Finalmente abbiamo un governo, forse di centro-sinistra, forse di sinistra-centro, ma certamente non c'è più il Cavaliere in sella. E' questo un grande successo: ci siamo liberati dal populismo reazionario di Berlusconi.
Ma in quale situazione siamo? Le borse di tutta Europa, e degli Usa anche, vanno giù. I famosi «spiriti vitali» del capitalismo sono in difficoltà. Quindi la parola dovrebbe passare dal mercato (che è fiacco) alla politica. E in Italia questo non sarebbe una novità. Nel secondo dopoguerra, quando c'era la conventio ad escludendum e il dominio della Dc, abbiamo avuto iniziative di intervento pubblico che sono state alla base del famoso «miracolo economico». Facciamo solo alcuni nomi: Cassa del Mezzogiorno, Eni, Enti di sviluppo, Svimez. Senza dimenticare l'Iri che esisteva già. Ma oggi tutte queste forme di intervento sono condannate e siamo, dal punto di vista della crescita, in una situazione più difficile. Allora che fare? Innanzitutto procedere a una rilevazione dello stato del paese reale.
E qui debbo confessare che Berlusconi non aveva tutti i torti quando affermava che l'Italia non sta tanto male, e debbo consentire con il mio stimatissimo amico Geminello Alvi, che ha scritto un libro nel quale sostiene che l'Italia vive di rendite e quindi rischia di arenarsi in una palude di depressione. In questa situazione il mio totale consenso va a Vincenzo Visco (purtroppo un ministro che anche quando ha ragione non ispira simpatia) il quale propone, si propone come vice-ministro per le finanze, di tassare le rendite e di punire il guadagno di chi non fa niente,ma ha - come si dice - una rendita di posizione.
Il punto - senz'altro discutibile - è che Visco non vuole tassare tanto il profitto, il quale deriva da iniziativa e lavoro, ma la rendita che arriva anche al proprietario dormiente. In una Italia nella quale i valori immobiliari sono arrivati quasi alle stelle senza che il proprietario abbia mosso un dito, la rendita è doverosamente tassabile. E' tassabile non solo nell'interesse dei non proprietari ma anche nell'interesse dei medesimi proprietari, i quali con tutte le loro rendite avrebbero difficoltà a pagarsi malattie e pensioni. Nella campagna elettorale - va riconosciuto - l'uso delle tasse sulle rendite e anche la patrimoniale sono state usate male e sul terreno elettorale anche controproducenti. Ma adesso che le elezioni sono state vinte? Adesso la maggioranza deve avere il coraggio della verità e della razionalità, come il ministro Visco sembra abbia inteso. La patrimoniale e tutte le tassazioni sulle rendite e le proprietà immobili non sono tassazioni moralistiche o vendicative di quella parte della popolazione che non ha proprietà, dei proletari si diceva una volta. Tassare le rendite e i patrimoni è un modo di rianimare e rendere attiva una ricchezza morta e che è mortifera per il paese e per gli attuali proprietari. Anche - se non soprattutto - per evitare di trarre risorse a scapito del lavoro, costringendo chi vive del proprio reddito a «pagare la crisi» come avvenne negli anni '90 per l'entrata in Europa. La lotta alla rendita non è proprio un'invenzione bolscevica. E' un grano di saggezza borghese. Visco non è un bolscevico, ma fonda le sue tasse su ragioni antiche. E tuttora valide.
Nota: si vedano le curiose assonanze fra questo articolo di Parlato e un contemporaneo intervento sul britannico Guardian (f.b.)