La Repubblica, 31 maggio 2016 (m.p.r.)
«Fanno il deserto e lo chiamano pace» è una citazione latina che andrebbe rivisitata in: «Fanno il deserto e lo chiamano mercato». Questo è successo a quel pezzo di agricoltura italiana che ha perso di vista il senso del proprio operare. L’agricoltura deve produrre cibo. Ma il mercato non sa che farsene del cibo.
Il mercato vuole merce, perché la merce produce più profitto. Così fare latte in Italia ha smesso di essere un mestiere per diventare una produzione qualsiasi. E le produzioni devono crescere. Si è lavorato sulla genetica, sulle premedicalizzazioni, sulle porzioni bilanciate, su qualunque cosa potesse servire a fare almeno il doppio dei litri di latte che una vacca produrrebbe seguendo i ritmi dei pascoli, della sua razza, delle sue gravidanze. Un mestiere perde ogni logica, un paesaggio si devasta di capannoni, un’alimentazione si svuota di gusto e di nutrienti. Non importa, i profitti crescono.
Ma arriva il momento in cui il deserto si manifesta. E chiede il conto. Quando chiude una stalla non è come quando chiude una discoteca. Quando chiude una stalla un intero territorio si disconnette, si svuota di saperi, di ritmi, di piccole e grandi economie locali, di progetti per il futuro. L’agricoltura è un tessuto fitto, se si fa un buco si strappano tantissimi fili.
Riannodiamo i fili, ripartiamo dall’abc: a) Il latte non esiste. Esistono tanti latti quanti sono i modi di fare un mestiere antico e solenne come quello dell’allevatore. b) Il latte non si fa nelle aziende di pastorizzazione e confezionamento. Si fa in territori che hanno un nome e un profilo culturale, e i cittadini hanno diritto a sapere da quale territorio e da quale agricoltura viene il latte che acquistano. c) Il latte, quello vero, esiste ancora e va pagato fior di quattrini. Lo fanno tanti giovani e non giovani allevatori che si stanno preparando a salire in montagna per l’estate.
Ai nostri politici che in Europa dovranno lavorare sul tema dell’origine degli alimenti e a quelli che dovranno occuparsi del prezzo del latte chiedo un gesto di formazione professionale: accompagnateli in montagna, anche solo per un giorno. Toccate quegli animali, guardate in faccia i loro padroni. Poi ditemi se riuscite a tornare a Bruxelles a dire che il latte è tutto uguale, che l’origine non importa e 28 centesimi al litro possono bastare.