Il manifesto, 29 agosto 2015
Il rischio di digerire sempre più rapidamente le notizie che ogni giorno la televisione porta nei nostri tinelli è fortissimo. Il rullo mediatico macina i morti a pranzo e a cena e, lo sappiamo, l’abitudine è capace di rendere sopportabili cose spaventose. Del resto bastava sfogliare i giornali di ieri per vedere che l’eccitazione della grande stampa era tutta per la “questione romana”, mentre le decine di morti asfissiati sul Tir che trasportava uomini, donne e bambini dall’Ungheria all’Austria faticava a guadagnare i grandi titoli di prima pagine. Perfino giornali progressisti e sempre in prima linea contro le malefatte della casta, relegavano la strage del camion in poche righe. Naturalmente con le eccezioni del caso, a confermare la regola, e fatti salvi i giornali della destra che contro i migranti sparano titoli forcaioli per lucrare qualche copia lisciando il pelo ai peggiori sentimenti xenofobi e razzisti di lettori e elettori.
Ma l’informazione ai tempi della rete può anche essere l’antidoto al prevalere di assuefazione e abitudine. Come dimostra il caso dell’attivista islandese, promotore di una raccogliere fondi a favore di un uomo, rifugiato palestinese, proveniente dal campo profughi siriano di Yarmuk, a Damasco. Grazie all’immagine di Abdul che vende penne biro all’incrocio di una strada di Beirut con la figlioletta in braccio, il web ha prodotto un felice cortocircuito e scatenato una gara di solidarietà.
Tuttavia non è solo l’informazione a essere chiamata in causa. Subito dopo viene la politica e in primo luogo quella che si richiama ai principi di libertà e uguaglianza della sinistra.
Come è possibile che lungo i muri che l’Europa costruisce sulle frontiere di terra non ci siano manifestazioni di protesta accanto all’esodo di chi fugge e muore? Perché davanti a quel filo spinato piantato dal regime reazionario del premier ungherese Orbàn non c’è una carovana di quei militanti che dicono di battersi per favorire finalmente l’apertura delle frontiere della Fortezza– Europa?
Al punto in cui siamo nessuno più può dire di non sapere perché tutto l’orrore e il dolore è in onda, e non siamo più in pochi a vedere quel che accade. Persino leader europei come Merkel devono scendere in campo politicamente e personalmente per dire che i vecchi trattati (Dublino) sono da rivedere.
La sinistra dovrebbe fare dell’immigrazione la sua battaglia principale, giocandola all’offensiva, nei singoli paesi di appartenenza e nei punti caldi dell’esodo. I convegni sono utili ma non bastano. Meno talk-show e più mobilitazioni per manifestare concretamente presenza e solidarietà. Per esempio sulla nostra grande frontiera del Mezzogiorno, la prima linea per i comuni che cercano di accogliere come possono i sopravvissuti ai viaggi della morte. Il Sud dovrebbe essere anche la frontiera della sinistra.
E intanto, in attesa di cancellare leggi criminogene come la Bossi-Fini, a chi fugge per mare e per terra su un gommone o nel cassone di un Tir, per non morire basterebbe salire su una nave o su un treno. Con un semplice, regolare biglietto.