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Nicola Labanca
La memoria ambigua degli italiani
17 Dicembre 2005
Italiani brava gente
Perchè “il nostro paese non ama ricordare le imprese africane” da la Repubblica del 16 dicembre 2005

Nicola Labanca La memoria ambigua degli italiani

Il protagonista del romanzo di Ennio Flaiano Tempo di uccidere (1947), ambientato nell’Africa orientale italiana al tempo della guerra d’Etiopia (1935-36), ama carnalmente una donna locale ma poi finisce per ucciderla. La sua memoria rimane indelebilmente segnata da quella doppia esperienza, di fascinazione e repulsione, di amore e odio. Tornando in patria però solo una parte dell’esperienza viene ricordata: quella dell’amore, dell’affetto. Flaiano fa dire al suo protagonista: «"Il prossimo è troppo occupato coi propri delitti per accorgersi dei nostri". "Meglio così", dissi. "Se nessuno mi ha denunciato, meglio così"». La memoria del delitto rimane in Africa, in Italia torna solo quella dell’affetto: nasce così il mito della "bravagente".

L’episodio di Flaiano potrebbe essere la chiave per comprendere la memoria nazionale del colonialismo italiano. Un’esperienza di dominio italiano durata grossomodo sessant’anni, dall’Eritrea (1882) alla Somalia, dalla Libia all’Etiopia. Una storia per quarant’anni liberale e per vent’anni fascista, bruscamente interrotta perché il regime perse in guerra (1941-43) tutte le sue colonie. Di quella storia è rimasta una memoria nazionale fortemente ambigua, parziale. Solo una parte della storia è stata ricordata.

Come tutti i colonizzatori europei, gli italiani amano ricordarsi e immaginarsi come "bravagente" affascinata dalle bellezze della natura africana, sinceramente interessata delle popolazioni dominate, prodiga di interventi in loro favore. È difficile negare che anche questo furono (ma quanto rispetto ad altri imperi coloniali? già a questa domanda non si vuole rispondere). Inoltre, un po’ come i francesi in Algeria e i britannici in Rhodesia o in Sudafrica, laddove poterono, gli italiani affollarono le loro colonie anche di povera gente, di lavoratori manuali, di petit blancs o poor whites come si diceva a Parigi o a Londra. L’Italia liberale e persino l’Italia fascista (se si esclude la conquista dell’Etiopia, 1935-41) esportarono nelle colonie molto più manodopera che capitale.

Ma questa è solo una parte della storia.

Chi ricorda il "regime delle sciabole" della primissima Eritrea italiani, prima di Adua? O le deportazioni indiscriminate dei libici già nel 1911-12 verso le isole italiane come le Tremiti? O il sangue sparso nella "riconquista" della Libia voluta da Mussolini e condotta con brutalità da Badoglio e Graziani nel 1929-31? In particolare, chi ricorda i campi di concentramento della Cirenaica fra 1929 e 1933? Una decina di anni fa una polemica giornalistica fra Indro Montanelli e Angelo Del Boca portò all’attenzione di tutti la storia dei gas nella conquista dell’Etiopia, una vicenda conosciuta ai lettori di libri di storia ma segretata dal regime e negata sino all’ultimo dall’ostinato giornalista de "Il corriere della sera". Ma chi ricorda i massacri del convento copto di Debra Libanos, in cui Graziani fece sterminare l’elite religiosa etiopica?

Non si tratta del silenzio naturale della memoria di fronte a fatti sgradevoli, né è sufficiente lavarsi le mani dicendo che di fatti sgradevoli è piena tutta la storia del colonialismo europeo. Il punto è che senza quei fatti il debole dominio italiano non ci sarebbe stato, non avrebbe potuto né instaurarsi né sostenersi. Non sono fatti aggiuntivi, sono sostanziali. Inoltre il dominio italiano fu, per vent’anni, fascista. Per capire cosa ciò significhi si legga il programma politico del fascio di Asmara già fra 1919 e 1922, o si ponga mente al fatto che nel 1937 – un anno prima dell’adozione della legislazione antisemita – il fascismo introdusse istituzionalmente nel suo impero la discriminazione razziale, come al tempo forse nemmeno il Sudafrica aveva fatto. Tutto questo, gli italiani dei decenni della Repubblica hanno preferito non ricordarlo, come il genio letterario di Flaiano aveva per tempo intuito.

Quali le spiegazioni di questa memoria selettiva? È stato chiamato in causa il carattere nazionale degli italiani (sullo specifico coloniale già Benedetto Croce, nel 1927, aveva parlato di "bonomia" degli italiani…). Gli storici hanno spiegato che non aver vissuto le aspre divisioni che in Francia o in Gran Bretagna hanno accompagnato la decolonizzazione negli anni Cinquanta-Sessanta ha impedito una presa di coscienza ed un dibattito sul passato coloniale. C’è chi ha voluto trascinare in giudizio persino la sinistra, accusata prima di ambiguità (in effetti, per il prestigio nazionale, nel 1945-47 anche Pci e Psi volevano la restituzione all’Italia di tutte o parti delle vecchie colonie) e poi di "debolezza di anticolonialismo".

Forse, per trovare una risposta dobbiamo invece guardare in basso, in alto e al governo. In basso: perché le stesse responsabilità storiche di lavoratori e popolani non possono essere uguagliate a quelle di un Mussolini o di un Graziani. In alto: perché le maggiori decisioni, come sempre, furono prese da una ristretta cerchia di governatori coloniali, funzionari, militari. Al governo: questo è, per l’Italia repubblicana, il capitolo più interessante. Nelle liste stilate dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, non pochi politici e militari erano accusati di crimini di guerra perpetrati nelle colonie. E nel 1947 l’Etiopia aveva richiesto alcuni alti gerarchi del fascismo, fra cui Badoglio e Graziani, per i crimini commessi in colonia. Ma l’Italia repubblicana e ormai democratica fece di tutto per non consegnarli. Graziani non affrontò mai un processo per i suoi misfatti coloniali, del 1929-33 come del 1936-38. E se i tribunali dell’Italia democratica non processarono i massimi responsabili politici e militari, perché i petit blancs dell’imperialismo demografico italiano avrebbero dovuto ritenersi responsabili? La loro memoria fu aiutata a divenire parziale.

Se nel 1947 non furono fatti i processi, se l’Italia democratica non ricorda pubblicamente i campi di concentramento in Cirenaica del 1929-33 (ma attenzione: in quelli del 1941 passarono anche gli ebrei libici) e se oggi l’Italia berlusconiana restituisce l’obelisco di Axum all’Etiopia ma lo fa alla chetichella, perché obbligata, e non imposta un serio dibattito pubblico sul passato coloniale, se insomma così si fa in alto e al governo, perché in basso i combattenti della guerra d’Etiopia dovrebbero ricordare tutta la storia del colonialismo e non solo una sua parte?

Forse, si potrebbe dire, in Italia non c’è bisogno di un articolo di legge come quella francese (n. 258 del 23 febbraio 2005). Nei fatti, come anticipava Flaiano, il risultato è già stato raggiunto da tempo.

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