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Alberto Andrea; Lucarelli Palladino
La storia e il futuro della lotta per l’acqua bene comune
14 Giugno 2011
Articoli del 2011
In due articoli del manifesto (14 giugno 2011) la storia e le prospettive della battaglia dell’acqua pubblica: un successo che viene da lontano e può andare lontano

L'onda anomala dell'acqua pubblica

di Andrea Palladino

Le privatizzazioni selvagge, i tabù del centrosinistra, la repressione poliziesca di ogni forma di disobbedienza civile nata fuori dai partiti
Dalla prima rivolta internazionale contro le corporation al Forum di Corviale, cronaca di una svolta globale e locale costruita dal basso

C'è una data dimenticata dietro il successo straordinario, epocale, dei referendum sull'acqua. Febbraio 1997: sulla mailing list Forum international sur la globalisation appare un messaggio di uno studioso statunitense, Tony Clarke. E un documento allegato, che nel giro di pochi giorni inizia a circolare in decine di paesi, il Multilateral Agreement on Investment. Due mesi prima Martin Khor, direttore del Third World Network, Ong con base in Malesia, era riuscito a ottenere la bozza di quell'accordo sugli investimenti che l'Ocse stava segretamente preparando, che verrà da lì a poco conosciuto semplicemente come Mai. Khor aveva scansionato il documento per poterlo divulgare il più possibile, attraverso la rete internet. Fu un'esplosione, il vero annuncio del terzo millennio, la data di nascita del movimento mondiale contro la globalizzazione. E ieri in Italia, quattordici anni dopo, si celebrava la prima vittoria popolare di quell'onda lunga nuova, disobbediente, cresciuta fuori dalle segreterie di partito, reticolare, creativa e in grado di cambiare radicalmente la realtà, dal locale al globale.

L'opposizione al Multilateral Agreement on Investment fu in grado di bloccare quel primo tentativo di imporre le regole delle corporation, che si basavano sulla supremazia delle multinazionali rispetto agli stessi governi. Era solo la prima tappa, perché le grandi società dei servizi non abbandonarono mai quel progetto, cambiando semplicemente strategia dopo l'inaspettata opposizione internazionale della società civile. Lo spirito dell'accordo sugli investimenti dell'Ocse è subito dopo rientrato in pieno nelle grandi privatizzazioni dei beni comuni, dal Brasile al Sudafrica, dall'Inghilterra all'Italia. Dal 1997, però, il granellino di sabbia che aveva momentaneamente bloccato l'ingranaggio delle privatizzazioni si è moltiplicato all'infinito, si è mostrato a Seattle, e poi a Genova. Ha lasciato sui marciapiedi le prime vittime, come Carlo Giuliani, ha visto massacrare i più giovani nella scuola Diaz, nella macelleria che era solo un assaggio del massacro sociale che si preparava.

In Italia è dopo il 2001 che partono le grandi privatizzazioni dell'acqua. Un timing perfetto, scandito dai due governi Berlusconi e dalla timidezza del governo Prodi, quando l'ala liberista del Pd - composta dalla coppia Bassanini-Lanzillotta - abbracciò in pieno le teorie elaborate dall'Ocse qualche anno prima. Ma il granellino dei movimenti cresceva sotterraneo, nei territori, ampliava la propria forza attraverso le battaglie locali di Aprilia, di Arezzo, di Frosinone, della Campania, della Sicilia, dei Castelli Romani. Aggiungeva alla forza del movimento la crescita del consenso popolare, di fronte all'aberrazione della privatizzazione dell'acqua.

La tappa centrale del successo del referendum ha come scenario il lungo serpentone di Corviale, nella periferia estrema di Roma. Il Forum dei movimenti dell'acqua, nel 2006, aveva già raggiunto la maturità che serviva per iniziare a costruire il cammino durato cinque anni che è esploso ieri nelle urne. Dal 2003 aveva partecipato a un'altra campagna, stavolta europea, contro la direttiva che privatizzava i servizi pubblici, la famigerata Bolkestein.

Di quell'incontro a Corviale non rimane nessuna cronaca nelle principali testate nazionali. In fondo quel movimento che si occupava di acqua, che difendeva i beni comuni quando quelle parole erano considerate quasi tabù anche nel centrosinistra, che chiedeva l'uscita delle multinazionali dalla gestione dei servizi idrici, mentre l'ultimo governo di centrosinistra della capitale affidava tutto ad Acea, stringendo accordi segreti con i francesi di Suez, sembrava una cosa minuscola per gli opinionisti più accreditati.

Dal quel Forum di Corviale è poi uscita la pietra miliare del movimento per l'acqua pubblica, la legge di iniziativa popolare, presentata in Parlamento accompagnata da 450 mila firme, una cifra record. Ben pochi parlamentari, probabilmente, hanno mai letto quegli articoli, né tanto meno hanno cercato di discuterla. Non hanno capito che quelle migliaia di firme erano in realtà solo la prima pietra per la costruzione di un consenso che ieri ha sfiorato i 30 milioni di italiani, restituendo al paese la possibilità di decidere e di cambiare lo stato delle cose.

Servirebbero migliaia di pagine per raccontare quello che in questi quattordici anni è accaduto. Serve soprattutto la mente sgombra dai rituali della politica decotta delle segreterie di partito. Il movimento che ha reso possibile il miracolo è l'incarnazione della metafora della Cattedrale e del Bazar, utilizzata anni or sono per descrivere la filosofia dell'open source. Le grandi realizzazioni medioevali avevano un architetto in grado di controllare anche il minimo movimento dell'ultimo scalpellino; un modello opposto a quello del Bazar, dove l'informazione è sempre condivisa e corre orizzontalmente, in una rete neurale di pari che abbatte ogni gerarchia. Così l'Italia che si è presentata ieri nelle urne è fatta di migliaia di granelli, di comitati in grado da soli di condurre battaglie senza sosta contro i giganti dell'acqua.

L'esperienza, la conoscenza, lo studio dei contratti capestro, lo smascherare le strategie commerciali più immonde - come quella di staccare l'acqua con i vigilantes armati - sono l'immenso patrimonio condiviso, aperto, open source. Un modello che è stato in grado di coinvolgere città per città, municipio per municipio, quartiere per quartiere tutte quelle persone che avevano perso ogni speranza di cambiare. Per questo ieri si è celebrata una vittoria realmente e profondamente popolare, che ha un protagonista assoluto, il cambiamento non più arrestabile cresciuto dal basso. Così forte da superare lo sbarramento mediatico costruito quando ormai era troppo tardi, e in grado ora di proseguire - con ancora più forza - quella lotta di lunga durata per la riconquista dei beni comuni, per la ricostruzione di un futuro possibile e giusto.

Verso un manifesto dei beni comuni

di Alberto Lucarelli



Oggi, a due settimane dai trionfi di Napoli e Milano e a dieci anni dal G8 di Genova, festeggiamo la vittoria del referendum sull'acqua e soprattutto un nuovo modo di fare Politica. È nato un nuovo laboratorio politico, si è raggiunta una vittoria voluta con tutte le forze dal forum dei movimenti per l'acqua e da tutta quella cittadinanza attiva che progressivamente ha capito la necessità di riconquistare se stessi e soprattutto la voglia di far politica e di vedere affermati i propri diritti. Il movimento referendario ha avuto la forza e il coraggio, sin dall'inizio del suo percorso, di declinare un nuovo modo di fare politica, di esprimere nuove soggettività, al di fuori del sistema dei partiti.

Partiti in pochi, ma decisi e già consapevoli dei saccheggi che si stavano realizzando sui beni comuni, il movimento con coerenza, rigore, umiltà, forza di ascolto e di inclusione ha saputo e voluto raccogliere e declinare il "grido" di Genova 2001, dichiarando l'esigenza di uscire dalle logiche proprietarie e individualistiche, per affermare spazi e beni comuni dove poter esercitare e veder soddisfatti i propri diritti. Oggi si raccoglie il frutto di una semina non compresa, sbeffeggiata, avversata dall'establishment istituzionale, ma anche una semina che i più avvertiti avevano compreso che avrebbe determinato un'inversione di rotta e spezzato quell' intreccio affaristico tra borghesia mafiosa, politica, economia e pezzi deviati dell'amministrazione pubblica.

A partire dal 2001 si è aperto in Italia, attraverso il ruolo determinante di tante realtà locali e di tante pratiche sociali, la battaglia dei beni comuni contro la privatizzazione selvaggia dei diritti di cittadinanza ma anche contro gli abusi di un pubblico sempre più corrotto e contaminato da interessi particolari. Si è riusciti a liberare il concetto vuoto di partecipazione dai formalismi giuridico-istituzionali e dai giochetti della democrazia formale; si sono contrastati con fermezza ipocriti meccanismi di cooptazione o di strumentalizzazione.

La truffa "normativa" della partecipazione è stata smascherata sviluppandosi all'esterno e a volte anche contro i meccanismi legislativi che miravano ad irretirla. A partire dalla vittoria di oggi pretenderemo che le politiche pubbliche (nazionali e locali) non siano più calate dall'alto e che le istanze partecipative, elemento decisivo per la gestione dei beni comuni, si trasformino in veri diritti, espressione di antagonismo, proposta, gestione e controllo. Tutti i comuni dovranno adottare delle delibere che impongano l'affermazione della democrazia partecipativa, sperimentando anche laddove non previsto dalla legislazione vigente reali ed effettive forme di coinvolgimento.

La vittoria di oggi è la prova che partecipazione e beni comuni sono nuove categorie che stanno contribuendo alla nascita di nuove soggettività politiche fuori ed oltre il sistema dei partiti. Attraverso le battaglie sull'acqua, ma direi in senso più ampio attraverso le battaglie a difesa del lavoro, del territorio, dell'università pubblica, dei diritti dei migranti, contro il nucleare e gli inceneritori, i cittadini si riapproprieranno del diritto di esprimersi sui beni comuni, sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali. Sono avvertiti tutti quei comuni compiacenti che preferiscono fare affari con i privati piuttosto che difendere i beni della comunità. Questi amministratori si troveranno di fronte cittadini pronti a reagire a veri e propri piani di svendita dei servizi pubblici locali oltre che del patrimonio pubblico. Le comunità locali non sono più disposte a tollerare dei municipi gestiti da giunte che, unitamente a "pezzi" della borghesia mafiosa, perseguono interessi particolari, assumendo decisioni «non partecipate e calate dall'alto». Da oggi obiettivo politico primario sarà la realizzazione di un governo pubblico e partecipato dei beni comuni, in una prospettiva di effettivo cambiamento.

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