È la prima volta che vediamo una manifestazione di sinistra inondata di bandiere tricolori. E' la prima volta che una grande manifestazione di popolo è aperta da un coro che intona le note di "Va pensiero" e si chiude su quelle dell'inno di Mameli. E' la prima volta che si scende in piazza indossando Costituzione per difenderla da chi la considera l'ultimo ostacolo alla governamentalità, come direbbe Giorgio Agamben, a una forma di governo autoritario e oligarchico. Sono segnali evidenti, vistosi, simbolici di un sentimento nazionale che arretra (o avanza) a difesa dei caratteri fondativi della convivenza civile, attaccata e ferita dal ventennio berlusconiano, smarrita dalle sinistre.
Laica, pluralista, lavorista, ugualitaria, solidarista, internazionalista, pacifista, la nostra Costituzione ieri aveva il volto della gente, era appuntata su giacche e cappelli, prima attrice nelle strade delle cento città che hanno manifestato per la democrazia e per la scuola pubblica, contro l'eutanasia della politica, in un paese dove il parlamento è un mercato e la scuola un'azienda.
Se i partiti sono afasiche, deboli macchine autoreferenziali, in Italia infiltrate da mafia e corruzione, è alla Costituzione che oggi viene chiesto di essere la bussola che orienta il futuro, così come le era toccato nel dopoguerra, quando come diceva Calamandrei (citato nelle piazze e sui cartelli dei cortei) rivolgendosi ai suoi studenti «dietro ogni articolo di questa Costituzione, voi dovete vedere giovani come voi che hanno dato la vita perché libertà e giustizia potessero essere scritte su questa carta». E i ragazzi delle scuole erano in piazza insieme a molti vecchi, come in un confortante passaggio del testimone per le future battaglie.
La scuola pubblica è diventata elemento centrale di una vera democrazia costituzionale, nel paese che piega il diritto allo studio per tutti in un privilegio per pochi. Studenti e professori sono stati il connotato più forte di questo 12 marzo italiano. Perché se è nell'ignoranza che cresce la sottomissione è nella conoscenza che può vivere la ribellione.
E' ormai in campo un'opposizione larga e consapevole che esce di casa e si mette in marcia, ciascuno e ciascuna con la rabbia e la voglia di reagire perché, come era scritto su un cartello, «per un popolo civile non c'è niente di peggio che farsi governare senza resistenza». E quei fazzoletti tricolori dei partigiani annodati al collo di molti, come quella enorme bandiera della pace che tallonava il bandierone tricolore, ne testimoniavano la coscienza.
La piazza continua. A Potenza sabato prossimo con don Ciotti contro le mafie, a Roma il 26 per l'acqua pubblica, fino allo sciopero generale della Cgil il 6 di maggio. Arriveremo alle elezioni amministrative con un pieno di mobilitazioni, con una poderosa domanda di cambiamento in vista la difficilissima sfida referendaria di giugno. È tutto un paese che cammina insieme, spinto dalla ragione e dalla passione. Certo non sarà la retorica nazionalpopolare della canzone di Roberto Vecchioni, cantata dalla piazza del Popolo a Roma, la colonna sonora di una stagione di rivolta pacifica e civile, ma è altrettanto chiaro che sono in piazza bisogni, sentimenti, persone.