L’asse Rignano-Berlino, messo su in gran fretta per spezzare le reni alla Grecia, è miseramente crollato. Con il sogno di un pezzo di mantello imperiale da poggiare sulle spalle, Renzi è volato dalla Merkel. In ginocchio dinanzi al nuovo sovrano del continente, rivendicava un riconoscimento ufficiale del suo rango di vassallo fedele che ha eseguito bene il mandato. Con la distruzione dei diritti del lavoro e il rogo della scuola pubblica, lui si presentava come la soluzione, la ragione obbediente ai voleri dei signori della tecnica e della finanza. Tsipras invece era il problema, la follia, il disordine. Mai viaggio, per incassare benefici immediati, fu più incauto. La terra promessa, cioè l’ombrello protettivo della signora della teutonica potenza, per il giovin cavaliere errante si trasforma ora in incubo.
Un altro fallimento. Dopo il trend elettorale disastroso, che dall’Emilia alla Liguria aveva visto la fuga del popolo della sinistra da un partito che ha il programma massimo della destra economica europea, la batosta greca accelera il declino del renzismo. I suoi ideologi avevano cercato di buttarla in velina di regime presentando l’immagine di una Grecia con gli arsenali pieni e le tasche vuote. E al coro di delegittimazione si era aggiunto Veltroni, dalle colonne di un giornale apocrifo. Con la sua predicazione domenicale ammoniva: Roosevelt non avrebbe fatto un referendum per decidere se entrare in guerra. Il coraggio di Tsipras si colorava, nella penna di solito buonista dell’artefice della virata liberista del Lingotto, di codardia.
Con Renzi alla corte della Merkel si congeda, e in malo modo, anche una parte cospicua degli eredi della tradizione del Pci, che hanno interiorizzato valori, simboli, credenze, interessi materiali della destra economica e tecnocratica. Il referendum greco suona la campana a morte per le politiche neoliberiste imposte in Italia anche da una parte influente di quel mondo senza più radici e identità. Il vangelo della transizione post-berlusconiana, esigeva riforme strutturali, sospensione delle elezioni, forzature costituzionali, governi d’eccezione che alteravano i tempi del gioco dei poteri parlamentari e adottavano il programma economico scritto dalle potenze del capitale sotto il ricatto della speculazione. La manovra sullo spread è la nuova coercizione muscolare che costringe i paesi privi dello scudo della sovranità alla resa nel tempo della post-politica. Gli eventi della Grecia mandano in soffitta i simulacri appassiti del socialismo europeo, percepito come braccio secolare del business e parte integrante del piano del capitale globale contro i diritti del lavoro. Nell’Europa del sud si è aperta una frattura storica, una di quelle cesure che implicano la comparsa di nuovi attori politici, la maturazione di altre culture.
La sfida di Tsipras non appartiene alla congiuntura, e non è un fenomeno solo locale, o la manifestazione radicale di un ellenismo periferico. È parte di un processo europeo più vasto, che da Atene si spinge verso Madrid, e annuncia l’inizio di una nuova sinistra, critica verso il capitalismo postmoderno, come imporrebbe il suo stesso codice genetico, da troppi dimenticato. Una sinistra legata al lavoro, in ogni paese dovrà assumere caratteri originali nell’organizzazione, nella cultura, nei simboli. Le parti della tradizione del comunismo italiano rimaste coerenti con i punti cardine di una cultura critica verso gli idoli del capitale, le reti dell’associazionismo civico, le sensibilità sociali di un radicalismo religioso, e le nuove istanze dei diritti di libertà, il movimento sindacale legato al conflitto devono partecipare a un processo per la definizione di un nuovo soggetto politico. Bisogna fare in fretta perché già si è accumulato un ritardo e tanti errori sono stati commessi. È opportuno ascoltare la lezione greca che dà la carica per l’invenzione organizzativa.
I commentatori che incasellano il fenomeno Tsipras nelle categorie del populismo compiono un deliberato compitino di depistaggio cognitivo. Il disegno di Tsipras non ha nulla di populista, cioè non costruisce inganni, deviazioni, capri espiatori. Non coltiva la paura ma la percezione della propria condizione sociale e non c’entra nulla con la ruspa che se la prende con i nemici immaginari. Niente in comune ha poi con lo tsunami tour, che odia anche il sindacato ed evita di collocarsi in una parte precisa nello spazio politico e sociale. Tsipras non salta con immagini deformanti il conflitto, anzi lo nomina, lo politicizza. E non si situa oltre la coppia destra-sinistra, al contrario la rivendica come fondativa, la declina in forme trasparenti. Il suo è un disegno di radicalizzazione della proposta politica e sociale della sinistra dinanzi alle sofferenze di un paese ridotto in ginocchio dalle classi politiche tradizionali, con la Spd che ora vuole la resa dei conti contro i ribelli greci e minaccia “misure umanitarie”.
Per questo recupero da sinistra dell’interesse nazionale, Tsipras parla all’Europa del sud ed è, il suo percorso, l’esatto contrario del populismo, che inventa nemici di una cultura altra, li espone alla gogna in maniera ossessiva grazie alle coperture dei media, che fabbricano fantasmi di comodo pur di proteggere il capitale dagli attori del conflitto. All’invenzione di un totalmente altro (immigrato, islam, rom) contro cui sparare il risentimento e le paure degli esclusi, egli contrappone la verità dei rapporti materiali. Con forza denuncia il dominio che vede l’idolo pagano con simbologie teutoniche succhiare il suo nettare dal cranio dei popoli uccisi con le politiche di austerità palesemente insostenibili. La vendetta dei mercati non tarderà a scagliarsi con furore cieco contro la rivolta politica inaugurata ad Atene. Ma il voto greco dice che è possibile una grande politica, contro il servilismo del fresco vigore di un Renzi, orfano delle magnifiche riforme impopolari che senza una rimodulazione del debito, una rivisitazione del fiscal compact saranno state prove inutili di sacrificio. Con il suo volo alto nei cieli di Germania, per assicurare a poche ore dal referendum che la partita si giocava tra l’euro e la dracma, Renzi ha scordato le parole del poeta: «Ai voli troppo alti e repentini / sogliono i precipizi esser vicini».