Sulle orme di Berlusconi anche il grande comunicatore Matteo Renzi ha deciso di lanciare il suo messaggio elettorale dagli studi televisivi di un popolare contenitore domenicale dal titolo inutilmente gladiatorio, L’Arena. Renzi spera di volgere a suo completo vantaggio la sentenza 70 della Corte Costituzionale sulle pensioni. Cerca di farlo risparmiando ben 16 miliardi. Stabilisce quindi, del tutto arbitrariamente, che il governo sanerà il vulnus con soli 500 euro in media per circa quattro milioni di pensionati, il cui trattamento sia inferiore ai 3mila euro mensili lordi.
A questo gioco di prestigio il Presidente del Consiglio accompagna qualche lacrima di coccodrillo sui giovani, utilizzando la vecchia tattica della guerra tra i poveri. I 2 miliardi di spesa così prevista assorbirebbero abbondantemente il cosiddetto tesoretto di 1,6 miliardi, ovvero la differenza tra deficit tendenziale e deficit programmato. Ma ahimè, la crudele Corte Costituzionale toglierebbe ai giovani per restituire ai vecchi, mettendo oltretutto le casse dello stato in difficoltà!
Straordinaria montatura, che ogni volta viene riproposta, malgrado che le cifre dimostrino il contrario. Come ci spiega in ogni annuale rapporto sullo stato sociale il professor Pizzuti, secondo gli ultimi dati disponibili del 2013, il saldo tra entrate contributive del sistema pubblico e prestazioni previdenziali è di 21 miliardi, con i quali quindi il primo “aiuta” il bilancio pubblico. La realtà è che la riforma Fornero, non meno delle precedenti, non è solo un disastro ma un buco senza fondo. Nessuno dimentichi infatti l’irrisolto dramma degli esodati. Ma tutto questo ha una causa di fondo: il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, che ha spezzato il patto generazionale tra giovani e anziani, tra occupati e pensionati, operato per giunta in una fase strutturalmente calante dell’occupazione aggravata dalla crisi economica.
Naturalmente Renzi si giustifica dicendo che la sentenza della Corte non esplicita tempi e modalità del risarcimento. Ovviamente, si potrebbe dire, visto che non è compito di quest’ultima. Se lo avesse fatto si sarebbero alzati alti lai contro l’invasività del massimo organo costituzionale nell’ambito delle scelte di politica economica proprie dell’Esecutivo. Ma tra il fatto che la Corte non prenda per mano il governo imponendogli il quando e il come del risarcimento e la conclusione che ce la si possa cavare con un’autosanatoria da 500 euro, ci sta un triplo salto mortale che solo l’arroganza del potere consente a Renzi di compiere in diretta televisiva, anticipando lo stesso Consiglio di Ministri ridotto a puro ratificatore di scelte già pubbliche.
La sentenza 70 della Corte è assai bene calibrata e meriterebbe un’analisi più puntuale. In primo luogo essa non contesta in assoluto la possibilità per un governo di intervenire per motivi di eccezionalità finanziaria solidamente dimostrabili sulle prestazioni a favore dei cittadini. Dipende dalle motivazioni, che in questo caso non sono esplicitate, dalle finalità, dalla misura e dalla durata dell’intervento stesso. Per questo la sentenza 70 ha ribadito che l’azzeramento del meccanismo perequativo operato nel 2008 per i trattamenti superiori otto volte il minimo per la durata di un solo anno, per compensare gli effetti del famoso “scalone”, rispondendo a criteri solidaristici, non violava alcuna norma costituzionale.
In secondo luogo, ed è questo un aspetto rimasto finora in ombra nel dibattito, tutto lo spirito e la lettera della sentenza 70 escludono che dal principio del pareggio di bilancio, infilato in Costituzione con la manipolazione dell’articolo 81, possa derivare meccanicamente una riduzione delle prestazioni che rispondono ai diritti dei cittadini. Per chi sta raccogliendo le firme per la legge popolare che vuole modificare l’attuale articolo 81, nel senso del primato dei diritti sulla contabilità, questa è una buona notizia.