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Marco Palombi
La mega-truffa contro la Costituzione ora è diventata legge
16 Giugno 2017
Articoli del 2017
«I buoni lavoro, aboliti per decreto per evitare il referendum della Cgil, sono stati reintrodotti: ora tocca alla Consulta»

. il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2017 (p.d.)

Col voto inconsapevole del Senato, ieri il Parlamento ha avallato una vera e propria presa in giro ai danni dei cittadini italiani e, in particolare, del milione e 100mila che hanno firmato ognuno dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil per abolire i voucher, garantire che la società appaltante fosse responsabile in solido anche per i subappalti e ripristinare l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (quest’ultimo quesito è stato bocciato dalla Corte costituzionale, che lo ha ritenuto in sostanza “propositivo” visto che non si limitava ad abolire un pezzo del Jobs act, ma estendeva il divieto di licenziamento senza giusta causa anche alle aziende tra 5 e 15 dipendenti).

Per apprezzare appieno quella che il costituzionalista Gaetano Azzariti ha chiamato sul Fatto “una frode ai danni dell’articolo 75 della Costituzione” (quello sui referendum), basta ricordare i fatti. L’11 gennaio scorso la Consulta ha ammesso due dei tre quesiti presentati dalla Cgil. Dopo oltre due mesi di melina, a metà marzo, il governo Gentiloni ha fissato la data per il referendum: il 28 maggio 2017. Solo tre giorni dopo, però, lo stesso governo varava un decreto che aboliva i voucher ed estendeva alla ditta appaltante la responsabilità anche per i subappalti: in sostanza, venivano accolte le richieste del comitato referendario. Il decreto è stato convertito dal Parlamento in un solo mese: il 17 aprile. A quel punto la Cassazione ha stabilito che non c’era più motivo di tenere i due referendum e il voto è stato annullato.
E siamo a maggio, quando l’esecutivo Gentiloni si permette quel che nessuno s’era mai permesso: con un emendamento - ancora prima che fosse passato il 28 maggio in cui si sarebbe dovuto tenere il referendum - reintroduce i voucher sotto altro nome e non solo per le famiglie (per pagare colf, badanti e piccoli lavori), come era possibile anche secondo la Cgil, ma pure per le imprese sotto i 5 dipendenti, che sono il 90% delle imprese italiane e quelle che ne fanno un uso più esteso. Ieri, questa norma è diventata legge certificando il fatto che governo e Parlamento hanno preso in giro gli italiani pur di evitare il voto referendario. Un sondaggio Tecnè per la Cgil diffuso mercoledì rivela che gli elettori si sono accorti dello sgarbo istituzionale: il 67% (percentuale che sale al 77 tra i giovani) ritiene che il sindacato guidato da Susanna Camusso faccia bene a protestare. E la segretario lo ha fatto anche ieri, dopo il voto del Senato: “Hanno sbagliato, hanno violato le regole della democrazia e non hanno rispettato il diritto di voto dei cittadini. Si è determinato un vero e proprio vulnus: governo e forze politiche non hanno avuto il coraggio di discutere apertamente dei temi del lavoro, di affrontarli e di vedere il giudizio che lavoratori e cittadini avrebbero dato”.
Ora la Cgil farà due cose: la prima, sabato, è una grande manifestazione sul tema a Roma, che sarà anche l’occasione per vedere sfilare insieme i vari soggetti alla sinistra del Pd (Articolo 1, Sinistra Italiana, Possibile, Campo progressista eccetera eccetera). La seconda strada è un ricorso alla Corte costituzionale contro “la frode”: più volte i giudici delle leggi, proprio di fronte a trucchetti dei governi per svuotare o aggirare i referendum, hanno adottato una speciale tutela rispetto al voto popolare. Accadde, ad esempio, quando Berlusconi tentò di ignorare il referendum sull’acqua. Una volta, addirittura, dopo una modifica legislativa, la Consulta consentì alla Cassazione di traslare i quesiti sulle nuove norme pur di tutelare il diritto di espressione del voto. Difficile che cambi opinione stavolta. Se succederà, però, si rischia di votare non prima di fine 2018 o persino del 2019: tra la decisione della Consulta e la nuova indizione dei referendum potrebbero arrivare le elezioni politiche, che possono far slittare la consultazione anche di un anno.
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