«Il problema non sono immaginarie tentazioni di un nuovo imperialismo tedesco, bensì il dogmatismo di Berlino, l’ossessiva convinzione che qualsiasi debitore debba sempre ripagare tutto a ogni prezzo, anche a costo della propria sopravvivenza».
La Repubblica, 17 luglio 2015 (m.p.r.)
Berlino. Sono giorni difficili per tutti. Per questo vorrei cominciare prendendo le distanze da certi attacchi e pregiudizi contro la Germania. Non dobbiamo dimenticare che sul tema del terzo pacchetto d’aiuti alla Grecia, Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble non sono soli. Una maggioranza di paesi dell’eurozona è dalla parte della Germania: Irlanda, Portogallo, Spagna, i Baltici e altri. Sarebbe stato saggio, certo, se Merkel avesse lasciato a un non tedesco l’annuncio dell’accordo. Non è una cosa buona se gli europei a ogni occasione sfoderano sentimenti antitedeschi di natura populista, se non razzista. Cari amici europei, volete spiegarmi quando parlate di “Quarto Reich” o simili che cosa Merkel o Schaeuble avrebbero in comune con Hitler? Tutti, noi stessi e il resto d’Europa, dovremmo fare attenzione all’igiene delle parole.
D’altra parte io ritengo che il terzo pacchetto d’aiuti fallirà come i primi due pacchetti. Perché nella migliore delle ipotesi potrà aiutare i greci a ripagare una parte del loro debito, già definito «insostenibile» dal Fmi. Sarebbe stato molto meglio ammettere che la politica dell’austerity è fallita e che la Grecia ha invece bisogno urgente di investimenti per la crescita.
Veniamo qui al problema di fondo: Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble non vogliono dire la verità ai loro elettori. E cioè che la Grecia non è in grado di pagare i suoi debiti, né presenti né futuri. Su questo almeno ha ragione Tsipras: questi cosiddetti “aiuti” son servono. Il vertice tedesco rimane prigioniero del proprio dogmatismo della stabilità monetaria. Il problema non sono immaginarie tentazioni di un nuovo imperialismo tedesco, bensì il dogmatismo di Berlino, l’ossessiva convinzione che qualsiasi debitore debba sempre ripagare tutto a ogni prezzo, anche a costo della propria sopravvivenza. C’e un ’altra scuola di pensiero, quella di economisti come Piketty, Krugman o Stiglitz, qui quasi mai citata: solo un’economia che cresce può produrre il surplus necessario per ripagare debiti.
Sta qui il paradosso tragicomico del rifiuto di Merkel di dire la verità agli elettori tedeschi. I quali già conoscono già il segreto: tutti i soldi dati ai greci non torneranno. La spiegazione più probabile di questo paradosso è che agli elettori tedeschi piace ascoltare bugie. Infatti la popolarità della cancelliera non ha sofferto, quella di Schaeuble è all’apice. Nell’animo collettivo, tanti tedeschi vorrebbero la Grexit, ma poiché nessuno li informa su cosa ciò significherebbe per l’euro e l’economia mondiale non si ribellano. E intanto chiudono gli occhi davanti a un trasferimento di risorse che non viene chiamato col suo nome, eppure è tale: una montagna di soldi a un partner in fallimento. E siccome avviene senza unione politica europea, sarà inutile. Riproduce solo la contraddizione originale dell’euro.
Al tempo stesso, l’élite e gli elettori in Germania sottovalutano la minaccia dei vari populismi. Solo un esempio: che succederà se in Spagna Podemos vincerà le elezioni? Imiterà Tsipras? Di fronte a svolte del genere in un grande paese l’autoinganno tedesco potrebbe rivelarsi fatale. Intanto il tempo stringe: bene farebbe Berlino a negoziare con gli altri europei sulle politiche di crescita, adesso che non vediamo populisti al potere a Parigi o a Roma.
Merkel e Schaeuble dovrebbero trovare la forza di ammettere che la loro politica del rigore è sbagliata. È giusto dire ai greci che avranno aiuti solo in cambio di riforme concrete e provabili. Ma è assurdo aspettarsi rimborsi del debito facendo finta di non vedere la povertà e la disoccupazione giovanile che aumentano di continuo, in Grecia ma anche altrove, e nutrono rabbia ostilità e pregiudizi. Se la Germania crede che il suo modello, peraltro storicamente ambivalente, possano funzionare ovunque, potrà aspettare fino alla prossima età della pietra.