Ma questa confusione tra misure ordinarie e straordinarie, per non dire quella tra effimero e stabile, non è un’invenzione del commissario Fiori: questi si è limitato a interpretare (saranno i processi a dirci se spingendosi fino al compimento di reati e alla produzione di danni all’erario) la retorica corrente della procedura di emergenza come strumento per il governo dell’ordinario. Pompei è nello stesso Paese del Mose e dell’Expo: e soprattutto nello stesso Paese dello Sblocca Italia e nel disegno di legge Madia sulla mitologica “semplificazione”. Due leggi, queste ultime, con le quali il governo Renzi ha dimostrato di non voler affatto rompere con il regime dell’emergenza: come se per “fare” (ciò che tutti vogliamo) non fosse necessario disboscare in modo razionale la giungla delle norme contraddittorie, ma fosse possibile (e anzi preferibile) aggirare le singole leggi con la figura eccezionale del commissario, o della corsia di emergenza. Durante l’audizione parlamentare preliminare all’approvazione dello Sblocca Italia, la Banca d’Italia ha inutilmente provato a mettere in guardia circa il potenziale criminogeno delle procedure eccezionali: avendo buon gioco a prevedere che l’unico frutto della legge sarebbe stata (oltre al cemento) la corruzione. E dunque i processi a Fiori saranno importanti perché potranno dimostrare, ex post e su un caso preciso ed eccellente, quanto sia necessario abbandonare questa strada, sempre contrabbandata come innovativa, e in verità già tante volte disastrosamente sperimentata.
C’è, infine, la seconda questione. Ammesso, e non concesso, che il commissario potesse fare anche valorizzazione, sfigurare un monumento per trasformarlo in “set” è valorizzazione o no? Se io fossi l’avvocato difensore di Fiori, convocherei come testimoni il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini, il presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali Giuliano Volpe e il professore di archeologia Daniele Manacorda. Che sono gli entusiastici sostenitori dell’idea di costruire arena e spalti nel Colosseo, per adibirlo a location di spettacoli di cassetta su cui lucrare i diritti televisivi. Un’idea che non solo subordina la conoscenza alla spettacolarizzazione, ma che interpreta la valorizzazione come messa a reddito, trasformandola in una scelta “politica” (la propugna il ministro, non il soprintendente) totalmente separata dalla tutela. E, anzi, potenzialmente in conflitto con quest’ultima: perché non si dica che adibire il Colosseo a luogo di spettacoli di massa sarebbe compatibile con una corretta conservazione e fruizione del monumento.
La Pompei di Fiori come laboratorio della valorizzazione-spettacolarizzazione dell’età di Renzi? È forse presto per dirlo, ma è certo che il processo contabile che si celebrerà a Napoli promette di avere un significato che trascende di gran lunga il caso specifico, pur clamoroso.