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Norma Rangeri
La misura della piazza
29 Marzo 2015
Articoli del 2015
«Ritro­vare una sog­get­ti­vità poli­tica diventa un biso­gno natu­rale e l’alleanza con tutte le realtà asso­cia­tive che non si ras­se­gnano è una via mae­stra per raf­for­zare l’opposizione a un governo ricco di slo­gan almeno quanto è povero di un inno­va­tivo pro­getto di svi­luppo».

Il manifesto, 29 marzo 2015

Se la misura della piazza serve a far capire la forza delle oppo­si­zioni sociali di un paese, si può dire senza dub­bio che piazza del Popolo a Roma ha dato un grande segnale. Con qual­che novità rispetto a molte mani­fe­sta­zioni degli ultimi anni. La pre­senza di tanti gio­vani, e quindi non solo dei valo­rosi pen­sio­nati della Cgil che di solito riem­piono i cor­tei sin­da­cali; il ritorno di molte ban­diere rosse, non del vec­chio Pci e tan­to­meno di quelle sbia­dite del Pd, ma della Fiom; l’entusiasmo della gente che si è ritro­vata per espri­mere un punto di vista che oggi non ha la neces­sa­ria rap­pre­sen­tanza politica.

Natu­ral­mente una piazza non fa pri­ma­vera, anche se la gior­nata era piena di sole e Mau­ri­zio Lan­dini, il pro­ta­go­ni­sta della mani­fe­sta­zione, con la segre­ta­ria gene­rale della Cgil, Susanna Camusso a fare da potente spalla dell’iniziativa, ha voluto sot­to­li­neare che una «nuova pri­ma­vera per il paese è iniziata».

Ma la “pro­te­sta” di ieri forse rap­pre­senta l’inizio di un pro­cesso trai­nato da un’idea forte di rin­no­va­mento delle forze sociali e sin­da­cali, poli­ti­che e di movi­mento, un’idea rias­sunta dallo slo­gan della mani­fe­sta­zione, «Unions», tra­du­ci­bile in un ritorno alle radici del sin­da­ca­li­smo. Che il segre­ta­rio della Fiom, nel suo discorso con­clu­sivo, ha rias­sunto con i ripe­tuti rimandi all’idea fon­da­tiva della Cgil di Di Vit­to­rio: di un sin­da­cato delle Con­fe­de­ra­zioni, così diverso da un sin­da­ca­li­smo cor­po­ra­tivo, basato sulla com­pe­ti­zione dei lavoratori.

E’ la spinta verso un ripen­sa­mento pro­fondo della natura del sin­da­cato, det­tata sia dalle scon­fitte subite con il pro­getto con­fin­du­striale che mar­cia spe­dito sotto le ali del governo, sia dalla per­dita di rap­pre­sen­ta­ti­vità pro­dotta da una crisi eco­no­mica che ha allar­gato il mare della disoc­cu­pa­zione e pro­dotto un eser­cito di pre­cari fuori da ogni tutela e diritto. Così chi oggi ha ancora un lavoro deve subire il comando pieno dell’impresa (abo­li­zione dell’articolo 18, deman­sio­na­mento, con­tratti nazio­nali pol­ve­riz­zati dalla catena per­versa del sistema degli appalti), e chi un lavoro lo cerca è merce di scam­bio e mano­va­lanza per la feroce guerra tra poveri.

Più che una fan­ta­sia, una vel­leità o una scor­cia­toia, la coa­li­zione sociale è una neces­sità vitale per rico­struire la figura del cit­ta­dino lavo­ra­tore (come appunto indi­cava Di Vit­to­rio quando negli anni ’50 già par­lava di uno sta­tuto del «cit­ta­dino lavo­ra­tore»). E coa­li­zione sociale vuol dire una cosa sem­plice: rico­struire le basi di una par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica, dun­que poli­tica, ai destini dell’Italia.

Per­ché chi oggi accusa il segre­ta­rio della Fiom di voler fare l’ennesimo par­ti­tino dovrebbe piut­to­sto doman­darsi come è stato pos­si­bile arri­vare a que­sto disa­stro sociale, a un così forte ridi­men­sio­na­mento del ruolo del sin­da­cato, alla nega­zione dei diritti. E anche inter­ro­garsi sulla subal­ter­nità, que­sta sì poli­tica, verso governi o par­titi amici di quel «gia­guaro» che nes­suno ha smac­chiato e in molti hanno nutrito.

Ritro­vare una sog­get­ti­vità poli­tica diventa un biso­gno natu­rale e l’alleanza con tutte le realtà asso­cia­tive che non si ras­se­gnano è una via mae­stra per raf­for­zare l’opposizione a un governo ricco di slo­gan almeno quanto è povero di un inno­va­tivo pro­getto di svi­luppo. Per­ché met­tere in pra­tica la linea di Squinzi, o una riforma costi­tu­zio­nale ed elet­to­rale di regres­sione verso forme di ple­bi­sci­ta­ri­smo media­tico non sem­bra dav­vero una grande novità. Né in Ita­lia, né in Europa. Come direbbe Lan­dini «non rac­con­tia­moci di balle». Che fa tra­bal­lare la sin­tassi, ma si capisce.

Domani è il com­pleanno di Pie­tro Ingrao. Cento anni applau­diti da tutto il popolo della piazza quando Lan­dini ha ricor­dato il giorno in cui, da pre­si­dente della Camera, si recò, come primo atto pub­blico, alle Accia­ie­rie di Terni per rivol­gersi agli ope­rai chia­man­doli «i costi­tuenti». Un mes­sag­gio a chi ha scarsa memo­ria del paese che pre­tende di governare

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