Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2016 (p.d.)
Dice Roberto Saviano che l’accusa che lo ha ferito di più è quella di ispirare i giovani criminali. E in effetti c’è ancora chi, nel decennale di Gomorrae sulla scia del successo della serie tv, chiede allo scrittore di “passarsi una mano sulla coscienza”, perché “nella Napoli delle baby gang e delle sventagliate di kalashnikov contro le caserme dei carabinieri, nessuno può dirsi irresponsabile, neanche chi racconta storie, neanche i registi o gli sceneggiatori di fiction” (Marco Demarco, Corriere della Sera).
E mentre noi ci interroghia mo su quanto i ragazzi delle paranze siano gomorristi, più o meno affascinati dalla spettacolarizzazione della camorra, un esercito di sanguinosi “ribelli”cresce lontano dai nostri occhi. Nel ventre molle di Napoli esiste già una realtà che è oltre Gomorra. Un altro mondo – quello che con Michele Santoro racconteremo in un film documentario a cui stiamo lavorando – abitato da ragazzi giovanissimi meno vincenti di Ciro o Genny. Come i protagonisti della serie tv ce n’è uno su mille: gli altri sono destinati a Poggioreale o al cimitero.
Qualunque cosa sia romanticamente ribelle, violenta o contro, loro la seguono. Postano foto in cui mostrano armi e barbe che sembrano ammiccare a quelle dell’Isis. E proprio il fondamentalismo islamico, ha osservato per primo Isaia Sales, per loro che non sanno cosa sia Google, sembra essere l’esempio di una lotta violenta ed efferata contro l’ordine costituito.
Le strade dei Decumani a Napoli sono piene di scritte sui muri “F.S.”, Famiglia Sibillo. I 15enni della zona che passano il tempo senza andare a scuola non hanno come idolo Ciro di Gomorra ma si tatuano il numero 17 che, nel gergo in cui a ogni numero corrisponde una lettera dell’alfabeto,sta perla S di Sibillo. Segnano così sulla pelle l’appartenenza a Emanuele: “Ci dava i soldi per non fare i guai, ha portato in alto il nostro quartiere e ha scacciato il “tumore” ovvero il clan avverso, l’invasore.
Sulla banca Facebook di uno dei familiari di Sibillo è apparsa una foto di un bimbo che, per Carnevale, aveva chiesto di vestirsi da Emanuele. Qui non c’è fiction, o cortocircuito trarealtà e finzione. C’è l’ambizione a esistere, a riconoscersi, prima ancora che ad avere una carriera criminale. U n’ambizione condizionata dai social e dalla rete più che dalle serie (altro che Sky, a stento hanno la tv) o dai libri (7 su 10 hanno evaso l’obbligo scolastico e non sanno leggere). Accusare Gomorra di ispirare la paranza dei bambini è un gesto di superficialità e anche di omertà, per dirla con Saviano, e nasconde “il senso di colpa di chi sa di non aver mai preso una posizione forte per cambiare quelle vicende, di chi vuole che di certi argomenti non si discuta”. Come se questo bastasse a farli sparire, a cancellare un piccolo esercito di soldati che l’Italia non sa salvare o educare, e preferisce dimenticare. Almeno finché loro ce lo permetteranno, continuando a uccidersi solo tra loro, nei confini del loro “altro” Stato.