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Tomaso Montanari
La parabola di Ponte Vecchio
12 Luglio 2013
Beni culturali
«Per secoli la forma del discorso pubblico, la forma della vita politica, la forma della civiltà stessa si è definita e si è riconosciuta nella forma dei luoghi pubblici. Le città italiane sono sorte come specchio, e insieme come scuola, per le comunità politiche che le abitavano».

il manifesto, 12 luglio 2013.

Il "David ai fiorentini", gli Uffizi "macchina da soldi", la facciata simil michelangiolesca per San Lorenzo: Firenze, un luna park messo a reddito Il noleggio di Ponte Vecchio alla Ferrari di Montezemolo per una cena elegante segna l'apice della strumentalizzazione del patrimonio artistico e dello spazio pubblico di Firenze. La vicenda è stata particolarmente imbarazzante per l'arbitrio con cui è stata gestita: il sindaco Renzi ha annunciato che il canone di 120.000 (di cui però nel bilancio comunale non sembra esserci traccia) avrebbe dovuto rimediare ad un analogo taglio alle vacanze dei bambini disabili (ugualmente non documentato). E l'opposizione in consiglio comunale ha svelato che almeno una parte delle autorizzazioni ai ferraristi è stata concessa solo il giorno successivo all'evento. E se questo pasticcio amministrativo conferma il sostanziale disinteresse di Renzi per un governo delle cose che vada oltre l'annuncio mediatico, il cuore ideologico dell'iniziativa merita un'analisi.

Per secoli la forma del discorso pubblico, la forma della vita politica, la forma della civiltà stessa si è definita e si è riconosciuta nella forma dei luoghi pubblici. Le città italiane sono sorte come specchio, e insieme come scuola, per le comunità politiche che le abitavano. Le piazze, le chiese, i palazzi civici italiani sono belli perché sono nati per essere di tutti: la loro funzione era di permettere ai cittadini di incontrarsi su un piano di parità. È per questo che la Repubblica - lo afferma l'articolo 9 della Costituzione - nel momento della sua nascita ha preso sotto la propria tutela il patrimonio storico e artistico nazionale.

Negli ultimi trent'anni, tuttavia, il valore civico dei monumenti è stato negato a favore della loro rendita economica, e cioè del loro potenziale turistico. Lo sviluppo della dottrina del patrimonio storico e artistico come "petrolio d'Italia" (nata negli anni ottanta di Craxi) ha accompagnato la progressiva trasformazione delle nostre città storiche in luna park gestiti da una pletora di avidi usufruttuari. Le attività civiche sono state espulse da chiese, parchi e palazzi storici, in cui ora si entra a pagamento, mentre immobili monumentali vengono incessantemente alienati a privati, che li chiudono o li trasformano in attrazioni turistiche.

Come in un nuovo feudalesimo, le nostre città tornano a manifestare violentemente i rapporti di forza, soprattutto economici: da traduzione visiva del bene comune, a rappresentazione della prepotenza e del disprezzo delle regole democratiche.

Anche da questo punto di vista Matteo Renzi non inventa nulla, e si limita a cavalcare con la massima efficacia mediatica la tendenza, vincente, per cui la città non produce cittadini, ma clienti. Nel famoso pranzo di Arcore, egli ottenne che il 20% degli introiti del David di Michelangelo, massimo feticcio del desertificante turismo fiorentino, andassero al Comune e non allo Stato. Vale la pena di notare che quei proventi venivano indirizzati al bilancio di Capodimonte, a Napoli: che, grazie al leghismo gigliato di Renzi, si trovò da un giorno all'altro senza nemmeno la carta igienica. E "il David ai fiorentini" fu il primo messaggio alla pancia della città. Poco dopo Renzi ha dichiarato che «gli Uffizi sono una macchina da soldi se li facciamo gestire nel modo giusto». E quindi ha trivellato gli affreschi di Vasari in Palazzo Vecchio alla ricerca della Battaglia di Anghiari di Leonardo, spacciando per ricerca scientifica una penosa operazione di marketing delle emozioni che esaltava Dan Brown ai danni della conoscenza scientifica.

Insomma, straparlando continuamente di Brunelleschi, Leonardo e Michelangelo, il sindaco sta usando il patrimonio artistico fiorentino come "arma di distrazione di massa" capace di deviare l'attenzione dell'opinione pubblica dall'esercizio del potere: ha, per esempio, proposto di costruire la facciata che Michelangelo aveva progettato per San Lorenzo (sarebbe come scrivere una canto della Commedia partendo da qualche verso) proprio mentre firmava l'accordo per lo scellerato tunnel Tav che sventrerà una parte di Firenze.

Anche da questo punto di vista, tuttavia, Renzi non è un innovatore, piuttosto un conservatore estremista. Nel senso che estremizza, e vira in salsa mediatica, l'ormai secolare abitudine dei fiorentini di vivere di rendita alle spalle del loro passato. Un passato che non diventa leva di costruzione del futuro, ma una specie di parco giochi da mettere a reddito: come è stato chiaro quando Renzi ha messo il veto alla costruzione della moschea nel centro storico. A Firenze le periferie sono abbandonate a se stesse, ma la cartolina del centro è intoccabile. O meglio: ci si possono fare speculazioni edilizie (come lottizzare il Teatro comunale del Maggio, che Renzi vorrebbe liquidare), si possono espellere le librerie o immaginare facciate pseudo-michelangiolesche: va bene tutto quello che è funzionale alla servitù del turismo e alla rendita del passato. Dunque non la moschea, pericolosamente carica di futuro.

Il noleggio di Ponte Vecchio segna, tuttavia, un punto di non ritorno, perché svela il progetto politico e sociale del futuro leader della Sinistra italiana. Nella costituzione riscritta da Renzi la Repubblica - per ora il Comune di Firenze - favorisce la manifestazione delle diseguaglianze, inibisce il pieno sviluppo della persona umana, sottopone alla ferrea legge del mercato il patrimonio storico e artistico e il paesaggio della nazione.

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