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Chiara Saraceno
La speranza di un New Deal
13 Ottobre 2011
Articoli del 2011
Per i giovani, per il Mezzogiorno, uscire dalla crisi impone di finalizzare il lavoro a grandi esigenze della società e del territorio anziché a rendita e profitto . La Repubblica, 13 ottobre 2011

Una generazione di giovani che rischia di rimanere bloccata. Un Mezzogiorno che ha ricominciato a perdere i propri giovani più qualificati, mentre i ragazzi più svantaggiati sono lasciati ad una scuola senza risorse e al lavoro nero. Un’area del lavoro nero senza protezione neppure dai rischi per la salute e per la vita, che viene proposta come l’unica alternativa al non lavoro da un lato, alla criminalità dall’altra. Una qualità del lavoro, anche regolare, spesso bassa anche sul piano della sicurezza. Una disattenzione sistematica e talvolta anche crudele per i bisogni di cura, non solo dei malati, ma dei bambini e delle persone non autosufficienti, con effetti sia di sovraccarico familiare (specie femminile) e di cristallizzazione delle disuguaglianze.

Un territorio che si sfalda alle prime piogge, producendo disastri il cui costo umano e ambientale è sempre più insostenibile non solo dal punto di vista dell’etica e della giustizia, ma anche dal punto di vista economico. Sono questioni non nuove, che tuttavia in queste settimane per una serie di coincidenze sono divenute visibili tutte assieme. Pur nella loro diversità, hanno in comune l’essere testimonianza di uno spreco non solo ingiusto, ma che non possiamo più permetterci come Paese, pena l’impoverimento sociale, se non la stessa rottura della coesione sociale.

Un’agenda dello sviluppo deve partire da qui. Deve cioè farsi guidare dall’obiettivo di porre fine allo spreco di risorse umane, sociali e ambientali di cui questi fenomeni sono l’espressione. Una sorta di New Deal, potremmo dire, con la sua felice combinazione di valorizzazione delle risorse di capitale umano e di sistemazione e valorizzazione del territorio. Proprio perché le risorse finanziarie per le politiche di crescita andranno reperite con ulteriori manovre certamente non popolari e saranno comunque scarse, non possono essere sprecate in iniziative, magari di grande visibilità, ma di impatto sull’occupazione e sullo sviluppo economico dubbio e nel migliore dei casi solo nel lungo periodo. Devono essere indirizzate a obiettivi non più rimandabili di contrasto allo spreco e di valorizzazione delle risorse esistenti, a partire dal capitale umano.

Non serve fare il Ponte sullo Stretto se un quarto dei giovani italiani è senza lavoro e se quelli più istruiti e con più chance di trovare un lavoro fuggono dal Mezzogiorno. Pensare al terzo valico o all’alta velocità in un Paese che frana ogni volta che piove (vale per la Lombardia come, se non più, che per la Campania) appare se non altro un po’ miope. Per non parlare del fatto che il nostro Paese ha una lunga storia di più o meno grandi opere incompiute. Occorre piuttosto mettere in moto una domanda di lavoro che miri a migliorare da subito sia, ovviamente, la condizione dei neo-lavoratori che quella delle comunità in cui vivono.

Un primo settore è quello dell’ambiente, a partire dalla messa in sicurezza del territorio. Una domanda di lavoro che riguarda lavoro a tutti i livelli di qualificazione. Un secondo settore è quello della sicurezza del lavoro. Qui le imprese vanno chiamate alla loro responsabilità, impedendo che si crei una sorta di corto circuito ricattatorio tra mantenimento dell’occupazione e mancata sicurezza. Un terzo settore è quello delle infrastrutture sociali: la scuola di ogni ordine e grado, soprattutto nel Mezzogiorno, i servizi per la prima infanzia per contrastare le disuguaglianze tra bambini, oltre che per favorire l’occupazione femminile, i servizi domiciliari per le persone non autosufficienti.

Dove trovare i fondi? In parte si tratta di rendere più efficiente la spesa attuale. È stato ad esempio calcolato che si spende di più per far fronte ai disastri ambientali di quanto non si spenderebbe per la loro prevenzione. Anche la spesa assistenziale potrebbe essere più efficiente dal punto di vista sia della risposta al bisogno che di quello della creazione di posti di lavoro. È a questo, e non a tagli lineari, che dovrebbe mirare la delega per la riforma previdenziale e assistenziale. In parte anche le imprese devono essere chiamate a una politica di investimenti nel capitale umano – sotto forma di sicurezza e di valorizzazione – se non vogliono limitarsi a competere solo tramite il contenimento dei salari. Ma occorre anche reperire risorse finanziarie nuove. Una tassa sui patrimoni mobiliari e immobiliari, e la re-introduzione dell’imposta sull’eredità sarebbero la soluzione più equa, soprattutto dal punto di vista dei più giovani. Perché compenserebbe le disuguaglianze di origine sociale, che in Italia hanno un peso enorme e inaccettabile sul destino e le chance di vita individuali.

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