Sbilanciamo l'Europa . Il trentennio neoliberista ha divorato la democrazia liberale, facendo carta straccia dei diritti sociali, lasciando spadroneggiare la finanza e riducendo i poteri degli Stati. La questione democratica si ripropone con la partecipazione e la resistenza contro l'assolutismo dei privilegi.
Sbilanciamoci.info, 17 luglio 2014
Di recente, il sociologo tedesco Wolfgang Streeck ha argomentato che la fine del capitalismo può venire dalla debolezza, piuttosto che dalla forza, dell’opposizione anti-neoliberista.Lasciato a se stesso, senza limiti, l’ingordigia del capitalismo porterebbe infatti alla distruzione (al momento in stadio avanzato) di quelle risorse umane a materiali di cui esso stesso ha bisogno per sopravvivere. Un argomento simile si potrebbe articolare anche rispetto alla Unione Europea.
All’indomani di elezioni che, per (mancanza di) partecipazione ed esiti hanno mostrato tutta la insofferenza dei cittadini europei rispetto a questa Europa, il Partito Popolare Europeo (principale perdente in termini di elettori in uscita) e, quel che è peggio, un Partito Socialista Europeo che non è riuscito a presentarsi come alternativa, procedono come se nulla fosse stato: con il sostegno bi-partisan al Popolare Jean-Claude Juncker—Mister Crisi, nonché Mister Austerità—alla presidenza della Commissione Europea e l’elezione (con accordo di rotazione Pse-Ppe di Martin Schultz, Socialista criticato persino in patria per un peregrino poster elettorale dove si leggeva «solo se voti per Martin Schultz e l’Spd può un tedesco diventare presidente della Commissione Europea».
In più, esponenti di entrambi i partiti vantano la salda maggioranza europeista nel parlamento europeo—rimuovendo la presenza, in quella presunta maggioranza, di presenze imbarazzanti e ben poco europeiste, da Forza Italia di Silvio Berlusconi al Fidesz di Victor Orban. Ppe, Pse e chi con loro sembrano avere fretta di dimenticare che, secondo i sondaggi dell’Eurobarometro, la percentuale dei cittadini che ha fiducia nella Ue è scesa dal 57% nel 2007 al 31% nel 2013.
La percentuale di cittadini che ha una immagine positiva dell’Europa è scesa nello stesso periodo dal 52 al 31% e quella di coloro che sono ottimisti rispetto ai futuri sviluppi della Ue è crollata dai due terzi alla metà della popolazione. E che, se questi sono i valori medi, la situazione è di gran lunga più drammatica nei paesi più colpiti dalla crisi. Questi dati riflettono una profonda crisi di responsabilità della versione politica del neoliberismo, nella quale la Ue è considerata principale promotrice. NeL 1970, Habermas aveva collegato la crisi economica ad una crisi di legittimità, prodotta dalla incapacità dello stato di risolvere i problemi del mercato. Se Habermas si riferiva allo stato interventista della versione fordista, nel capitalismo oggi l’effetto di delegittimazione delle istituzioni politiche viene da una crisi di responsabilità legata alla rinuncia delle istituzioni politiche di garantire fondamentali diritti di cittadinanza. In estrema sintesi, mentre negli anni ’80 gli Stati furono accusati di spendere troppo e si allontanarono dalle politiche economiche keynesiane di pieno impiego, il post-fordismo ha portato a una riduzione del welfare e a un aumento delle disuguaglianze sociali.
Deregolamentazioni, privatizzazioni hanno rappresentato i principali indirizzi di policy giustificati dal bisogno di ristabilire l’efficienza del mercato. Tali interventi non hanno aiutato a migliorare la concorrenza, ma piuttosto incentivato la concentrazione del potere nelle mani di poche multinazionali, con una conseguente crisi economica che affonda le sue radici non nella scarsità o nell’inflazione, ma piuttosto in un processo di mancata redistribuzione. Dal 2008, il debito pubblico è aumentato, non a causa di investimenti in servizi sociali o a supporto di gruppi sociali vulnerabili, ma piuttosto a causa di ingenti iniezioni di denaro pubblico a favore di banche e istituzioni finanziarie in dissesto finanziario che avevano operato drastici tagli sulle tassazione dei capitali. Questo sviluppo nelle interazioni fra stato e mercato si è trasformato in corruzione della democrazia rappresentativa attraverso la sovrapposizione fra potere economico e politico. Dal punto di vista del sistema politico, questo comporta una rinuncia di responsabilità da parte delle istituzioni rappresentative di fronte alle istanze dei cittadini.
Contro le promesse neoliberiste di difesa del mercato dallo stato, studiosi di varie discipline focalizzano l’attenzione su due elementi. Da un lato, la separazione fra economia e politica è presente raramente, i governi devono infatti rimediare la presenza di fallimenti del mercato, e i mercati hanno bisogno di leggi. Dall’altro, la capacità degli stati di garantire i diritti dei cittadini è drasticamente ridimensionata dalle politiche di privatizzazione, liberalizzazione, e deregolamentazione che hanno permesso la concentrazione del capitale attraverso legislazioni favorevoli. Gli stati sono accusati di abrogare i diritti sociali al fine di aumentare i profitti e le rendite di pochi privilegiati, poiché infatti il neoliberismo implica l’abolizione di molte leggi e regolamentazioni orientate al controllo dell’economia. Inoltre, il neoliberismo si è fondato – e, come Colin Crouch ha sottolineato, è stranamente sopravvissuto alla sua stessa crisi– soprattutto attraverso il trasferimento di un’ampia quantità di denaro dalle multinazionali ai politici. Liberalizzazioni, deregolamentazioni e privatizzazioni hanno infatti portato a corruzione e lobby selvagge, anche a livello europeo. Allo stesso tempo così come le multinazionali comprano le decisioni politiche, emerge il tentativo di presentare queste stesse decisioni come «apolitiche», con l’obiettivo di legittimarne il risultato come un benigno intervento di regolamentazione che l’UE ha cercato di raggiungere.
Lo spazio per le decisioni politiche è stato negato da politici di differenti bandiere sulla base di un’assunta predominanza di «logiche di mercato», soprattutto nel caso dei mercati internazionali. L’obiettivo democratico di ottenere fiducia da parte dei cittadini è stato, nei fatti, retoricamente sostituito dalla ricerca di una «fiducia del mercato», che è ottenuta anche a spese di una insensibilità verso le istanze dei cittadini. La responsabilità degli stati democratici di fronte ai loro cittadini è stata rimossa in nome del rispetto di condizionalità esterne – incluse quelle imposte dall’Ue agli Stati per l‘accesso a prestiti– che hanno imposto tagli alla spesa pubblica, con conseguenze drammatiche in termini di violazioni dei diritti umani fondamentali quali diritto al cibo, alla salute, e all’abitazione. La responsabilità democratica è pertanto ridotta dall’irresponsabilità delle organizzazioni internazionali che impone queste condizionalità, mettendo a repentaglio le scelte politiche.
Senza controlli e limiti, la crisi di responsabilità che investe le istituzioni politiche ai vari livelli in Europa è destinata a incancrenirsi. È importante la capacità di opporsi a queste visioni di Europa da parte di quelle forze che — anche nel parlamento (da Siryza a Podemos, ai Verdi e anche, nonostante le stolide alleanze, il M5s — possono essere portatrici di un’altra Europa