loader
menu
© 2024 Eddyburg
Tommaso di Francesco
La strage: i commenti
20 Aprile 2015
Articoli del 2015
Alcuni articoli che commentano l'ultimo (per ora) episodio della strage di persone cacciate dalle loro terre a causa di miseria e terrore. Tommaso di Francesco (

il manifesto), Roberto Saviano e Ilvo Diamanti (la Repubblica), Claudio Magris (Corriere della sera), 19 e 20 aprile 2015

Il manifesto
LA SORDA EUROPA
di Tommaso di Francesco

Fug­gi­vano da guerra e mise­ria anche i 700 dispe­rati dei quali non si ha noti­zia e ancora tanti sono i dispersi in mare, solo 49 risul­tano in salvo. Non c’è biso­gno che lo dica il Vati­cano che fug­gi­vano da guerra e mise­ria per averne una con­ferma. Guar­date la geo­gra­fia dei luo­ghi da dove, ogni santo giorno, arri­vano in fuga: Nige­ria, Mali, Niger, Siria, Soma­lia, Libia, Egitto, Iraq…ecc. ecc. Non c’è una sola realtà che non veda la costante povertà della quale siamo respon­sa­bili – per favore qual­cuno veda come abbiamo ridotto il Delta del Niger, una regione grande come l’Italia in Nige­ria, “gra­zie” ai nostri pozzi petro­li­feri e a quelli delle altre mul­ti­na­zio­nali del petro­lio. Una fogna di bitumi che hanno deva­stato l’ambiente, rima­sto sem­pli­ce­mente senza acqua.

Ma que­sto è poco. Ognuno di quei paesi è in preda certo alle scel­le­rate avan­zate dell’Isis, ma gra­zie al ter­reno fer­tile di mace­rie che abbiamo pro­vo­cato con le nostre guerre. E’ stata la Nato a tra­sfor­mare la Libia, il paese con il red­dito più alto dell’Africa, in un cumulo di rovine senza isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive con tre governi che si com­bat­tono e ora sicuro san­tua­rio dello jiha­di­smo estremo per tutto il Medio Oriente.

O vogliamo par­lare delle magni­fi­che sorti e pro­gres­sive dello sce­na­rio somalo? Senza dimen­ti­care l’uso occi­den­tale stru­men­tale dei jiha­di­sti in chiave anti-Assad per poi sco­prire che così facendo hanno preso piede in due terzi dell’Iraq, paese dove l’occupazione mili­tare sta­tu­ni­tense — come rico­no­sce lo stesso Obama – ha per­messo alla fine l’avvento e le stragi degli ultimi radi­ca­li­smi isla­mi­sti dello Stato islamico.

Fug­gono da que­ste guerre e da que­sta mise­ria. Noi siamo per­lo­meno co-responsabili. E invece l’Unione euro­pea dichiara che “non può fare nulla”, annun­ciano gli alti fun­zio­nari dell’immigrazione Ue. E invece, come scri­vono ormai per­fino i gior­nali tede­schi, sarebbe dove­roso, urgente e ripa­ra­to­rio avviare subito una mis­sione di Mare nostrum sta­volta europea.

Quando c’era Mare Nostrum il numero delle vit­time è calato improv­vi­sa­mente. Sem­pli­ce­mente li soc­cor­re­vamo: è quello che dob­biamo fare anche adesso.

Ma chi paga? E’ sem­pre dai gior­nali tede­schi che arriva il sug­ge­ri­mento: il pros­simo ver­tice del G7 costerà milioni ai paesi euro­pei. Basta pre­miare il nefa­sto ceto polico con­ti­nen­tale con alber­ghi a 6 stelle e con pranzi raf­fi­nati. Impe­gniamo quei soldi per una mis­sione navale che soc­corra e salvi i migranti, subito.

E’ tempo di fare spen­ding review in que­sta Unione euro­pea che se non trova ragioni per esi­stere nem­meno per que­sta tra­ge­dia, è meglio che chiuda i bat­tenti. Toc­cherà a noi che siamo inter­na­zio­na­li­sti e per que­sto euro­pei­sti con­vinti, rifon­darne un’altra soli­dale ed eguale.

Quanto allo squalo Sal­vini, pro­pone un blocco navale mili­tare - di 150 navi da guerra - per impe­dire che i dispe­rati arri­vino. Come se non fosse mai acca­duto: qual­cuno si ricorda del mas­sa­cro della Kater I Rades con 100 alba­nesi, donne, bambi e vec­chi, spe­ro­nata da una nave mili­tare ita­liana nel 1997? E aggiunge lo sciacallo-squalo che ci vogliono tanti campi di con­cen­tra­mento in Africa per deci­dere lì “chi è dav­vero clan­de­stino e chi ha biso­gno d’aiuto”.

Tutti loro hanno biso­gno d’aiuto. Noi non abbiamo certo biso­gno del raz­zi­smo e dell’odio di Sal­vini. Il fascio-leghista pro­mette che andrà a Palermo e si met­terà su un gom­mone. Così lo vediamo che se ne va…su un gommone

La RepubblicaILMEDITERRANEO FOSSA COMUNE
COSÌ QUEI MORTI DI NESSUNO
PESANO SULLE NOSTRECOSCIENZE

di Roberto Saviano

Il Mediterraneo trasformato in una fossa comune. Oltre novecento morti. Morti senza storia, morti di nessuno. Scomparsi nel nostro mare e presto cancellati dalle nostre coscienze. È successo ieri, un barcone che si rovescia, i migranti — cioè persone, uomini, donne, bambini — che vengono inghiottiti e diventano fantasmi. Ma sappiamo già che succederà anche domani. E tra una settimana. E tra un mese. Spostando la nostra emozione fino all’indifferenza. Ripeti una notizia tutti i giorni, con le stesse parole, gli stessi toni, anche accorati e dolenti, e avrai ottenuto lo scopo di non farla ascoltare più. Quella storia non avrà attenzione, sembrerà sempre la stessa. Sarà sempre la stessa. “Morti sui barconi”. Qualcosa che conta per gli addetti ai lavori, storia per le associazioni, disperazione invisibile.
Adesso, proprio adesso, ne stiamo parlando solo perché i morti sono 900 o forse più: cifra smisurata, disumana. Se ha ancora senso questa parola. Continuiamo a non sapere nulla di loro, ma siamo obbligati a fare i conti con la tragedia. Fare i conti: perché sempre e solo di numeri parliamo. Fossero mancati due zeri al bollettino di morte non l’avremmo neppure “sentita”. Perché ormai è solo una questione di numeri (o dettagli drammatici come “migranti cristiani spinti in mare da musulmani”) che fa la differenza. Non per i singoli individui, non per le sensibilità private, ma per la comunità che dovremmo rappresentare, che dovrebbe rappresentarci.
Perché all’indifferenza personale, persino comprensibile, si affianca sul piano politico una gazzarra di dichiarazioni: litigi, accuse, toni violentissimi. Nessuno riesce a fare ciò di cui abbiamo più bisogno: far capire. Pochi si impegnano: Medici senza frontiere con la campagna #milionidipassi cerca di raccontare, evitando di ridurre queste persone al loro problema. Cioè a «profughi, clandestini, extracomunitari »: parole che lasciano diluire la specificità umana per farci sentire meno lo spreco infinito dinanzi alla tragedia. Molti politici, anche in questo momento, gridano. Salvini parla di «invasione», quando invece la maggior parte di chi arriva non resta affatto in Italia ma va in Francia, in Germania o nei paesi dell’est. Il M5S che nelle sue proposte aveva aperto un dibattito interessante, purtroppo si è lasciato tentare dallo spostare il baricentro della questione dal «salvare vite » a «l’espulsione», assumendo quella falsa logica per cui più si rende difficile l’entrata clandestina in Italia meno tentativi di raggiungere le nostre coste ci saranno. Non è così, non si salvano vite irrigidendo le frontiere e non solo l’esperienza italiana l’ha mostrato, ma anche quella americana. Basta leggere il libro La Bestia di Martinez per comprendere come i flussi clandestini dal Messico agli Usa sono raramente gestibili e non fermabili.

Il punto è che il primo obiettivo dovrebbe essere quello: salvare delle vite, prendersene cura. Invece si è riusciti a far diventare questa volontà come ridicola, romantica, naif. Qualunque riflessione sul dolore degli altri, di chi arriva da un “sottomondo”, deve essere contenuta. C’è un’economia nella sofferenza. Chi valuta il dolore, chi misura la tragedia umana, chi cerca di svegliare il torpore della conta degli affogati è iscritto di diritto al movimento “buonista”.

“Buonista” è l’accusa di chi non vuol spender tempo a capire e ha già la soluzione: respingimenti, arresti, blocchi. Un miscuglio di frustrazione personale che cerca il responsabile del proprio disagio, una voglia di considerare realistica e vincente solo la soluzione più autoritaria. La bontà considerata come sentimento ipocrita per definizione. E, cosa assai peggiore, una qualità morale che può avere solo l’uomo perfetto, candido, puro: quindi nessuno se non i morti, la cui vita è trasfigurata e le cui azioni sono già spese. Chiunque cerchi, nella sua umana imperfezione, di agire diversamente è marchiato con un giudizio unico: falso. La bontà diviene quindi sentimento senza cittadinanza, ridicolo, proprio perché non può essere compiuto se non nella rotonda perfezione. Questo è il cinismo miope, che liquida tutto con solerte sarcasmo.

Ovvio che razionalmente non è immaginabile una smisurata accoglienza universale, senza regole, ma la strada intrapresa delle mezze concessioni e dai mezzi respingimenti non regge più. Il peso politico che avremmo dovuto avere essendo Stato-cerniera non c’è stato riconosciuto. Dovevamo pretendere di scontrarci sul tema immigrazione con il resto dell’Europa. Dovevamo pretendere di essere ascoltati, senza che “il problema” venisse scaricato su di noi, delegato a noi.

La perenne campagna elettorale di Renzi, che sul piano internazionale sembra più voler acquistare una credibilità diplomatica piuttosto che porre e imporre temi, non ci sta aiutando ma ci sembra ingeneroso dare a questo governo ogni responsabilità. L’Europa colpevolmente tace, possiamo però tentare di cambiare le cose. Possiamo impegnarci a interpretare, a raccontare, a non permettere che queste vite siano schiacciate e sprecate in questo modo. Che siano lasciate indietro, tanto indietro da sparire dalla nostra vista. Diventando un fantasma, uno stereotipo, un fastidio.

Inventarci percorsi laterali, chiamare a raccolta tutta la creatività possibile. Parlarne in tv e sul web ma in modo diverso: come dicevamo “profugo” o “clandestino” sono termini che diluiscono la specificità umana costruendo una distanza irreale che abbassa il volume all’empatia.

Dobbiamo chiedere ai partiti di candidare donne e uomini che vengono da quest’esperienza, aprire loro le università. Tutto questo diminuirà il consenso politico con la solfa del «prima noi e poi loro»? Probabilmente sì, accadrà questo. Ma solo nella prima fase ben presto ci si accorgerà dell’enorme beneficio che avremmo. La storia degli sbarchi e dei flussi di migranti deve diventare un tema che il governo sentirà fondamentale per il suo consenso.

Renzi e il suo governo sono solleciti a rispondere quando un tema diventa mediatico e popolare: se percepiscono che il giudizio su di loro sarà determinato dal problema migrazione inizieranno a sparigliare, a trovare nuova strategia ad avere nuovi sguardi. Il semestre italiano in Europa è stato una profonda delusione, in termini di proposte sui flussi dei capitali criminali (era l’occasione per porre il tema del riciclaggio) e in termini di emigrazione. Ma in questo momento inutile rimpiangere il non fatto è necessario che l’Europa decida in maniera diversa. Dare spazio non episodico alle vicende dei migranti. La tv li accolga, cominciando a pronunciare bene i loro nomi e quelli delle loro nazioni, raccontando il loro quotidiano e la loro resistenza.

Gli unici che in queste ore rappresentano ciò che l’Europa dovrebbe essere sono gli italiani, i molti italiani che salvano vite tutti i giorni rischiando di violare leggi. La figura che sintetizza questi italiani colmi di onore è descritta dal pescatore Ernesto nel bellissimo film “Terraferma” di Crialese che viola l’ordine della Capitaneria di tenersi con il suo peschereccio lontano da un gommone rispondendo con un semplice , umano e potente: «Io gente in mare non ne ho lassata mai».

Corriere della sera
DOVE CESSA L'UMANITA'
di Claudio Magris
O gni volta la tragedia è più grande - e lo sarà sempre più - e ogni volta si dice, mentendo in buona fede a se stessi, che si è raggiunto il colmo. E che è vicino il momento in cui si volterà pagina, proprio perché è intollerabile che continui questo crescendo di orrori. Invece con ogni probabilità continuerà, se non accadrà qualche radicale e inimmaginabile cambiamento nella situazione e nella politica mondiali. La pietà, l’indignazione e lo sgomento del mondo - di noi tutti - si accenderanno, sinceri e inutili, a ogni nuovo episodio di barbarie. Ma forse sempre meno, perché ci si abitua a tutto e proprio il ripetersi delle orrende e criminose tragedie renderà più assuefatte e meno reattive le coscienze.
Che fare, come dice il titolo di un famoso pamphlet politico? Il problema è tragico, perché agli immigrati e senza nome e senza destino si oppongono non solo le livide, imbecilli e regressive paure di chi teme ogni forestiero incapace di bestemmiare nel suodialetto e sogna un mondo endogamico e gozzuto di consanguinei.

La Repubblica
DOBBIAMOAVERE PIETÀ DI NOI
di Ilvo Diamanti

OLTRE novecento persone morte in un barcone, in viaggio dalla Libia verso la Sicilia. Sparite in fondo al mare. Insieme ad altre migliaia, vittime di molti altri naufragi. Accomunate e travolte dalla stessa disperazione.

CHE spinge ad affrontare il mare “nemico” per sfuggire alla fame, alla miseria, alla violenza. Oggi: alla guerra. Più che di “migrazione”, si tratta di “fuga”. Anche se noi percepiamo la “misura” della tragedia solo quando i numeri sono “smisurati”. Salvo assuefarci anche ad essi. Ed è questo, come ho già scritto, che mi fa più paura. L’abitudine. La distanza da una tragedia che, invece, è a due passi da noi. La tentazione di “piegarla” e di “spiegarla” in chiave politica. Per guadagnare voti. Eppure le migrazioni sono un fenomeno ricorrente. Tanto più e soprattutto in fasi di cambiamento e di trasformazione violenta (in ogni senso), come questa. Allora, le popolazioni si “mobilitano”, alla ricerca di nuove e diverse condizioni di vita.

È capitato a noi italiani, lo sappiamo bene. In passato, ma anche oggi. Soprattutto ai più giovani. D’altronde, due italiani su tre pensano che i loro figli, per fare carriera, se ne debbano andare all’estero (Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, curato da Demos e Osservatorio di Pavia per Fondazione Unipolis). Come, puntualmente, avviene. Infatti, l’Italia è al quinto posto in Europa, come Paese di immigrazione. Dopo Gran Bretagna, Germania, Spagna e Francia. Ma — il fenomeno è meno noto — è al quarto posto come Paese di “emigrazione”. Gli stranieri che vivono — e lavorano — in un Paese dell’Ue sono infatti soprattutto turchi, marocchini, rumeni e, appunto, italiani. In Germania, Svizzera e Francia, dunque, noi siamo come i marocchini e i turchi. Proprio per questo, peraltro, le paure sono, al proposito, comprensibili.

La xenofobia, letteralmente: paura dello straniero, riflette l’impatto con un fenomeno nuovo. Che si è sviluppato in modo rapido e violento. Secondo il Centro Studi e Ricerche Idos, gli stranieri in posizione regolare, alla fine del 2013, erano circa 5 milioni e 440 mila. Cioè, l’8% della popolazione. Con un aumento rispetto all’anno precedente di circa il 4%. In confronto al 2004, quando gli immigrati erano meno di 2 milioni, significa un aumento di quasi tre volte. E di 4, rispetto al 2001. Il nostro paesaggio sociale e demografico, dunque, è cambiato profondamente e molto in fretta. Difficile che questo avvenga senza fratture, senza reazioni. Tuttavia, nonostante tutto, la società italiana si è adattata. Per necessità, ovviamente, visto che gli occupati stranieri sono 2,4 milioni, oltre il 10% del totale, mentre nel 2001 erano solo il 3,2%. Ma anche perché ha cominciato ad abituarsi alle diversità, alle differenze etniche e culturali. Come altrove si sono abituati a noi, in passato.

Anche se la recente Indagine dell’Osservatorio sulla sicurezza in Europa (febbraio 2015), condotta da Demos (insieme all’Osservatorio di Pavia e alla Fondazione Unipolis), rileva un deterioramento degli atteggiamenti verso i migranti, in Italia. Più di un italiano su tre percepisce, infatti, gli immigrati come un “pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone” (33%). Tuttavia, occorre rammentare che, fra il 2007 e il 2009, questo indice aveva proporzioni ben diverse: fra il 45 e il 50%. Da allora l’immigrazione non ha smesso di crescere. Ma è cambiato l’approccio. Da parte della società, anzitutto. Perché, come si è detto, ci siamo abituati agli “altri intorno a noi”. E abbiamo cominciato, per questo, a percepirli come “altri noi”.

Così, la diffidenza ha cominciato a declinare. Per altro verso, è cambiata la narrazione del fenomeno da parte dei media. Come ha sottolineato l’Osservatorio di Pavia, negli ultimi anni le notizie sull’immigrazione, sui notiziari di prima serata delle principali reti nazionali, continuano ad essere numerose: 1007 notizie nel 2013 e 901 nel 2014. Ma, soprattutto dopo la visita di papa Francesco a Lampedusa, nel 2013, i sopravvissuti al mare diventano “migranti” e non più “clandestini”. E le ordinarie storie di intolleranza, raccontate in precedenza, lasciano il passo a storie di solidarietà, altrettanto ordinarie. Dai luoghi dei naufragi. Lo stesso avverrà, sicuramente, anche questa volta.

Vale la pena di aggiungere, ancora, che l’immigrazione è vissuta come un problema anche altrove. In Europa. L’immigrazione è, infatti, considerata una delle due principali emergenze dal 13% degli italiani (Pragma per l’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza in Europa), ma da quasi il 50% in Gran Bretagna e in Germania. D’altronde, da noi l’immigrazione è sempre più di “passaggio”. Verso altri Paesi che offrono prospettive di lavoro migliori. Perché l’immigrazione, non dobbiamo dimenticarlo, può essere fonte di preoccupazione, ma è, comunque, un indice di sviluppo. Quando gli immigrati cominciano ad andarsene, come effettivamente avviene da qualche tempo, è perché il nostro mercato del lavoro non è più in grado di attrarli e di assorbirli.

Tuttavia, ieri come oggi, in Italia come altrove, gli immigrati possono essere una risorsa politica. Soprattutto in tempo di campagna elettorale. Un argomento agitato da imprenditori politici della paura, per tradurre l’insicurezza — e le vittime degli scafisti — in voti. Il Front National, in Francia. Ukip di Farage, in Gran Bretagna. La Lega di Salvini, in Italia. Così diversi eppure così vicini. Nel segno dell’Anti-europeismo e della paura degli altri. Ma invocare blocchi navali e respingimenti, di fronte a tragedie immense, come quella avvenuta ieri nel mare di Sicilia, non è in-umano. È semplicemente ir-reale. Come se fosse possibile — oltre che giusto — fermare la fuga dalla guerra e dal terrore che ci assediano. A pochi chilometri da noi.

Ma l’unico modo per fermare i disperati che, a migliaia, si dirigono verso le nostre coste — e, a migliaia, muoiono nel viaggio. Ostaggi di mercanti di morte. L’unico modo possibile per respingerli, per tenerli lontani da noi: è chiudere gli occhi. Fingere che non esistano. Rinunciare alla compassione verso gli altri.

Non avere pietà di noi stessi.

ARTICOLI CORRELATI
29 Dicembre 2015

© 2024 Eddyburg