di fico di uno sfruttamento dell'uomo e della natura sempre più intensoe scientifico nell'attuale strutturazione del capitalismo cognitivo. La terrafertile è coperta da pannelli solari. La monocultura della soia e del maisproduce biodiesel per far funzionare i Suv che intasano le metropoli nel Nord enel Sud del Mondo. La green economy abbatte le barriere fra il mercato deicarburanti e quello del cibo. Barack Obama è l'alfiere di questo capolavoro.
Laprovocazione di Hardin
Oggi i beni comuni costituiscono l'oggetto delcontendere fra due visioni del mondo. Da un lato si propongono come rivoluzionegenerativa. Dall'altro essi, a seguito del loro emergere politico, sono oggettodi un vero tentativo di detournement reazionario, per utilizzare, a contrario,la terminologia debordiana. L'operazione, come tutti gli scontri capaci diprodurre ideologia e falsa coscienza, è complessa.
Sul piano delle idee la locuzione commons vienerecuperata al dibattito da Garret Hardin, un biologo-economista che dedica unceleberrimo articolo alla «tragedia dei comuni». Il lavoro costituisce unaspecie di teoria evoluzionistica della proprietà privata, in cui quest'ultimaistituzione è rafforzata nel quadro della più stratta applicazione del modellofondato sull'homo oeconomicus. A partire dai tardi anni Ottanta, ElinorOstrom,una politologa-economista vicina alla scuola del cosiddetto«neo-istituzionalismo» organizza una serie di studi per dimostrare che icommons non sono luoghi di «non diritto», come argomentava Hardin, ma che alcontrario essi hanno sostenuto per secoli istituzioni sociali in equilibriosenza che si verificassero tragedie di sorta. Nel 2009 Ostrom riceve il Nobelper l'economia. Scottata dalla crisi economica, il pensiero economicomainstream cerca di rifarsi una verginità. Vengono premiati lavori eterodossiche cercano di inserire un minimo di realismo nell'astratto mondo dei modelliteorici. Paladini di questa correzione «realista» del pensiero economicodominante sono: North, Stigliz, Kaneman, Krugman. Le resistenze globali (dalChiapas a Cochabamba, a Seattle) hanno reso evidente che la critica di Ostrom aHardin, decisiva nell'analisi delle motivazioni del singolo, assai più soventehomo civicus che homo oeconomicus, non coglie politicamente nel segno perchérisparmia le corporation e al contempo rafforza il modello dominante,correggendone i difetti più eclatanti. Ecco spiegarsi il Nobel assegnatoall'autrice di un contributo teorico di grande spessore che, nel suo impattopolitico, non contribuisce però ad assegnare le responsabilità per l'attualetragedia dei comuni.
Ilcontributo di Ostrom non distingue infatti fra persone fisiche e personegiuridiche gli esiti dei cui comportamenti sono perfettamente previsti daHardin. Così facendo struttura un'ambiguità culturale, politica e semantica cheespone i commons, sussunti nel modello positivistico dell'economia politica, almedesimo rischio che ha depotenziato l'idea di sostenibilità. Tuttavia illavorio scientifico che si è svolto in tutto il mondo intorno alla nozione deicommons ha prodotto ben più della sola consapevolezza della sua alteritàrispetto alle nozioni di pubblico e di privato articolatesi a partire dallamodernità. Dalla caduta del Muro di Berlino, il processo di privatizzazione delpubblico (soprattutto dal punto di vista delle sue motivazioni) é a sua voltaun fattore che determina a livello globale la tragedia dei comuni. Questofenomeno, supportato da un impressionante processo di cattura cognitiva cheproduce l'attuale «realismo economico» (oggi supportato da schiere di filosofi)può essere contrastato soltanto in un quadro «rivoluzionario» disposto acontestare radicalmente il realismo positivista fondato sulla distinzione frafatti e valori. La declinazione «rivoluzionaria» dei beni comuni costituisce latraduzione teorica di prassi di lotta che mirano innanzitutto a salvaguardaretutte le possibili declinazioni di un «sentire comune istituzionalizzato» chesi scontra con un legalismo formale che supporta la privatizzazione e ilsaccheggio dei beni comuni (prassi delle occupazioni, book blocks,contestazione fisica della proprietà pubblica e privata).
Inquesto senso i beni comuni sono prassi costituente che sa invertire la rottarispetto alla strutturazione istituzionale del neoliberismo attraverso unacritica capillare, diffusa e radicale, di ogni sua nuova recinzione fisica ocognitiva. Solo la consapevolezza dei beni comuni nella loro autentica portatadi forza fisica costituente consente di evitare la cattura cognitiva, la solaspiegazione alternativa alla deliberata volontà di saccheggio che spiegal'atteggiamento attuale delle sinistre c.d. riformiste (vedi i lavori delcollettivo Uninomade recentemente raccolti da Sandro Chignola nel volume Ildiritto del comune per i tipi di ombre corte). Non è un caso che il principalepartito responsabile della cattura cognitiva della sinistra italiana provi apresentarsi all'elettorato con il logo dei beni comuni e che, ambientiintellettuali a esso contigui (vedi il recente libro di Laura Pennacchi Lafilosofia dei beni comuni, Donzelli), cerchino di dare legittimazioneaddirittura filosofica a tale detournement.
Nellatrappole del dover essere
Il rapporto fra beni comuni ed economia politicamostra il potente arricchimento teorico che deriva da una rinnovatadeclinazione collettiva dello spazio economico. La semplice idea fondante imovimenti alter-mondialisti per cui «un altro mondo è possibile» mostra nellaprassi «beni-comunista», perfino meglio che nella critica fenomenologica,l'inconsistenza teorica della bipartizione positivistica fatto-valore su cui sicollocano scienza economica dominante e il cosiddetto «nuovo realismo». Propriocome esiste un «comune» che come la talpa erode spazio tanto alla proprietàprivata quanto allo Stato, esiste una terza dimensione accanto a quelledell'«essere» e del «dover essere», che erode il realismo del primo e ildogmatismo del secondo. È la dimensione del «potrebbe essere» che stimola ilsogno e la fantasia collettiva e per questo sol fatto cambia il mondo. Qui sicollocano i beni comuni e non nell'intestazione di una lista elettorale o infilosofie vittime di cattura cognitiva che, a suo supporto, cercano diaddomesticarne il potenziale «rivoluzionario».