La perdita
La figurazione e l’ironia di "la paura fa (quasi) 90" come a tombola. Anni però. Guardo o riguardo indietro nel tempo, guardo la consolidata cultura di eddyburg, guardo certe scarse note per il confronto, quella di Fabrizio Bottini reclamante «una seria interdisciplinarietà» nel commento critico al Vittorio Gregotti di Periferie: una rinascita senza ghetti (5 gennaio 2015), e il mio successivo Pensieri indisciplinati e no (9 gennaio 2015). Non possiamo più girare intorno al formaggio come fanno i topi e poi appena tentano un piccolo morso l’arco dentato li acchiappa e gli affonda le punte nella carne. Volevamo il dialogo fra le discipline, il superamento della cieca specializzazione (tipo eccessi della matematica a Oxford per selezionare la razza); volevamo onorare la vecchia battaglia di un Edgar Percy Snow affinché le due culture, l’umanistica e la scientifica, almeno si parlassero[i]; chiedevamo di riconoscere le conquiste a scuola (rare ma rivoluzionarie) nel campo della reciprocità (intra-bisogno) fra le cinque componenti della famiglia architetturale, di confermare e aumentare la capacità dell’urbanistica di introiettare l’essenziale delle scienze umane; soprattutto volevamo l’urbanistica e l’architettura, differenti ma non divergenti nella storia della città e dello spazio aperto, laboriose su cattedre e tavoli vicini, unite e compartecipanti nel fissare e perseguire gli obiettivi del progetto (del piano). Appunto, i topi intrappolati.
L’urbanistica e l’architettura sono entrambe, da una parte, nettamente staccate dalle nostre concezioni e dalle coerenti concrete prove, da un’altra «godono» quanto mai di una separatezza assoluta, un’intolleranza cruda quando gli capitasse di sfiorarsi. I campi recinti, d’altronde, non contemplano la vita. La loro divisione ha contribuito al fallimento della città e del fuori. Non interessa qui discutere la negazione di Franco La Cecla[ii] o l’ottimismo di Stefano Moroni[iii]. È la perdita dell’unità, il rifiuto del retaggio storico (una sola arte, come l’artifex dei latini) la causa dello stato attuale: l’urbanistica esiste come il cavaliere inesistente che esiste ma è un magatello; l’architettura ha surclassato la realtà come non-architettura, quella di autori che, attenti a nient’altro che a se stessi (e, horribile dictu, alla massima resa finanziaria per l’imprenditore) commettono clamorosi falli culturali e professionali pur di realizzare violente testimonianze del proprio protagonismo: cose e cosi sprezzanti i contesti storici e sociali, ostili alla città e alla comunità; forme per lo più astruse, talora contro-statiche in veste di grattacielo; contenuto? irrilevante. Ai cittadini col naso all’aria (non molti, la «classe media» potrebbe agire come l’io narrante in La vita agra di Luciano Bianciardi[iv]) basta meravigliarsi per l’imponenza vetrosa dai riflessi abbaglianti. Quando esistessero per il dato luogo, grazie a strana sopravvivenza della vecchia maniera, chiare definizioni e norme attuative, quei King Kong, succubi alla volontà del domatore padrone, le stritolerebbero, proprio come il gran scimmione stava per fare con la bella ragazza tenuta in una sola mano.
Forse l’ottica che adottiamo è deformata dalla taratura dell’obiettivo sul caso milanese? Come altre vicende in altri momenti[v], il «rito ambrosiano» (Vezio De Lucia), ossia la manipolazione delle regole, ha indicato al paese la melodia e l’armonia del corale che celebra lo sbaraglio dei difensori della legalità e dell’onesta verità storica della nostra cultura. Ne è il compendio assordante, altra volta descritto, la «Nuova Milano» di Garibaldi-Repubblica-Isola, terra straniera giacché è per intero proprietà qatarina: giustamente, vorremmo dire, dal momento che il paesaggio urbano sembra importato pari pari da quello del noto emirato[vi]: orrori, orrori disumani, un marchio mortale che distingue tutti gli emirati della penisola arabica.
La memoria
L’interno della Borsa di Amsterdam |
Particolare di Amsterdam Zuid |
Un metodo di progettazione in cui il tutto sia presente nelle parti e le parti nel tutto, un punto di vista univoco circa l’urbanistica e l’architettura: questo ci ha insegnato Hendrik Petrus Berlage, il maestro che tuttavia lega l’obiettivo di costruire la città nuova all’esistenza di un ideale di vita, di una larga cooperazione per obiettivi comuni; ma, infine, anche alla lotta politica contro la potenza del capitalismo. Ad ogni modo il piano per Amsterdam Zuid rappresenta in sé, a quella data, il miglior risultato rispetto alla coerenza dei principi: fedeltà alla storia della città (il demanio della terra, l’esproprio, l’isolato); affermazione e rilancio della socialità (la tradizione cooperativistica); piena applicazione della legge sulle abitazioni del 1901 (regolamentazione promotrice dell’edificazione per blocchi). Il progetto d’insieme fortemente unitario nella successione degli isolati, crea un più alto livello di unità attraverso i fabbricati ai margini e i giardini interni, luogo decisivo dove l’architettura mostra indubitabilmente, se così si può dire, la propria funzione urbanistica unita al riconoscimento dei valori cooperativistici, infatti il numero degli alloggi corrisponde a quello di una cooperativa di media dimensione. La realizzazione avverrà con gli architetti della Scuola di Amsterdam. I De Klerk, i Kramer, le Kropholler… Espressionismo, moderno romanticismo, alcune mirabolanti mostre delle risorse laterizie nell’esclusivo impiego del mattone… L’effetto è di una inflessibile coerenza dell’insieme e dei particolari, in armonia con lo spirito e l’arte del maestro. Conosciamo le critiche di Giedion (che sarà alfiere del razionalismo) al piano: le soluzioni proposte sono ancora legate a certa urbanistica ottocentesca. Ma a noi la «vecchia» Amsterdam Zuid basta ora: come preferiremmo, ora, una «Nuova Milano» tutta berutiana.
Bruno Taut, dopo una visita nel 1929, definì l’addizione meridionale un contributo eccezionale all’architettura moderna: «… è avvenuto il prodigio, la creazione di un’architettura collettiva, dove non è più la singola casa ad essere di particolare importanza, ma le lunghe schiere di case lungo le strade e ancor più l’aggregazione di molte strade in una unità complessa, anche quando in queste strade hanno lavorato architetti diversi».[vii]
La Hufeisensiedlug della Groβsiedlug Britz |
Case a schiera con diversificazione della tinteggiatura |
A questo punto sembra pura fortuna (invece è ricerca) poter introdurre la figura di Bruno Taut, da subito scelta insieme a quella di Berlage per far comprendere la superiorità del ricordo, tramite un suo alto apprezzamento dell’opera del maestro olandese. Pochi, forse nessun altro protagonista del Moderno può vantare, come Taut, una tanto ricca dotazione culturale fra idealità filosofica e politica, passione progettuale, capacità realizzativa. L’unità in Berlage fra architettura e urbanistica sovrintesa socialmente dalla cooperazione è naturale obbligazione in Taut. Ma esiste una più complessa relazione fra critica della città esistente e modelli deliberatamente utopici come in Die Stadtkrone e Alpine Architektur, o storico-idealistici come in Die Auflösung der Städte (Kropotkin evidente riferimento). Dobbiamo interpretarli quali potenti metafore della sua visione della società: ossia del rapporto fra società e città-territorio, dell’organizzazione degli spazi e dell’architettura. La definizione di Erdstadt per il progetto urbanistico e la precisazione con Die Erde eine gute Wohnung dicono quanta importanza Taut attribuisse alla terra, alla campagna: che all’interno della nuova città, le Siedlung, significherà anche grandi parchi, giardini, orti intanto che l’eine gute Wohnung realizza magnifiche soluzioni d’insieme urbano e di architettura di case per il popolo studiata a fondo secondo pochi tipi (fu Taut a ritenere che l’uomo trova un facile rapporto immediato con la sua abitazione fino al limite di tre piani. Superatolo comincia il momento dello straniamento che costringe a ricorrere a qualche accorgimento distraente).
Bruno Taut accettò doverosamente importanti compiti in cariche pubbliche per realizzare il suo programma, dimostrando come l’intero presupposto teorico e ideale fosse pronto a precipitare in una grande intrapresa di realtà. Da Stadbaurat a Magdeburgo lavorava da un lato per il progetto e la costruzione di alloggi popolari, dall’altro per il rinnovamento urbano attraverso la tinteggiatura policroma delle facciate attuata da artisti: «Magdeburgo colorata» si dice e si legge. A Berlino, invece, direttore dei programmi residenziali della GEHAG[viii] disegnò il piano di diverse Siedlung, talvolta con Martin Wagner, e progettò come altri noti colleghi (il fratello Max, Ludwing, Scheiderei, Häring, Poelzig…) l’architettura degli edifici. Così prima della crisi per l’avvento di Hitler decine di migliaia di alloggi furono assicurati alle classi lavoratrici. Fra i diversi e bei luoghi, il primato spetta alla Gossiedlung Britz, con la grande corte denominata Hufeisensiedlung (Hufeisen = Ferro di cavallo) altrimenti detta Lowise Reuter-Ring (Ring=Anello).
Note
[i] E. P. Snow, Le due culture, orig. 1959 e 1963, Feltrinelli 1964, Marsilio 2005.
[ii] F. La Cecla, Contro l’urbanistica, Einaudi 2015.
[iii] S. Moroni, Libertà e innovazione nella città sostenibile, Carocci 2015.
[iv] Vedi in eddyburg l’ultimo capoverso di L. Meneghetti, Migrazioni passato e presente. Seconda parte, 10 gennaio 2016, e la relativa nota 7.
[v] Vedi in eddyburg-archivio in data 11 settembre 2006 (quasi dieci anni fa!) L. Meneghetti, Falsificazione dell’architettura e privazione dell’urbanistica, poi in L. M., L’opinione contraria, Libreria CLup, dicembre 2006, p.189-196.
[vi] Vedi in eddyburg L. Meneghetti, Dov’è la bellezza di Milano? 10 gennaio 2016.
[vii] Citazione in M. Casciato (a cura di), La Scuola di Amsterdam, Feltrinelli 1987, p. 23, da B. Taut, Die neue Baukunst in Europa und Amerika, Stutttgart 1929, p. 41.
[viii] Gemeinützige Heimstätten Aktien Geselschaft = Società anonima per residenze di pubblica utilità.