Vi immaginate una repubblica con poco più di 50 mila abitanti che cita in tribunale il gigante mondiale, gli Stati Uniti? Per trovare questa repubblica, denominata delle Isole Marshall, dovete prendere un mappamondo, guardare l’immenso Oceano Pacifico, cercare proprio a metà, fra l’Australia e le Isole Hawaii, all’altezza dell’equatore; farete fatica a riconoscere un puntino che indica una catena di isole coralline, distanti fra loro centinaia di chilometri; è questo il territorio della minuscola repubblica di cui parlo. Sarà stato perché negli anni quaranta del secolo scorso erano state affidate come “mandato” agli Stati Uniti, sarà stato perché erano lontane da altri paesi abitati, sta di fatto che sono state scelte per condurre una serie di esplosioni sperimentali di bombe atomiche americane.
Anche se così lontane da tutti, le isole Marshall hanno avuto una interessante storia; già tremila anni fa sono state visitate da marinai e pescatori provenienti dalle coste dell’America meridionale, dall’Australia e dall’Asia orientale, che percorrevano il mare sterminato con zattere capaci di resistere alle tempeste oceaniche. Sono state poi scoperte dai navigatori europei, spagnoli, prima di tutto, poi inglesi fra cui il capitano John Marshall che visitò le isole nel 1788 e le dette il proprio nome; le isole rimasero proprietà spagnola fino al 1884 quando la Spagna “le vendette” alla Germania. Rimasero tedesche fino alla prima guerra mondiale quando i giapponesi le occuparono e ne ebbero il mandato fino alla seconda guerra mondiale, durante la quale furono occupate dagli americani che vi costruirono una base militare.
La prima bomba atomica, dopo quelle di Hiroshima e Nagasaki, fu esplosa nel luglio 1946 nell’isola di Bikini, una corona di rocce coralline intorno ad una laguna nella quale furono poste varie navi militari in disarmo, per vedere che effetto la bomba avrebbe fatto su una flotta. Affondarono tutte e l’America esultò per la potenza della nuova arma, un avviso per l’Unione Sovietica con cui era cominciato una “guerra fredda”. La bomba di Bikini fu battezzata ”Gilda” dal nome della protagonista di un omonimo film di successo interpretato dall’”esplosiva” bellezza di Rita Hayworth; uno stilista chiamò “bikini” il costume di bagno in due pezzi che permetteva alle signore di esporre i propri “esplosivi” attributi femminili. Solo dopo molto tempo si sarebbe saputo che le polveri radioattive gettate nell’atmosfera dalle bombe atomiche e nucleari esplose nelle solitarie isole Marshall, a Bikini fra il 1946 e il 1958 e ad Eniwetok dal 1948 al 1958, avrebbero provocato centinaia di morti per tumori. La bomba termonucleare usata nel marzo 1954 nel test “Bravo” aveva una potenza distruttiva equivalente a quella di 13 milioni di tonnellate di tritolo (cinquecento volte superiore a quella della bomba di Hiroshima) e polverizzò una parte del suolo corallino dell’isola di Bikini.
Gli Stati Uniti risarcirono con soldi gli abitanti che erano stati spostati dalle loro isole, spesero cifre enormi per “grattare” via il suolo contaminato dalla radioattività; alcuni abitanti furono riportati sul luogo e alla fine gli fu riconosciuta, nel 1986, la sovranità sulle loro travagliate isole che ora hanno una bandiera, un piccolo parlamento e un seggio all’assemblea delle Nazioni Unite.
Nel frattempo i vari paesi dotati di bombe nucleari, hanno continuato a collaudare i loro arsenali facendo esplodere circa duemila bombe nucleari nell’atmosfera e poi nel sottosuolo e hanno continuato a perfezionare e tenere in funzione le bombe esistenti, oggi oltre 10.000 in nove paesi, Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan, Israele, Corea del Nord. Altre bombe nucleari sono distribuite in altri paesi, fra cui l’Italia che ”ospita” bombe termonucleari americane a Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone).
Dal 1968 esiste un trattato di non proliferazione nucleare (NPT) firmato da tutti i paesi (ad eccezione di Israele, India, Pakistan e Corea del Nord) che avrebbe dovuto limitare la fabbricazione di armi nucleari e anzi, nel suo articolo VI, impone a tutti gli aderenti di procedere ad un totale disarmo nucleare, un impegno mai rispettato, con la scusa che il possesso di armi nucleari da parte di un paese scoraggia altri da usarle, il principio della deterrenza. Ricordando quello che avevano sofferto, gli abitanti delle isole Marshall si sono arrabbiati e hanno deciso di intraprendere delle azioni legali contro i paesi nucleari. Hanno cominciato a fare causa al governo degli Stati Uniti presso un tribunale della California per violazione del NPT di cui è firmatario; il tribunale ha respinto l’accusa ma si sono messi in moto delicati problemi di diritto internazionale. Come se non bastasse la Repubblica delle Isole Marshall ha denunciato presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja tutti i nove stati nucleari per la violazione degli obblighi di disarmo imposti da una precedente sentenza della stessa Corte.
Il dibattito è in corso ed è un peccato che non se ne parli in Italia. Di disarmo nucleare ha parlato invece Papa Francesco nel messaggio inviato nel dicembre 2014 alla Conferenza di Vienna sull’”impatto umanitario delle armi nucleari ricordando che «le armi nucleari hanno il potenziale di distruggere noi e la civiltà», le armi nucleari come tali, non quelle di un paese o dell’altro paese, proprio per il solo fatto di esistere, e ha concluso: «Un mondo senza armi nucleari è davvero possibile». Speriamo che qualcuno lo ascolti.
L'articolo è inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno