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Carlo Bonini
La telefonata a Incalza che inguaia il ministro “Devi vedere mio figlio”
19 Marzo 2015
Articoli del 2015
Ci voleva la magistratura per colpire Maurizio Lupi. Il quale è colpito per i crimini previsti dalle leggi non per la sua politica, la sua strategia, l'ideoogia che sono la loro radice. Colpire giudiziariamente Berlusconi non ha liberato l'Italia dal berlusconismo, e il vizio di considerare il territorio materia da distruggere per aumentare la ricchezza dei più ricchi è diventato parte dell'ideologia dominante.

La Repubblica, 18 aprile 2015

Roma. Maurizio Lupi ha mentito. Il figlio Luca - come documentano ora almeno due diverse intercettazioni agli atti dell’inchiesta di Firenze - venne assunto da Stefano Perotti su richiesta esplicita del padre ministro.

I fatti. Nell’ordinanza depositata lunedì, la storia dell’assunzione del giovane Luca Lupi ha come apparente incipit i giorni compresi tra il 28 e il 30 gennaio del 2014, quando Stefano Perotti viene intercettato nel discutere di dove, come e quando «il figlio di Maurizio» comincerà a lavorare per lui, l’ingegnere che, da 15 anni, Ettore Incalza impone come direttore dei lavori ai general contractor delle Grandi Opere. Maurizio Lupi, che su quelle carte ha evidentemente modo di riflettere per lunghe ore, si accorge che alla storia raccontata dal gip di Firenze manca un pezzo. Il più importante. E che quel vuoto gli apre una via di uscita e la possibilità di offrire una “lettura alternativa” a quello che le carte pure sembrano già documentare in modo inequivocabile.
Decide dunque di muovere. Posando a padre cui «la politica fa pagare il prezzo alle persone che ami». Intervistato dal nostro Francesco Bei, dice: «Mio figlio si è laureato al Politecnico di Milano nel dicembre del 2013 con 110 e lode. Dopo sei mesi in America, presso uno studio di progettazione, gli hanno offerto un lavoro. Ci ha messo un anno, come tutti, ad avere il permesso di lavoro e da marzo di quest’anno lavora a New York. Lo scorso anno ha lavorato per lo studio Mor per 1.300 euro netti al mese in attesa di andare negli Usa». Bei insiste: «Il punto è: su sua richiesta? ». È il passaggio chiave. Il ministro risponde con enfasi: «Se avessi chiesto a Perotti di far lavorare mio figlio, o di sponsorizzarlo, sarebbe stato un gravissimo errore e presumo anche un reato. Non l’ho fatto. Ho sempre educato i miei figli a non cercare scorciatoie. Non ho mai chiesto favori per loro. Stefano Perotti conosceva mio figlio da quando, con altri studenti del Politecnico, andava a visitare i suoi cantieri. Sono amici. Così come lo sono le famiglie ».
La telefonata chiave. Ebbene, la storia raccontata da Maurizio Lupi sta in piedi come un castello di carte. E a farla venire giù sono due intercettazioni telefoniche che il ministro non conosce ma che fanno parte dell’inchiesta. Che le danno una sequenza logica e temporale. È il gennaio del 2014. Luca Lupi si è laureato da appena un mese. E, sappiamo già dall’ordinanza, che Stefano Perotti ha già provveduto a festeggiarlo, senza che il padre trovi nulla di sconveniente, con un Rolex da 10.350 euro. È un regalo che, evidentemente, non basta. Soprattutto che non seda l’ansia di un padre che ha urgenza di vederlo sistemato. Per questo, il ministro alza il telefono e, inconsapevole dei Ros all’ascolto, chiama Ercole Incalza, l’immarcescibile mandarino che governa la Struttura tecnica di missione del ministero (la stanza dei bottoni degli appalti per le Grandi Opere), il Kaiser Soze delle Infrastrutture.
«Deve venirti a trovare mio figlio », gli dice. E non c’è evidentemente da aggiungere altro. Perché quella visita ha un solo scopo. Di cui non è necessario parlare al telefono. Incalza riceve infatti il giovane Luca, sapendo già come provvederà a renderlo un ragazzo felice. E dopo averlo congedato, si mette a sua volta al telefono. Chiama Stefano Perotti, l’ingegnere che gli deve tutto e con cui è socio nella “Green Field System”, la società in cui la Procura di Firenze vuole confluiscano e vengano di fatto riciclati le centinaia di migliaia di euro che sono il prezzo della corruzione delle Grandi Opere (Incalza percepisce dalla Green field 697mila euro tra il ‘99 e il 2008. Mentre, solo tra il 2006 e il 2010, Perotti la alimenta con versamenti pari a 2 milioni e 400mila euro).
Anche questa conversazione tra Incalza e Perotti è intercettata dal Ros e fa parte degli atti dell’inchiesta. Anche di questa Lupi non può sapere leggendo l’ordinanza.Incalza informa Perotti: «C’è da incontrare il figlio di Maurizio ». Non c’è bisogno di aggiungere altro. Perché i due sanno evidentemente di cosa si tratta. Lo sanno a tal punto che, come ormai sappiamo, la cosa, «la triangolazione», come la chiama il genero di Perotti, Giorgio Mor, si fa. Luca Lupi si mette l’elmetto giallo da cantiere e va a lavorare al palazzo dell’Eni a san Donato Milanese. Sappiamo anche che non finirà qui. Che lo scorso febbraio, quando l’aria intorno a Incalza e Perotti comincia a farsi greve, si decide che è meglio per tutti che il ragazzo cambi aria. Perotti alza il telefono e chiama l’amico Tommaso Boralevi perché se lo prenda oltreoceano.
Frank e il Porto di Olbia. La si potrebbe chiudere qui. Ma nelle pieghe dell’ordinanza è possibile afferrare almeno un altro filo che racconta di qualche altra disinvoltura del ministro. Quello che porta al cantiere per il nuovo Porto di Olbia. Si legge nell’ordinanza: «Stefano Perotti interviene su Fedele Sanciu, commissario dell’Autorità portuale del Nord Sardegna e su Bastiano Deledda, responsabile unico del procedimento, per condizionare il bando di gara relativo alla progettazione definitiva e alla direzione dei lavori per la realizzazione del nuovo terminal». E per farlo «si avvale del ruolo decisivo di Francesco Cavallo».
Arrestato lunedì, Cavallo, milanese di 55 anni ancora da compiere, si fa chiamare “Frank”. Ed è un Figaro che con il ministro ha la confidenza del vecchio compagno di merende e, soprattutto, la comunione di fede e opere di Cl, di cui è creatura. Diciamo pure, che di Lupi, pur non avendo alcun rapporto formale con il ministero, è l’ambasciatore e lo spicciafaccende. Le sue mosse non sono mai dritte. Ha un curriculum in cui l’uso dell’inglese dissimula il suo vero mestiere di “problem solver” o “facilitatore”, se si preferisce. E di lui, Giulio Burchi, ex presidente di Italferr, al telefono con Giuseppe Cozza, già direttore generale della Metropolitana milanese, dice: «Cavallo? È l’uomo di Lupi. Bah.... Un personaggio... Bisogna prenderlo con le pinze».
Un personaggio che in due anni (2013-2014) riceve quasi 200mila euro dal consorzio La Cascina, il forziere di Cl, per “prestazioni professionali” di cui l’accusa non ha sin qui trovato riscontro. E che, ad Olbia, fino a quando le cose non si complicano appare decisivo. Grazie a una storia di vacanze in barca. «È Cavallo infatti - annotano i magistrati fiorentini - a prendere contatto con Sanciu e a ricordargli di averlo in passato incontrato in barca insieme al ministro ». Sanciu cucirà dunque il bando come un vestito su misura per Perotti e tutto filerebbe liscio, se non fosse che viene avvicendato nel ruolo di commissario. Perotti proverà inutilmente un ultimo intervento su Lupi. Anche se senza successo. «Mi aspetto qualcosa sull’isola», dice al genero Giorgio Mor. Quindi aggiunge: «Ho incontrato Luca. Pensavo avesse un messaggio da portare... Ma niente». Già, Luca. Il giovane ingegnere ridotto a staffetta carbonara e che il padre voleva assunto a sua insaputa.
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